di Simonetta Lorigliola
Un doppio privilegio, quest’anno.
Il primo. Arrivare a Stromboli sul fragile crinale tra inverno e primavera, quando l’isola è una gioia silenziosa incastonata nell’immenso blu del Tirreno.
Le barbe di Giove offrono allo sguardo, di giorno, generose, fiori di sfrontata bellezza. Poi li richiudono, di notte, nascondendoli al calduccio tra reticolati di foglie ciccione, verdi, mediterranee.
Gli alberi nei giardini sono pieni di gialli limoni, di arance amare, di piccoli qumquat ridenti, di cedri panciuti.


Il cielo è terso. L’aria, fresca.
Volano rondini e fanno il loro passo i gruccioni, colorati d’azzurro e arancio, di ritorno dall’Africa. Qui fanno un pit stop in cerca di cibo e riposo, pochi giorni in cui cinguettano rumorosamente e si poggiano in gruppo sui rami degli alberi, spettegolando sull’isola che, si sa, non cambia mai.
E poi il vulcano, bien sûr. La “montagna”. Così storicamente gli strombolani l’han sempre chiamata. “Iddu” è un appellativo importato dalla Sicilia. Che sia stato Fosco Maraini a introdurlo durante le riprese per la Panaria film del documentario “Isole di cenere” (1948) dove effettivamente viene utilizzato? Fatto sta che questo “iddu”, in veste di dimostrativo macchiettistico, piace tanto ai turisti ma non appartiene per nulla alla storia locale, come ricorda l’immenso Ettore Barnao, studioso acerrimo e sensibile della cultura strombolana tout court.
La “montagna” si prepara alla stagione estiva brontolando parecchio, giorno e notte. Si fa sentire. E i suoi scoppi luminosi richiamano gruppi di persone che salgono, accompagnati dalla guide, anche fuori stagione.
Il verde, sui fianchi larghi del vulcano, è brillante. Spadroneggiano l’odoroso finocchietto, l’assenzio cangiante, l’ortica pizzicotta, la malva violetta… Mano a mano la montagna recupera i danni del terribile incendio del 2023, accaduto ex manu alicuius e qui la chiudiamo, per non perderci.
Non servirà ricordare che le sette Eolie son patrimonio dell’Umanità, titolo che da solo non dice più nulla. Spesso vi prevale la logica da riserva indiana. Mi arrabbio. Un patrimonio dell’umanità non dovrebbe essere un orto, più o meno grande, protetto da un reticolato, in un mondo che viene lasciato alla deriva ecologica e sociale. Che senso ha? Un patrimonio perchè sia dell’umanità deve avere un contesto. E il contesto di tutela non può che essere planetario. Ma non è il momento della rabbia. Torniamo a Stromboli. Che è vero patrimonio naturale degli umani.
Secondo privilegio. Il Punta Lena è aperto! Restaurant de mon coeur. Ci passiamo durante una passeggiata con Lorenzo, mentre percorriamo la “strada bassa”. L’altra, è quella “alta” e tutto si percorre a piedi poiché, come è noto, sull’isola non hanno cittadinanza le automobili brum brum brum e puzze varie: questo è un plus inestimabile per noi urbani, soffocati da rumori e pestilenze dei motori a scoppio.
Costeggiamo il mare e arriviamo al piccolo promontorio, levigato dalle onde: è la Punta della Lena, che ha dato il nome al locale. Laddove i rematori dovevano darci sotto, con “lena”, per superare il piccolo istmo.



Il caso vuole che, mentre lo sfioriamo, esca dal magico portoncino blu del giardino la patronne, Milena Oliva, con sua madre. Ce lo confermano: il ristorante apre questa sera.
Bingo! Siamo ancora quasi fuori stagione. Non era scontato.
Pochi fronzoli e niente ciance. Punta Lena è una chiara declinazione della quintessenza di Stromboli. Sia detto senza esagerazione.
Partiamo da oggi e dai fatti, che per un ristorante son dati dall’esperienza che offre ai suoi ospiti.
Una terrazza sul blu del mare, sorvegliato da Strombolicchio, l’antico Stromboluzzo (l’altro nome è un’italianizzazione novecentesca), cono vulcanico primigenio che esisteva quando ancora Stromboli doveva emergere dagli abissi. È il vulcano nonno, poi sgretolato, che ha conservato il suo cuore di pietra. Il suo neck, in termini geofisici. Un isolotto che ospita il faro e, fino agli anni Sessanta del Novecento, anche il suo guardiano.
Al Punta Lena vieni accolto con calore e con la giusta discrezione, senza salamelecchi fastidiosi, senza un’ombra di freddezza. In medio stat virtus. Milena cerca di farlo, sempre, lei stessa. Ma se al suo posto troverai, magari, Angelo Gitto, una garanzia storica in sala, lo stile non muterà.
Certo, in agosto l’atmosfera diviene concitata, il locale va a tutto gas. Ma perchè tu continui ad andare in vacanza ad agosto? Esercita il tuo diritto alla pace e imponi al tuo calendario altre date.
Accomodati al tavolo, guarda il rosa del cielo all’imbrunire, odora lo iodio vaporizzato dalle onde che si infrangono poco sotto ai tuoi piedi. Ascolta il suono del mare. Perchè sei in mezzo al mare, letterale. Intercetta, al giungere del buio, l’altalenante luce del faro.
Anticamente era il vulcano stesso a fungere da segnale luminoso per i naviganti. E Stromboli (il cui nome è d’ascendenza greca, da Στρογγύλη, Strongyle che significa “rotondo”) veniva chiamato dai Greci “il faro del Mediterraneo”. Come a dire che la sua fama era universale, di tutto l’universo, quello allora noto.
A illuminare i tuoi sensi c’è un menu meditato, ma aperto totalmente alla “cuisine du marchè”. Meaning: all’offerta delle fragranze di giornata, quelle marinare in testa.
In cucina è sovrano il pesce, prevalentemente quello proposto dai pescatori locali. Ne sono rimasti pochissimi e Milena è fermamente convinta che vadano sostenuti. Loro la ricambiano, consegnando alle sue mani una materia prima di eccezionale freschezza e qualità.


Imparerai a conoscere lo scantaro, cugino lontano del sarago e così chiamato perchè è un fifone (scantarsi, avere paura). Ti verranno presentati i gamberetti di nassa, rossi con le loro uova blu oltremare. E poi le ope sapide e argentate, la mustina profonda e morbida.
Li puoi vedere i pescatori, pochi, colle loro piccole barche, a metter giù le nasse e ritirarle il giorno dopo, quasi fossero collane con cui ornare il décolleté del vulcano. Una pesca sicuramente non intensiva questa qui! Rispettosa e lenta, tutta svolta manualmente. Ecocompatibile.
Ma non di sola materia prima – sempre eccelsa – vive Punta Lena.
C’è lo stile, l’impronta filosofica.
Esagero? Neanche per sogno. Dico filosofica perchè è una cucina che nasce da un pensiero. Una cucina figlia di idee e sentimento.
Che ha anche la sua storia. Familiare e isolana.
Stefano Oliva è un ragazzo strombolano che si dedica alla pesca sulle barche che battono il mare circostante cercando tonno o pesce spada, da offrire al mercato locale e siciliano. Gli piace pescare, ma ancora di più gli piace cucinare per il piccolo equipaggio. Se la cava bene, riceve complimenti. E scopre una vocazione. Poi d’inverno, si adatta a fare lavori di edilizia, ma il tarlo della cucina lo tormenta felicemente.
Nel frattempo incontra una ragazza Eva Breitenstein, svizzera di Basilea, in vacanza a Stromboli con la famiglia; hanno acquistato una casa, quando l’isola era ancora fuori dalle rotte del turismo e terra quasi esclusiva dei suoi abitanti.
Coloro che, negli anni Sessanta e Settanta, hanno deciso di comprarsi casa a Stromboli non l’hanno fatto per ostentare uno stile di vita. L’isola era sgarrupata assai, molti i ruderi decadenti, causa emigrazione forzata durante decenni e decenni. Lo hanno fatto per amore di una strana bellezza. Hanno saputo vedere, e amare, l’anima del luogo.
Oggi l’isola è molto diversa, diversamente bella.


Stefano Oliva si sposa, è in arrivo una bimba che la mamma decide di far nascere nella sua città, Basilea. Il giorno del suo battesimo viene inaugurato il ristorante: Milena viene battezzata in cucina, insomma. È il 26 giugno 1988.
“Sono cresciuta in quel luogo, per me è stato un punto cardinale, anche al di là di papà, come luogo fisico dedicato a far cucina e accoglienza. Per me era casa” mi dice Milena, oggi.
Lei frequenta le scuole primarie sull’isola, poi per le superiori si sposta a Taormina, dove risiede in un Collegio, tranne che per l’ultimo anno in cui va ospite in famiglia perchè quell’ambiente religioso le risultava oppressivo.
Si diploma al Liceo linguistico e poi si iscrive all’Orientale a Napoli. Filosofia. Nel frattempo, l’estate, torna a casa e lavora con papà nel ristorante.
Milena non ha terminato gli studi filosofici, la strada si è rivelata ricca di bivi e soste. “Erano gli anni della Gelmini e all’Università si facevano assemblee e si occupava… abbiamo tutti perso un po’ di tempo…” .
E poi il ristorante la appassionava sempre più. Anche la famiglia materna le ha dato visioni e incursioni gastronomiche. I nonni di Basilea erano vicinissimi all’Alsazia, patria di grandi vini, e amavano sperimentare, assaggiare, andare a mangiar fuori e provare abbinamenti vino-cibo. Il verbo gastronomico, insomma, in famiglia circolava fluidamente.
Milena, poco più che ventenne, decide di iscriversi al corso AIS a Milazzo e si diploma sommelier. Il dado è tratto, ma il percorso di studio non è svanito: “Dello studio mi è rimasto molto. L’approccio filosofico ti apre la mente, offre gli strumenti per una visione critica”. Le chiedo cosa le interessava di più. “Michel Foucault era tra i miei autori più amati. Mi interessava molto la filosofia politica. Ma anche la fenomenologia di Husserl, che offre una chiave di lettura alla complessità e alle stratificazioni di cui sono composte le nostre vite, mettendo al centro il concetto di relatività”.
E tutto questo, torna. Torna nella profonda cura con cui Milena oggi si approccia a ogni aspetto nel suo locale: analisi e riflessione generano equilibrio e armonia. Dai colori scelti per la sala, arredata con semplicità elegante e libera da ogni artificio modaiolo. All’attenzione con cui sceglie e forma il personale di sala.

“La sala è la relazione. Per noi che la gestiamo ci deve essere ordine e metodo, ma dobbiamo comunicare fluidità e presenza. L’attenzione a quel che accade deve essere costante, uditivamente e visivamente. La sala è il perno strategico tra la cucina e l’ospite. Accoglienza significa cura, significa studiare chi hai davanti, capire quale sia l’atteggiamento o il consiglio giusto da offrire, intuire se una scelta fatta dal cliente può non essere quella corretta per il suo piacere e, con tatto, provare a fargli cambiare idea. Se c’è l’insicuro, devi rassicurarlo con delicatezza e magari ti ripaga lasciandoti carta bianca… insomma la sala e la gestione del personale rappresenta un buon 70% del mio lavoro”.
La sua equipe è una specie di famiglia. Ricordiamone i nomi. Mirco Barresi è lo chef, mentre Ana Focan segue antipasti e svolge il ruolo di pastry chef. In cucina anche Silvio Oliva e Pietro Marrone. In sala, due colonne portanti, entrambi strombolani: Angelo Gitto e Lorenzo Cusolito. Tutti loro passano 5 mesi dell’anno insieme, a contatto continuo, dato che il ristorante è aperto a pranzo e a cena. Il lavoro da direttrice d’orchestra di Milena dà i suoi frutti e quella fluidità di cui lei parla, si percepisce.

Devi sempre ricordare che sei su un’isola persa nel blu del Tirreno, non in centro a Milano o in una situazione di urbanità. Qui tutto è più difficile: le forniture, i contatti, la ricerca del personale. I risultati che Milena ottiene hanno dello straordinario per la qualità complessiva che offre agi ospiti del ristorante.
“Fare ristorazione a Stromboli presenta un rilevante problema di sostenibilità, economica e generale. Inoltre l’immensa mole di burocrazia e di norme rappresenta un ulteriore peso. Lo Stato sicuramente non ci aiuta”.
Perchè bisogna ricordare che lei non ha alle spalle un grande albergo, un gruppo finanziario, un sostegno extra. Lei ha tutto, ma proprio tutto, sulle sue spalle.
Eppure la sua visione, tenuto conto di ogni dettaglio, è chiara:
“Se vuoi fare ristorazione di un certo tipo, non diventerai mai ricco. Se tu investi in un’ottima materia prima, in contratti di lavoro regolari, sulla qualità del servizio offerto, è così. Ma io questa idealità non la cambio. Per me la qualità, sotto ogni aspetto, è imprescindibile. E un altro aspetto riguarda i prezzi che non possono diventare stellari”.
Come darle torto? Parole sante. Tutelare il lavoro, lavorare con cose buone. E non lucrarci schifosamente sopra. Perchè la cucina d’eccellenza dovrebbe essere riservata ai soli facoltosi? L’accessibilità dei prezzi è un tema centrale nella ristorazione oggi.
Spesso si paga tanto per mangiare male: un gioco sporco che punta sull’ignoranza degli avventori. Spesso, invece, si paga poco, per mangiare malissimo. Raramente si paga il giusto per approcciare un’esperienza gastronomica appagante. E Milena è tra questi virgiliani rari nantes, rari nuotatori nel vasto gorgo.
I prezzi sono commisurati alla qualità, alta, di quel che Punta Lena offre. Mai esagerati. Mai sono uscita da questo luogo pensando di avere speso troppo. La qualità delle pietanze, il servizio, il poter essere in quel luogo con quel livello di ristorazione, valeva sempre e pienamente il conto pagato.
Milena è mente e corpo di questo luogo. Una ragazza a pilotare un ristorante. È così da quando Stefano Oliva, suo padre, non c’è più. In fuga tra gli dei, come avrebbe detto Veronelli, prematuramente, a 57 anni, quasi senza preavviso. Una malattia de lo ha strappato. L’ultima volta che l’ho visto, a luglio 2017, lamentava forti dolori di schiena. A settembre lascia l’isola, per curarsi, e a novembre lascia definitivamente questa Terra. Lui va e Milena resta, la stagione non è conclusa e lei fa del suo meglio, come lui le ha chiesto.
“Non mi sono fatta domande. Ero solo frastornata. Quando lui è partito, mi sono data da fare per chiudere la stagione. Quando poi ci ha lasciato, non ho quasi avuto tempo per pensare, troppe cose da sistemare. Al funerale tutti mi dicevano adesso devi portare avanti tu il progetto di papà… poi, a bocce ferme, ho sentito il dolore, lancinante. Ma se continuare o meno, era fuori discussione”.
Stefano era un padre presente ma esigente. Milena mi racconta che non perdeva tempo in encomi e salamelecchi. La spronava a far meglio, a sfidare se stessa. Non le regalava mai complimenti. Era molto convinto delle sue idee e non era facile fargliele cambiare, anche se, negli anni, le dava più spazio, mano a mano. Senza mai sbrodolarsi in lodi con lei.
Eppure io ho netto il ricordo, lei assente in sala, di questo padre sorridente che racconta della passione, dell’impegno e della preparazione di sua figlia. Sul vino, via via, le aveva lasciato campo libero, e lo diceva con fierezza. Di lei, parlava con assoluto orgoglio di padre. Come da manuale: padri che, nel rapporto diretto con le figlie, non son generosi di pacche sulle spalle. Non regalano gratificazioni, mai. E le segnano. Ma tant’è: è la storia di molte donne, questa. Milena lo sa, lo racconta ma sa anche che lei è così incarnata con questo lavoro perchè lo ha respirato, anche con suo padre.
“A volte, lui viene fuori all’improvviso. Mi ricordo di cose che faceva o diceva e rappresentato ancora per me una base, un insegnamento. Quando, qualche anno fa, ho deciso di inserire nelle proposte gastronomiche il pesce frollato l’ho fatto perchè lo avevo assaggiato durante uno dei miei viaggi invernali, e mi era piaciuto, l’ho trovato estremamente interessante. Poi mi sono ricordata che papà, certi pesci, quando arrivavano freschissimi, li metteva in cella frigorifera per qualche giorno, per migliorarne le qualità organolettiche. Ecco, vedi, cose così…”
Milena, nel corso di questi anni, ha prima continuato sulla scia paterna e solo poi, con delicatezza assoluta, ha raffinato lo stile, ha impresso la sua impronta – intelligenza, sensibilità, eleganza- a cucina e sala.

Ha portato avanti la sua passione e la sua competenza in tema enoico, arrivando a proporre una Carta dei Vini con una chiara filosofia di riferimento: puntare sui vini delle Eolie in primis, e poi la Sicilia. E ti assicuro che non è affatto scontato che, nelle isole, tu trovi nei locali i vini delle isole. Quindi, chapeaux!
E poi vuole valorizzare le produzioni artigianali. Sorvolo, appositamente, sul termine “naturali” abusato e oramai al centro di troppe polemiche. Diciamo che Milena propone vini, come dice lei, “prodotti senza chimica di sintesi, sia in vigna che in cantina”. Vini puliti, anche all’assaggio. La sua Carta è pensata pure pensando agli abbinamenti. Le piace soffermarsi sul racconto dei vini proposti, intuire cosa tu cerchi, ama proporti il vino in coerenza con le tue predilezioni ma sempre in armonia con quello che andrai a mangiare. Competenza e attenzione. Lasciati guidare da lei, sarà un piacere scoprire etichette per lo più ignote al viaggiatore occasionale a queste latitudini.
Si, il vino è racconto, veronellianamente.
In una lontana estate, 10 anni fa, con Lorenzo pranziamo al Punta Lena. Di solito non ci andiamo a pranzo, ma quel giorno, non so perchè, è così. Siamo a fine giugno. La sala è quasi tutta per noi, un regalo. Stefano Oliva ci accoglie gioviale, come sempre. Spalle e sorriso larghi e calorosi. Senza affettazione. Oggi, fuori carta, ci sono gli spaghetti con l’aragostina di nassa, suggerisce. Una prelibatezza irrinunciabile. La mano di Stefano compone una salsa di base che è essenza mediterranea, saporosa e profumata con il pomodoro presente ma non soverchiante e l’aragosta che ci danza sopra sbuffando sapore di sale, sapore di mare. Stefano ci dice che, con quel piatto, dobbiamo assolutamente bere una Malvasia, di Salina, vinificata secca. E ci presenta Infatata di Nino Caravaglio. Dopo il vino, ci presenta il vignaiolo. E noi, cadiamo innamorati. E irrevocabilmente, dopo averlo assaggiato. Cercheremo quel vignaiolo, e finalmente lo troveremo, e negli anni ne scriverò, e nascerà una sincera e rara amicizia.
Tutto questo è partito da un tavolo di un ristorante. Stefano Oliva, ambasciatore delle sue isole. Ed è anche questo è il mestiere del bravo ristoratore.
Oggi la carta dei vini di Milena amplifica e affina quella missione. Lei è la donna che ti racconta il vino. Li conosce uno per uno i suoi vini in carta, i vignaioli, ha visitato le cantine. D’inverno, appena può, viaggia. L’isola è bella, ma l’isola è piccola. D’inverno, la socialità è difficile, tutto chiuso. E allora lei parte, va. “Agli inizi viaggiavo prediligendo solo le zone vitivinicole. Oggi è un po’ diverso, cerco anche la città, le esperienze culturali e gastronomiche e il viaggio rappresenta l’incontro con le idee, il mio confronto con il resto del mondo, che è tanto più essenziale se vivi su un’isola”.
Ma siamo a tavola, finalmente. Due chiacchiere distese con Milena, la scelta dialogante del vino che cade su un gran bianco sapido dell’Etna, Tenuta di Fessina, A’ puddara 2022. I pensieri si chetano e lasciano posto alla pura sensorialità.
Arrivano i crudi, tutti localissimi: i gamberetti di nassa, esperienza strombolana paradisiaca, il tonnetto rosso dal sapore arguto, con la zesta di limone profumato e i capperi isolani sotto sale. E poi la cremosa seppia che cruda dà il meglio di sé. E per chiudere, la ricciola frollata che è l’essenza di se stessa. Su tutto, ricama l’ordito un profondo aroma marino scalpitante.
In sala poca gente, le onde si fanno sentire, il faro ci sorveglia da Strombolicchio. Quasi è difficile rompere l’incantesimo parlando. Lo facciamo vicini, e sottovoce, godendo quest’intimità privilegiata. Ecco, però, arrivano gli spaghetti di pasta fresca con i ricci. Sommo gaudio. Crema di mare. Perfetta la realizzazione, pasta e riccio son uniti in matrimonio indissolubile e marciano a pieno gusto. Piatto semplice e ai vertici.


Il secondo è il tonnetto scottato con un agrodolce di cipolla rossa. Milena mi dice che gliel’hanno portato ieri e che l’ha pulito e tagliato lei stessa: con la calma e il silenzio del fuori stagione è quasi un esercizio meditativo.
Si chiude con una Malvasia passita, quella di Nino Caravaglio da Salina. Diamantina, ed elegante. Una conferma. Quella di Stromboli, che Giorgio Cusolito coltiva e vinifica secondo storia e tradizione, qui non c’è ancora. Ma arriverà. L’estate è di là da venire.
Anche se la gioia e il calore di una serata al Punta Lena sono sempre una bellissima stagione. La stagione dell’amore. Quello per Stromboli, isola delle meraviglie.
Punta Lena
Stromboli
aperto da maggio a ottobre
orario: 12.15-14.30 e 19.00-22.30 – chiuso il mercoledì a pranzo
tel. 090 986204
mail: ristorantepuntalena@hotmail.com

Simonetta Lorigliola
Simonetta Lorigliola, giornalista e autrice, si occupa di cultura materiale. È nata e cresciuta in Friuli. Ha frequentato l’Università degli studi di Trieste, laureandosi in Filosofia. È stata Responsabile Comunicazione di Altromercato, la principale organizzazione di Commercio equo e solidale in Italia. Ha collaborato con Luigi Veronelli, nella sua rivista EV Vini, cibi, intelligenze e nel progetto Terra e libertà/critical wine. Ha vissuto in Messico, ad Acapulco, insegnando Lingua e cultura italiana. Ha diretto Konrad. Mensile di informazione critica del Friuli Venezia Giulia. Da molti anni collabora con il Seminario Veronelli per il quale è oggi Caporedattrice e Responsabile delle Attività culturali. Le sue ultime pubblicazioni sono È un vino paesaggio (2018) e Eolie enoiche (2021) entrambi editi da Deriveapprodi.
Foto di Jacopo Venier