Non è vino…

di Alberto Capatti

SECONDA PARTE

Parlare d’acque, con il Seminario Veronelli come interlocutore, sarebbe auspicabile iniziando con acqua & vino da tutti i punti di vista, storico, chimico, gastronomico …

Partiremo invece da una contraddizione, una bottiglia di plastica.

Il suo costo è superiore al liquido che contiene, ed è ricoperta da una etichetta su cui figura un nome, la marca, che può essere un aggettivo, un superlativo o un toponimo, e che permette di identificarla.

Come qualsiasi prodotto industriale si offre ad un rapido acquisto, senza approfondimenti che la consuetudine ha reso inutili, tranne che la si voglia naturale o gasata.

Conosciamo poco le fonti, perché nell’acqua c’è una sorgente topograficamente precisa, ma la sua collocazione rispetto ad altre è sconosciuta, ed inoltre il paesaggio montano in cui sgorga ignoto, a meno che non se ne faccia carico la pubblicità.

Lo storico sa bene che dietro a molte acque ci sono stazioni termali in cui non solo la bocca ma il corpo tutto si inumidiva, si bagnava, e riceveva salute, ma la singola bottiglia di plastica tace questo, anzi privilegia solo il sorso.

Ma perché minerale? Certo c’è il luogo donde sgorga e viene raccolta, ma c’è soprattutto l’esigenza di caratterizzare quest’acqua, e un secondo aggettivo le si affianca ed è naturale.

Dietro la scelta di questi aggettivi c’è ovviamente l’acqua del rubinetto, potabile, la quale è inqualificata, e d’altro canto sarebbe strano trovar acque innaturali perché dietro di esse ci vorrebbe un’industria.

Chissà da dove viene quella del servizio idrico, da un lago o da un fiume, o da una fonte ignota, e c’è persino il dubbio che la pioggia stessa, in molti casi ne sia la fonte.

Di cisterne l’uomo ne ha allestite da molto tempo.

Ma la vera originalità di un’acqua minerale sono le bolle che la trasformano in una bibita dal color bianco trasparente, la rianimano e la vivacizzano dandole quella seconda identità che la premia.

È vero che ci sono dei gasatori per rendere frizzante quella del rubinetto, ma in bottiglia, anche se di plastica, la bolla, le bolle appaiono un indice di vivacità della fonte stessa, e giocano un ruolo magico, solleticando il palato, illudendo la sensibilità.

La pubblicità ha sfruttato questo trillo sensoriale definendo una di esse lo champagne delle acque minerali.

Naturalmente è possibile capovolgere tutto questo.

Andiamo a San Pellegrino e cogliamo in una azienda Nestlè con 1500 dipendenti un centro di promozione in cui l’ingrediente primario è diventato un punto di osservazione e di contatto e di controllo della cultura alimentare italiana.

L’acqua è presente in ogni tavola e accompagna nel bicchiere qualsiasi cibo – non ci sono preclusioni – anche se ovviamente si tace quella con cui si cucina o ci si lava, guardando in alto, stimolando il cervello con le bollicine. 

E invece, bisognerebbe pensare anche al brodo, magari, scherzando, affibbiandogli l’aggettivo del suo ingrediente primo, naturale, e quello susseguente, bio.

Con una Levissima, sempre Nestlè, o con la San Benedetto, la cosa è fatta, gastronomicamente ineccepibile a meno che non si voglia dar sollievo ai nostri piedi gonfi, ed in una catinella versare dalle bottiglie di plastica riciclabile, almeno due o tre litri.

Ecco uno scherzo, una ricetta per la salute che nessuno si attendeva …

Crediti immagini: MET, on view at The Met Fifth Avenue in Gallery 171, Gallery 166 and Harris Brisbane Dick Fund (1, 2)

LEGGI IL “LECCA LECCA” PRECEDENTE (prima parte)

Alberto Capatti

Alberto Capatti

Nato a Como il 2 novembre 1944, è uno tra i principali storici della gastronomia italiana e da molti anni si occupa di storia dell’alimentazione e di cultura materiale.
Ha diretto, dal 1984 al 1989, “La Gola. Mensile del cibo, del vino e delle tecniche di vita materiale” in cui prendeva forma di rivista un poderoso e inedito mix arte, letteratura, design, cucina, antropologia, grafica… che uscì in edicola dal 1984 e il 1991.
Capatti è stato direttore scientifico del Comitato Decennale Luigi Veronelli.
È stato membro del Comitato direttivo dell’Institut Européen d’Histoire de l’Alimentation (dal 2005 al 2012).
È stato il primo rettore dell’Università di Scienze Gastronomiche di Pollenzo, e direttore di “Slow”, rivista di Slow Food dal 1994 al 2004.
Nel 2001 ha curato, con la direttrice della Bibliothèque de l’Arsenal la mostra «Livres en bouche» presso la Bibliothèque Nationale de France.
Fa parte del Comitato scientifico di CasArtusi.
Dal febbraio 2018 è presidente della Fondazione Gualtiero Marchesi.