UNA RISERVA DI ESSENZE
di Marco Magnoli
Possiedo un minuscolo rifugio fra le colline, un ameno luogo di quiete ai margini di un piccolo villaggio le cui viuzze in saliscendi celano poetici scorci, angoli inconsueti, piazzette raccolte, cortili dai bizzarri dettagli che sbucano inattesi attraverso veli d’ombra, palazzi un tempo signorili d’ancora intatta dignità accanto a più modeste dimore e, ovunque, finestrelle di cellai che occhieggiano a filo del selciato, protette dai semplici ferri incrociati di una grata.
Il mio rifugio poggia su una balza affacciata sui colli; da un canto il paese, dall’altro il susseguirsi degli orti, dei prati e delle selve, una tela d’azzurro e di verde che diviene incantevole quando, d’autunno, le cromie un po’ monotone della tavolozza estiva si precisano in mille cangianti sfumature, colorando di infiniti particolari nuovi e originali racconti.
Spesso mi rintano quassù nei mesi più freddi, stregato dall’algido manto che sembra cingere il paesaggio congelandolo in uno sclerotico rigore, benché nel cuore di ogni cosa covi un’anima gonfia di fremiti e urla.
Giornate in cui caricare di legna il camino è quasi invocare conforto, sì che, al ritorno da una lunga camminata nel freddo, ti accolga il cordiale tepore della stanza, calda dei gialli riflessi di luce che la fiamma spalma sulle pareti, spandendo un intimo alito fumoso che impregna le vesti, i capelli, persino la pelle.
Un sovraccarico di percezioni che scatena pensieri, connessioni, reminiscenze di altri vissuti e talvolta scivola in un singolare stato d’animo – skutschno lo chiamano i russi – da qualcuno definito «un vuoto dell’anima, che si fa sentire come uno struggimento confuso ma intenso e incalzante»; una sorta di malinconico tormento per cui della vita si avverte tutta la debordante ricchezza, ma incompleta e inafferrabile, dunque irrimediabilmente incompiuta.
Eppure questo luogo incantato a volte offre un antidoto.
Capita, quando il cielo è terso, di inoltrarsi per sentieri e viottoli nella luce diafana e pura dell’alba, riuscendo ad assaporare il mondo con quell’assoluta autenticità descritta da un folgorante T.E. Lawrence, il leggendario Lawrence d’Arabia:
«Partimmo in una di quelle albe limpide che ridestano i sensi col sole, mentre l’intelletto, stanco dei pensieri notturni, dorme ancora. Per un’ora o due, in un simile mattino, i suoni, gli odori e i colori del mondo colpiscono l’uomo individualmente e direttamente, non filtrati né tipizzati dal pensiero. Sembrano esistere per proprio conto e la mancanza di un ordine prestabilito nel creato cessa di irritare la mente».
C’è un vino, anzi, un vitigno che tramutato in vino regala questa illusione di immediatezza, riempie insieme i sensi e la mente, scioglie il pensiero in una trama liquida dove ciò che è diretto, schietto, istintivamente comprensibile si fonde insieme a ciò che è complesso, articolato, sofisticato.
Non sempre, però, il pinot nero è capace di tanto; lo fa solo quando incontra luoghi ed uomini coi quali si sente nella giusta confidenza; al resto, poi, pensa da sé.
Markus Prackwieser conduce il suo Gump Hof a Prösler Ried, la frazione Novale di Presule del comune di Fiè allo Sciliar all’imbocco della Valle Isarco.
Nasce qui, imprevisto e sorprendente, un vino d’emozione.
Se il Südtirol è, infatti, considerato terra d’elezione per quest’uva, in genere non lo è la Valle Isarco, più in sintonia con i vitigni a bacca bianca.
Al Gump Hof, però, il pinot nero dimora in morene calcaree su compatto porfido quarzifero a 500-550 metri s.l.m. con pendenze del 50-55%, coltivato a spalliera per una densità di 8000 ceppi per ettaro.
Un felice contesto da cui prende vita l’Alto Adige Pinot Noir Riserva Renaissance che nell’annata 2016, dopo la vendemmia a fine settembre, è stato vinificato con macerazione a freddo di una settimana, seguita da fermentazione in serbatoi d’acciaio inox per due settimane con la presenza del 40% di grappoli interi; svolta la malolattica, il vino si è, quindi, affinato per 18 mesi in barrique, è stato assemblato, ha riposato per cinque mesi in botte grande ed è stato, infine, imbottigliato a settembre 2018.
Tutto questo, in fondo, non è così essenziale. Quel che conta è la spiccata nota fruttata densa e matura, straordinariamente calda, che riempie le narici col suo ampio corredo speziato, avvolto da un accenno animale cordiale e confortevole nella sua vaga selvatichezza, cui si stringe un tocco vegetale di tabacco, di cavolo cotto, di fiore essiccato che rende il tono amichevole e confidenziale per riproporlo in un sorso di nuovo ricco e maturo, di una morbidezza appena increspata dalla consistenza tannica che invade il palato con grazia spontanea e dona poliedrico dinamismo al gusto.
Percezioni che giungono dirette e non mediate, recando qualche aroma che, preso di per sé, risulta un poco ostico, può disorientare, creare sconcerto, finanche avversione, ma nel Pinot Nero trova intonazione e coerenza, prende parte a un racconto ove ogni voce risuona armoniosa, tocca le corde più nascoste e irrazionali facendole vibrare d’intensa umanità.
È quel che accade, nella vita, con le sensazioni più profonde; colpiscono inconsapevolmente, ma la nostra sensibilità le raccoglie e le distilla in una riserva di essenze che forse non andranno mai ad accomodarsi entro un ordine prestabilito, ma che goccia dopo goccia, impercettibili, inventano ed adornano ciò che pian piano diveniamo e, alla fine, siamo.
Per comprenderlo, tuttavia, occorre possedere un minuscolo, personale rifugio, un luogo ameno dove trovare il tempo e la disposizione necessari ad osservare e assaporare in pace, ciascuno secondo le proprie attitudini e modalità, così che, almeno per qualche breve istante, il mondo possa apparire perfetto nel suo irrequieto disporsi.
Un luogo del quale, ne sono certo, ognuno custodisce dentro di sé le coordinate.
MARCO MAGNOLI
Deve alla tradizione familiare la passione per i vini di qualità e a Luigi Veronelli, incontrato nel 2001, l’incoraggiamento a occuparsi di critica enologica. Dal 2003 è collaboratore del Seminario Permanente Luigi Veronelli. È tra i curatori della Guida Oro I Vini di Veronelli.