E l’acqua?

di Alberto Capatti

PRIMA PARTE

Perché nella lista degli ingredienti d’ogni ricetta manca sempre l’acqua? Eppure sono molte le preparazioni che ne prevedono ampio utilizzo. Quale acqua, dunque? E perché? Ce lo racconta, in punta di lingua, Alberto Capatti.

Leggo e rileggo le ricette e manca quasi sempre un dettaglio, l’acqua, con la sua provenienza e, spesso, le relative dosi. Che debba bollire, oppure bagnare qualche ingrediente, o ancora stemperi la farina, basta un cenno perché il suo uso va da sé ed è affidato alla consuetudine.

Berla è una cosa, dosarla e soprattutto assaggiarla, è tutt’altro.

Il rubinetto è senza dubbio all’origine di questa negligenza, perché ne fornisce a iosa, più o meno simile, da una città all’altra, e dopo aver alimentato chi cucina, servirà nel lavello a ripulire o, mediante un innesco, alla lavastoviglie.

A nessuno verrebbe in mente di utilizzare una bottiglia di acqua naturale per preparare un brodo immergendovi la carne, o di tenervi a mollo il cavolo bianco prima di scottarlo.

Artusi, del resto, in una società in cui esistevano ancora i pozzi, volutamente ignorava tale attenzione. Viene dunque considerata, oggi, alla stregua del calore e di tutte le energie che alimentano la cucina. Anche thé e caffé che sono acqua obbediscono a questa negligenza.

La ragione?

In cucina, ignoriamo gli ecosistemi e il componente fondamentale dello stesso corpo umano, ed evitiamo qualsiasi analisi.

Considerando il suo uso e consumo, estremamente vario, dai brodi ai gelati, rinviamo a chi la produce e amministra la cognizione della sua qualità, con esiti paradossali: un pesce, vissuto in un fiume, in un lago o nel mare, ritorna – defunto – in un’acqua qualsiasi, di rubinetto, per esser lavato e vivere la sua seconda vita, gastronomica.

Pochi si interrogano sulle origini idriche e sul trattamento che merita, ma c’è già chi pensa all’osmosi inversa, e la applica alla propria casa, alla propria acqua.

Riprendiamo dunque il problema dall’inizio, scegliendola con attenzione, ben sapendo che ogni mercato fornisce bottiglie di ogni tipo e di ogni provenienza, naturale o gasata, termica o di sorgente.

Metteremo dunque il primo ingrediente di ogni cucina sotto esame, anche se di esso arriverà in tavola una minestra, della carne o del pesce bolliti, o una tazzina di caffè. 

L’esame sempre più accurato degli ingredienti, con relativa storia e biografia, non deve paradossalmente ignorare questo, primario, scegliendo, sperimentando.

Da quale ricetta cominciare? Ovviamente dall’acquacotta specialità di Grosseto, che troviamo nelle Ricette regionali italiane di Anna Gosetti della Salda la quale, nel 1967, non menziona nella lista degli ingredienti l’acqua e si limita a menzionare “un litro d’acqua bollente salata” nel corso della preparazione. (FINE DELLA PRIMA PARTE – CONTINUA A FEBBRAIO)

Illustrazione, crediti: In mostra al MET Cloisters nella Galleria 17
The Unicorn Purifies Water (from the Unicorn Tapestries), 1495-1505. Dono di John D. Rockefeller Jr., 1937

LEGGI IL “LECCA LECCA” DI AGOSTO


Alberto Capatti

Alberto Capatti

Nato a Como il 2 novembre 1944, è uno tra i principali storici della gastronomia italiana e da molti anni si occupa di storia dell’alimentazione e di cultura materiale.
Ha diretto, dal 1984 al 1989, “La Gola. Mensile del cibo, del vino e delle tecniche di vita materiale” in cui prendeva forma di rivista un poderoso e inedito mix arte, letteratura, design, cucina, antropologia, grafica… che uscì in edicola dal 1984 e il 1991.
Capatti è stato direttore scientifico del Comitato Decennale Luigi Veronelli.
È stato membro del Comitato direttivo dell’Institut Européen d’Histoire de l’Alimentation (dal 2005 al 2012).
È stato il primo rettore dell’Università di Scienze Gastronomiche di Pollenzo, e direttore di “Slow”, rivista di Slow Food dal 1994 al 2004.
Nel 2001 ha curato, con la direttrice della Bibliothèque de l’Arsenal la mostra «Livres en bouche» presso la Bibliothèque Nationale de France.
Fa parte del Comitato scientifico di CasArtusi.
Dal febbraio 2018 è presidente della Fondazione Gualtiero Marchesi.