di Alberto Capatti

Nel 2020 sono scoccati 200 anni tondi dalla nascita del primo gastronomo italiano, Pellegrino Artusi. Nel 2026 arriverà il centenario della nascita dell’anarchenologo Luigi Veronelli. Coi numeri e con le idee rivoluzionarie, dei due personaggi gioca Alberto Capatti, cercando tra loro affinità e lontananze, oltre tempo e biografia.

L’ultima volta che incontrai Veronelli fu a Bertinoro, nelle vigne, mentre io ero ospite, giù a Forlimpopoli, ovviamente di Pellegrino Artusi, ed ero salito nelle colline per salutarlo. 

Il vino e Artusi, due poli opposti e contigui, in cui ragionare di cucina e di territorio, ma in quell’occasione non se ne parlò, anzi. Luigi Veronelli, lo sapevo bene, non avrebbe mai pronunciato, in quel contesto, La scienza in cucina, perché tutta la sua storia, la bibliografia stessa dei ricettari da lui pubblicati, andava in altra direzione e, con esse, il vino che ne era divenuto la guida. 

Io mi limitai a presentarmi e a cercar due parole di conversazione, mentre camminava nei vigneti, guidato e sorretto dalla compagna. 

Solo più tardi avrei conosciuto i dettagli del suo percorso gastronomico, con un Luigi Carnacina a Roma e lui a Milano, entrambi in stretto contatto, con una visione italiana della cucina, con una particolare attenzione ai mutamenti in corso, al patrimonio culturale che si sbriciolava, di cui era testimonianza la sua Ricerca dei cibi perduti pubblicata da Feltrinelli nel 1966. Visione anticipatrice che faceva tutt’uno con la Pacciada mangiarbene in pianura padana pubblicata con Gianni Brera, era il 1973, con ricette tutte sue, dagli agnolini alla zuppa latte e vino.

Luigi Carnacina

Artusi era all’opposto? 

Diciamo che si situava, per Veronelli, in un passato ad un  tempo lontano e ininterrotto, e a renderlo interessante non era certo il vino che pure il signor Pellegrino aveva acquistato, come al solito, in botte, a Bertinoro stessa o nelle vicinanze, e fatto trasportare nella casa di Firenze. 

Oggi, nel celebrare il bicentenario della sua nascita, non possiamo esimerci dal ricercare in questi due personaggi alcuni tratti comuni, il primo eran due uomini attratti dalla cucina, autori di ricette senza esser cuochi, il secondo una strana libertà di pensiero esplicitata scrivendo, facendo dell’alimentazione una ragione per esprimere idee inconsuete, eversive. 

Ma forse non è opportuno continuare questo faccia a faccia che trova in me, artusiano e veronelliano, un modo di esprimermi volutamente ambiguo, con uno sguardo che ora cerca l’uno ora cerca l’altro per associarli-dissociarli. 

Certo è molto più facile lasciar Luigi su nelle vigne di Bertinoro, e Pellegrino giù a Forlimpopoli, a casa Artusi, senza offrirgli quel calice di vino che non si era meritato.

Ed ecco che è inevitabile che ricada nell’ovvio, celebrando il bicentenario della nascita di Artusi, senza tener conto che il centenario della nascita di Luigi Verorelli cadrà nel 2026, ed è difficile immaginarlo nel dettaglio, pur essendo prossimo, tanto il mondo postcovid sta mutando, anche se molte bottiglie di vino verranno stappate per l’occasione e ce ne saranno alcune che aveva, in vita, deposto nella sua cantina. 

Allora recupero di nuovo entrambi e la loro biografia, per chiarire che la storia della cucina italiana è stata fatta a spese di ogni evidenza, da un vecchio scapolo che pubblica a settant’anni un ricettario e ne cura le riedizioni sino agli anni Novanta, e da un borghese anarchico che pensa pentole esplosive e bottiglie d’annata, pronto alla disputa con un Mario Soldati su un’etichetta e al sodalizio con un povero romano, Carnacina, che aveva girato alberghi e cucine d’Europa per finire la sua carriera scrivendo ricette e facendole pubblicare da Luigi stesso. 

Mario Soldati

E mi viene voglia di assimilarli, leggendo, contro ogni luogo comune, prima una ricetta di Sarde ripiene del 1906 ed una di Sarde a beccafico di sessant’anni dopo che si rispecchiano, poi una ricetta di Beccafichi e ortolani arrosto nella Ricerca dei cibi perduti ed una di Tordi finti ne La scienza in cucina. 

Decisamente, con o senza caccia, la cucina è il luogo in cui giocare con i luoghi comuni e scriverne rendendoli unici, tanto più che gli uccelletti arrosto, baccafichi e ortolani, sono stati catturati da un parroco, don Eugenio che “vanta il migliore roccolo della bergamasca” e da lui spediti in casa Veronelli. 

Quelli finti, un lombardo avrebbe detto scappati, sono un puro inganno che ricerca l’ospite ingenuo, credulone, cui Artusi, per scherzo, toglie l’aggettivo al titolo, lasciando il giudizio ad uno sguardo che indaga e non trova il volatile sotto la fetta di lardone. 

Non è forse immaginazione tutto questo, un uccello e la sua controfigura che, presentati su di un piatto, per il godimento degli occhi, spariscono fra i denti, a bocconi? 

Forse storia e gastronomia vanno pensate proprio così, non su e giù da Bertinoro a Forlimpopoli, ma liberi di viaggiare con la bocca e con la testa, considerando lo scrivere un modo di cucinare le idee altrui…

Vigne a Bertinoro – Forlì-Cesena (foto L.Monasta)

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Alberto Capatti

Alberto Capatti

Nato a Como il 2 novembre 1944, è uno tra i principali storici della gastronomia italiana e da molti anni si occupa di storia dell’alimentazione e di cultura materiale.
Ha diretto, dal 1984 al 1989, “La Gola. Mensile del cibo, del vino e delle tecniche di vita materiale” in cui prendeva forma di rivista un poderoso e inedito mix arte, letteratura, design, cucina, antropologia, grafica…che uscì in edicola dal 1984 e il 1991. Capatti è stato direttore scientifico del Comitato Decennale Luigi Veronelli.
È stato membro del Comitato direttivo dell’Institut Européen d’Histoire de l’Alimentation (dal 2005 al 2012).
È stato il primo rettore dell’Università di Scienze Gastronomiche di Pollenzo, e direttore di “Slow”, rivista di Slow Food dal 1994 al 2004.
Nel 2001 ha curato, con la direttrice della Bibliothèque de l’Arsenal la mostra «Livres en bouche» presso la Bibliothèque Nationale de France.
Fa parte del Comitato scientifico di CasArtusi.
Dal febbraio 2018 è presidente della Fondazione Gualtiero Marchesi.