Intervista a Mauro Benso, proprietario del Magiargé, ristorante tradizionale del Ponente Ligure

di Francesca Motta

Osteria Magiargé – Vini e Cucina
Via Dritta 2, Bordighera (IM)
magiarge.it

Incastonata tra la celebre Sanremo e la storica Ventimiglia, a pochi chilometri dalla Costa Azzurra francese, Bordighera, anche conosciuta come la città delle palme, è una perla preziosa dell’estremo Ponente Ligure.

La città divenne una delle mete preferite dai turisti inglesi verso la fine dell’Ottocento e da allora la fama della sua bellezza non ha fatto che crescere.

Margherita di Savoia vi fece costruire una villa a suo nome e vi risiedette per anni fino alla sua morte.

Monet vi giunse per un soggiorno di pochi giorni, ma finì per ritardare la partenza di qualche mese, stregato da questo paese che ritrasse più volte nei suoi capolavori.

Bordighera ritratta da Monet

I suoi paesaggi esotici, i suoi profumi di mare e lo stile architettonico colpiscono chiunque metta piede nella città delle palme.

Soprattutto quando si ritroverà a passeggiare, una sera, nei pressi della Chiesetta di Sant’Ampelio, di rara bellezza, che emerge direttamente dagli scogli e su cui si infrangono le onde: un’atmosfera estremamente suggestiva.

Bordighera vale dunque una visita per numerose ragioni, e tra queste non può non essere citata la sua tradizione gastronomica.

Essendo una città di confine, la cucina locale rappresenta il punto di incontro tra diverse culture ed esperienze, dando vita a un mix unico di sapori e profumi che viene apprezzato dai turisti italiani e stranieri.

E a Bordighera si trova di tutto: da piatti di mare tipici a base di pesce fresco, a piatti di terra che simboleggiano la vicinanza del posto alle montagne retrostanti (e al Piemonte) a base di carne, in particolare il coniglio, e di verdure.

Il tutto accompagnato dai tradizionali Pigato e Vermentino, freschi e profumati, o dal più corposo Rossese della vicina Dolceacqua.

Se chiedete a un bordigotto consigli su qualche ristorante che rappresenti appieno la tradizione ligure, vi indicherà sicuramente il “Magiargé”.

Il locale, aperto da Mauro Benso nel 1996, è ancora oggi gestito da lui e dalla sua famiglia ed è ben noto in città per la sua carta dei vini estremamente ampia, contraddistinta da centinaia di etichette italiane e francesi, nonché per il suo menù ricco di piatti locali.

Da dove trae origine il nome del ristorante e cosa significa?

Magiargé, intanto perché in questa piazza, al posto del monumento di Giacomo Viale, c’era la statua della Magiargé che anni fa è stata trasferita sotto il Comune. Era una principessa spagnola, fatta schiava da un pirata saraceno, e comunque un personaggio di un’antica leggenda locale, bordigotta specialmente. A noi è piaciuta e, visto che qui è terra di saraceni, abbiamo fatto questo investimento su un nome molto tradizionale, su una cosa molto sentita dai bordigotti. Magiargé in dialetto è una deformazione della parola “smargiassa”, ovvero “scostumata”. La statua che ritrae la principessa, infatti, lascia intravedere una coscia. E nel Quattrocento, fare vedere una coscia molto sconveniente. C’è anche chi dice, secondo un’altra leggenda popolare, che Magiargé fosse una cittadina bordigotta che si salvò dagli attacchi dei Saraceni concedendosi a questo pirata.

Quando nasce l’attività e con quali obiettivi?

L’attività è nata per scherzo con un mio caro amico, che poi è diventato mio socio, nel 1996. Volevamo fare una sorta di osteria, con qualche piatto e qualche vino, da chiudere dopo l’aperitivo. Abbiamo poi commesso l’errore di mettere le tovaglie e siamo diventati un ristorante. Volevamo essere una cosa molto semplice e invece ci siamo fregati da soli! Nel tempo è, dunque, cambiato l’orizzonte, pur mantenendoci fedeli all’ideale di osteria che avevamo raggiunto: ci piace la convivialità, la nostra cantina è molto varia, insomma, ci piace così com’è.

Quali sono i valori che caratterizzano il vostro locale?

In primo luogo, la convivialità delle persone: ci piace proprio che il locale sia un po’ rumoroso, un po’ alla buona, se vogliamo, sempre con un occhio attento ai canoni della buona ristorazione. In secondo luogo, per noi è fondamentale proporre un’offerta gastronomica di buona qualità, sia per quanto riguarda il menù sia per quanto riguarda la carta dei vini. E ci piace offrire il prodotto giusto a un giusto prezzo. Infatti, la nostra clientela ritorna molto volentieri.

Come si distingue la vostra cucina?

Intanto per la stagionalità dei prodotti, come i carciofi, le trombette, le fave, e lo stesso vale per il pesce, perché ci sono i pesci estivi e ci sono i pesci invernali. Il menù, dunque, cambia fisiologicamente durante la stagione. D’estate facciamo piatti più freschi, a base di verdure, più semplici, data la maggiore influenza che abbiamo, dandogli sempre un carattere assolutamente ligure. Cerchiamo, inoltre, di dare sempre il chilometro zero il più possibile e ci manteniamo l’osteria proprio perché usiamo prodotti di territorio, perché sottolineiamo il concetto di territorialità. Slow Food ci ha premiato nella guida con la chiocciola e siamo stati citati per tanti anni dalla Guida Veronelli. L’obiettivo è andare avanti così, se tutto va bene.

La vostra carta dei vini è famosa in tutta Bordighera. Chi se ne occupa e con quali criteri vengono selezionati i vini? Di quante etichette consta e quali hanno più successo?

La carta dei vini è una mia cosa assolutamente personale. I vini vengono selezionati da me in base a ripetute degustazioni durante tutto l’anno, sia in Italia che in Francia, cercando di offrire sempre il miglior rapporto qualità/prezzo, benché abbiamo tanti vini anche dispendiosi, perché ci sono i clienti che espressamente li richiedono. Per il numero delle etichette variamo da 600 a 800. Una volta erano anche di più, più di 1000 etichette, poi c’è stato un momentino di stallo e abbiamo rivisto un po’ il tutto cercando quantomeno di eliminare i doppioni e di mantenere un livello elevato. Stagionalmente, i vini che hanno più successo d’estate quando ci sono i turisti sono quelli liguri, come Vermentino, Pigato e Rossese, che vanno per la maggiore. Lavoriamo molto bene anche con i vini francesi, gli Champagne, i vini dal centro e dal sud Italia e qualcosa dal mondo. Anche il nord Italia funzione bene, ma i vini da Sicilia, Campania, Abruzzo sono molto richiesti, specialmente dagli stranieri.

Relativamente a questo periodo, quali sono i suoi pensieri e come avete fatto fronte a questa situazione?

Eh beh, questo è un discorso particolare, in qualità di ristoratore, nel senso che abbiamo passato un brutto periodo, ma la ripartenza è stata incoraggiante. Vedere gente che mangia sotto l’acqua o sotto il vento, con il freddo, senza lamentarsi, ci ha motivato per il futuro. Speriamo di passare questo scalino, abbiamo veramente bisogno di riprendere la normalità. Noi siamo contenti, siamo ripartiti dolcemente: abbiamo la fortuna di avere una terrazza molto grande e il comune ci ha aiutato raddoppiandoci i metri. Si sta riprendendo molto bene. Siamo arrivati quasi indenni fino a questo punto per 14 mesi e credo che ormai una quindicina di giorni di brutto tempo non ci scalfiranno, ormai siamo diventati dei Rambo, lavoriamo nelle condizioni più incredibili. E comunque andiamo avanti.

Crediti fotografici: cinquevalli.com


FRANCESCA MOTTA

Nata e cresciuta a Milano, dopo aver ottenuto la maturità classica presso il Liceo Classico Virgilio, si è trasferita ad Oxford per lavorare nella ristorazione e per conseguire un diploma di perfezionamento in Scienze Politiche. Successivamente, decide di dedicarsi al volontariato e parte alla volta del Ghana, dove tiene corsi di diritti umani nelle scuole di Accra. Solo dopo aver conseguito la laurea in Scienze Internazionali e Istituzioni Europee presso l’Università degli Studi di Milano, ha deciso di dedicarsi alla sua vera passione: il vino. Comincia a frequentare il corso per sommelier con AIS Milano e ottiene il Master in Wine Culture and Communication presso l’Università di Scienze Gastronomiche di Pollenzo. Ad oggi, lavora presso il Seminario Permanente Veronelli in qualità di collaboratrice di redazione.