di Alberto Capatti
Fingo che sia un pane in cui mia, in lombardo, è minga, mica, nulla, ma potrebbe configurare anche una misura lineare, le miglia, rivelandosi pane lunghissimo e così lo viviamo, il covid.
Poi voglio assaggiarlo, voglio assaggiarla, ed è solo cifre e numeri, e non ci provo gusto, quindi passo ai ricordi – il pane è memoria – ed allora ha un sapore, un sapore di vita vissuta.
Una primavera da fantasmi
Il primo ricordo è la chiusura di marzo e aprile, che mi ha privato di ogni contatto facendomi riflettere sull’essere e il nulla quest’ultimo concretizzato dalla visione della Piazza del Duomo, a Como, sempre vuota, dal silenzio notturno, da negozi, bar chiusi. Qualche rara figura preceduta da un cane al guinzaglio faceva pensare di essere guidata da uno spirito canino, ed io stesso guardando dalla finestra mi sentivo rapire e svanire.
L’essere, con il nulla, non è vita vissuta ma una sorta d’attesa.
Facendo cosa? Scrivendo la storia del fantasma che stavo divenendo, libero, nella mia immaginazione, di uscire di giorno e di notte, senza che nessuno lo vedesse, di entrar nelle case, di scoprire amici ed ignoti anch’essi nell’attesa, silenziosi. Questo primo lungo racconto mi permetteva di andar fuori, fuori di me, quando volevo, in particolare al buio, bevendo vino buio, e di vivere contro ogni regola e contro ogni rischio, dialogando con me stesso ed escogitando strane conoscenze, impensabili prima della chiusura. Il covid mi ha insegnato ad usare un vecchio strumento dell’esistenzialismo, l’essere e il nulla, per costruire romanzi assolutamente immaginari, di una concretezza sconcertante.
Ne ho tratto un lungo racconto sotto forma di diario che resterà nella memoria del mio computer.
Cucine italiane in scrittura
Poi sono passato, da aprile a giugno, a scrivere il libro che è ora stampato con un titolo, La ricetta della ricetta. Tutti sanno come ci si approvvigionava durante la visita settimanale al supermercato ed io, malgrado le mie ricette, non ero da meno, e con la moglie facevamo una spesa oculata che ci permettesse di cucinare, con tutto quel tempo a disposizione, provando qualche nuovo piatto.
Dagli gnocchi all’ajo e ojo
Così abbiamo iniziato a fare gli gnocchi di patate, ed a studiarne forme, varianti e condimenti. Durante il giorno, quando non guardavo dalla finestra la piazza deserta, scrivevo storia e lingua e geografia delle ricette italiane, soffermandomi in particolare su quelle che esplicitavano un vissuto, che stringevano relazioni, che mi facevano vivere quello che il covid vietava.
Leggendo prendevo il posto di una cuoca sconosciuta o di un amico commensale, mi ritrovavo a vociare con un gruppo di amici, e scrivendo li ricordavo pensando ad un futuro, al libro che sarebbe uscito in tutta libertà (ed invece è diffuso proprio ora con un ritorno alle serrande), poi mi sbizzarrivo con spaghetti ajo e ojo, con tartufi afrodisiaci, con bistecche alla fiorentina preparate con il microonde, tutte esperienze reali ed immaginarie da cui uscivo come il fantasma della cucina italiana.
Una lezione sui generis
Invece che istruire ascoltatori o lettori sul buon uso, o cattivo, del covid, ecco il mio vissuto, ecco un’esperienza intellettuale dalla quale oggi, con bar chiusi alle 18, sento di non essere uscito, e di dover progettare, scrivere altro. Che cosa ? Ovviamente non si confessano i segreti, ma il fantasma sta riprendendo possesso di me, e già mi ha afferrato il polso, la mano, dirigendo le dita verso la tastiera ed a questo punto lo scorgo, lo fisso.
Far balenare la luce
Ha il volto di Veronelli, di un Veronelli cieco e veggente, ritornato in una Accademia Carrara svuotata e chiusa dalla pandemia, disposto a guidare ognuno di noi verso cantine buie, o ad accompagnarci negli oscuri spazi dove improvvisamente si accende una lampadina e appare una tavola apparecchiata.
Vuole tuttavia che non perdiamo tempo a ricercare la nostra identità nel nulla, e da bravo anarchico ci insegna a far balenare la luce – lasciando i numeri degli infetti ai giornalisti – in noi stessi con la parola, la scrittura, il disegno e quanti altri linguaggi ci sono offerti da un telefonino.
Io riprendo a leggerlo e mi persuado che mi farà scrivere al di là dell’essere e il nulla, al di là del fantasma che ero a marzo e ad aprile, e concludo questa mia paginetta ringraziando il covid che ha imposto le regole ed ha infranto le regole, ridimensionato il rapporto fra vita e morte, e ci ha concesso di fantasticare ricette non solo di cucina, ma di vita.
Alberto Capatti
Nato a Como il 2 novembre 1944, è uno tra i principali storici della gastronomia italiana e da molti anni si occupa di storia dell’alimentazione e di cultura materiale.
Ha diretto, dal 1984 al 1989, “La Gola. Mensile del cibo, del vino e delle tecniche di vita materiale” in cui prendeva forma di rivista un poderoso e inedito mix arte, letteratura, design, cucina, antropologia, grafica…che uscì in edicola dal 1984 e il 1991. Capatti è stato direttore scientifico del Comitato Decennale Luigi Veronelli.
È stato membro del Comitato direttivo dell’Institut Européen d’Histoire de l’Alimentation (dal 2005 al 2012).
È stato il primo rettore dell’Università di Scienze Gastronomiche di Pollenzo, e direttore di “Slow”, rivista di Slow Food dal 1994 al 2004.
Nel 2001 ha curato, con la direttrice della Bibliothèque de l’Arsenal la mostra «Livres en bouche» presso la Bibliothèque Nationale de France.
Fa parte del Comitato scientifico di CasArtusi.
Dal febbraio 2018 è presidente della Fondazione Gualtiero Marchesi.