di Alberto Capatti

Un esame critico che dura quanto l’esercizio della professione di cuoco. Gualtiero Marchesi vede il piatto servito in tavola, illuminato, vede le posate ed osserva il bicchiere vuoto.

Lo esamina, sia quello dell’acqua sia quello del vino, e prima di valutare le due bottiglie che gli sono accanto, ritorna al tondo servito, da lui creato, e riflette.

Le sue riflessioni, sono state raccolte in quadernetti vari e saranno pubblicate dalla Fondazione che porta il suo nome. Ma ecco uno spunto critico:

«Ancora nessuno ha detto che ogni piatto deve essere abbinato ad un vino, in taluni casi forse sarebbe bene riflettere. Ad esempio dopo un brodo sarebbe forse meglio non bere niente. Credo che lo stesso contenuto non chiami altro liquido. Su un cioccolato non c’è vino che tenga, non vedo perché farsene un problema, forse un buon rum sarebbe l’ideale».

Niente vini? Come è possibile? Eppure andava fiero di certe bottiglie:

«Una selezione speciali di liquori completava il mio bar, sempre agguerritissima. Ricordo le grappe di Romanò del ’45 e del ’47, i Barolo di Borgogno del ’31 e del ’35 che non mi bastavano mai, come i grandi Brunelli».

È dunque una scelta lasciata a chi degusta, ma si possono immaginare tempi e modi e soprattutto regole: il sorso di vino precede il primo boccone e segue la fine dell’ultimo. E ancora non si è entrati nella specifica individuazione della bottiglia.

Il cuoco ragiona e le salse, presenti, lo invitano a non berci sù, assenti, lasciano libero l’approccio, l’accostamento.

«Niente vino quando c’è una salsa». Oppure il contrario? «Non dimentichiamo che lo stesso vino può fare da accompagnatore, senza essere disturbato da una qualsiasi salsa si voglia».

Come regolarsi? A questo punto ci vuole «un maître che sia anche sommelier e assaggiatore», il quale «ragionerà con uno spettro più allargato sulle possibilità che gli vengono offerte da un più stretto contatto col cuoco» a diventare così veramente l’anello di congiunzione tra la cucina e la sala.

«Il vino è l’enigma, facile da risolvere per chi non ci pensa, arduo per un cuoco che non può accostarsi a chi, a tavola, beve, pur avendo una nozione precisa di quel che sta nel piatto».

È il fantasma che osserva bere, e non può nemmeno immaginare un ristorante in cui, liscia o gasata, si serva solo acqua. Certe salse sarebbero contente, a un costo preciso, diventando vecchie in attesa di un cliente.

Crediti fotografici: Gualtiero Marchesi official

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Alberto Capatti

Alberto Capatti

Nato a Como il 2 novembre 1944, è uno tra i principali storici della gastronomia italiana e da molti anni si occupa di storia dell’alimentazione e di cultura materiale.
Ha diretto, dal 1984 al 1989, “La Gola. Mensile del cibo, del vino e delle tecniche di vita materiale” in cui prendeva forma di rivista un poderoso e inedito mix arte, letteratura, design, cucina, antropologia, grafica… che uscì in edicola dal 1984 e il 1991.
Capatti è stato direttore scientifico del Comitato Decennale Luigi Veronelli.
È stato membro del Comitato direttivo dell’Institut Européen d’Histoire de l’Alimentation (dal 2005 al 2012).
È stato il primo rettore dell’Università di Scienze Gastronomiche di Pollenzo, e direttore di “Slow”, rivista di Slow Food dal 1994 al 2004.
Nel 2001 ha curato, con la direttrice della Bibliothèque de l’Arsenal la mostra «Livres en bouche» presso la Bibliothèque Nationale de France.
Fa parte del Comitato scientifico di CasArtusi.
Dal febbraio 2018 è presidente della Fondazione Gualtiero Marchesi.