Personale e territoriale. Un ossimoro che può generare bellezza. Laurent Cunéaz, vignaiolo valdostano, imprime il segno della montagna, suoli e microclimi, e battezza il suo Pinot nero con il suo secondo nome, Pierre, donandogli nella realizzazione, un innegabile tocco individuale e sentito.
di Marco Magnoli
Da buon veronelliano, sono convinto che i vitigni siano apolidi e, anche se verosimilmente nati o selezionatisi in aree ben precise, liberi di vagare in giro per il mondo confrontandosi con i più disparati contesti vitivinicoli.
Sono altrettanto persuaso, però, del fatto che spesso conservino nel carattere qualche tratto, qualche sfumatura delle atmosfere vissute e respirate nelle terre d’origine.
È senz’altro così per alcune delle più note varietà a bacca rossa considerate “internazionali”, ovvero le uve bordolesi, in particolare cabernet sauvignon e merlot, e il borgognone pinot noir.
Le prime due, infatti, paiono aver assorbito dalle terre di Bordeaux lo spirito borghese, quella vocazione imprenditoriale e intraprendente che consente loro di adattarsi con relativa facilità pressoché ad ogni nuovo ambiente, sfruttando le peculiarità e le potenzialità dei luoghi per dare risultati diversi ma, quando ben accudite e vinificate, di notevole valore.
Il pinot nero, al contrario, nato nella nobile Borgogna, si porta dietro il suo carattere aristocratico e un poco sdegnoso.
Lo fa al punto che, seppur diffuso in numerose aree viticole del mondo, riesce ad esprimersi in modo superlativo solo in specifici contesti pedoclimatici e dispregia risolutamente climi, suoli, pratiche colturali ed enologiche troppo lontane da quelle che ritiene per sé ottimali.
Coltivare e vinificare pinot nero rappresenta, insomma, una sfida raccolta da molti vignaioli, ma da pochi adeguatamente affrontata e, quando veniamo a sapere di qualche produttore deciso a cimentarsi con il Signore di Borgogna, subito ci tornano alla mente i celeberrimi versi di Dante:
“Qui si parrà la tua nobilitate”.
Uno tra i tanti elementi a cui il pinot nero non può assolutamente rinunciare è la presenza nei vigneti di una marcata escursione termica, che gli permetta di ben maturare alla calda luce del giorno e di conservare, con il fresco delle ore notturne, la sua singolare aromaticità, destinata a svanire qualora esposta ad un calore continuo.
Non è un caso se, nel nostro Paese, i territori nei quali raggiunge i suoi vertici qualitativi siano appunto quelli più settentrionali, in particolare l’Alto Adige.
Anche la Valle d’Aosta, però, forte dei suoi climi e delle sue altitudini, ci offre esempi sempre più diffusi e convincenti di Pinot Nero di notevole interesse e qualità.
In una valle punteggiata di castelli, del resto, il nostro blasonato vitigno non può che respirare aria di casa. Tra i più validi interpreti del Pinot Nero valdostano dobbiamo sicuramente annoverare Laurent Cunéaz, che nella sua Cave Gargantua di Gressan ha dato vita al Valle d’Aosta Pinot Noir Pierre 2020.
Un vino che già ci aveva colpiti lo scorso anno durante le degustazioni per la Guida Veronelli 2024 e che, riassaggiato di recente, ci ha confermato la sua eccellenza.
Il legame tra Laurent e il pinot nero è nato tanto tempo fa, con le prime esperienze in vigna a fianco del nonno. All’epoca i vigneti valdostani, come da tradizione, erano caratterizzati dalla compresenza di diverse varietà; tra queste ve n’era una che il nonno non amava particolarmente, per via dei grappoli troppo piccoli e le rese troppo basse; ma il giovanissimo Laurent rimase ammaliato dall’eleganza e dallo charme tutto francese di quell’uva, irrimediabilmente rapito dal fascino del pinot noir. Con la fondazione, nel 2013, di Cave Gargantua, fu dunque impossibile sottrarsi alla sfida.
Come sovente accade in una regione dove i vigneti sono piccoli e molto parcellizzati, le uve da cui nasce il Pierre provengono da appezzamenti diffusi in aree diverse, con esposizioni ed altitudini differenti, comprese tra i 550 e i 700 metri s.l.m.
Anche le forme di allevamento sono varie, sebbene per il pinot nero Laurent prediliga il guyot.
“Dal mio punto di vista, il segreto di questa varietà sta nell’equilibrio tra acidità e zuccheri”, racconta Laurent.
“Difficilmente mi baso sul grado zuccherino per scegliere la giusta epoca di vendemmia. Il pinot nero ha bisogno di armonia per sviluppare i suoi aromi unici; la cosa più importante da valutare, quindi, è l’equilibrio acido; il grado alcolico viene di conseguenza, in alcune annate è più alto, in altre molto meno.
Il fatto di avere vigneti in zone diverse, che danno alle uve caratteristiche diversificate, aiuta molto nel trovare il bilanciamento che cerco.
La Valle d’Aosta, inoltre, con i suoi terreni sciolti e sabbiosi, poco grassi, ci consente di ottenere dei Pinot nero meno sottili ed esili rispetto ad altre aree, permettendoci di differenziarci con vini dal carattere originale e peculiare, il che non è certo un male”.
Dopo la vendemmia, il pinot nero passa in fermentini d’acciaio con circa il 20% di uva intera nel fondo della vasca per ottenere maggior struttura, tannicità, stabilità del colore e longevità.
La fermentazione con macerazione sulle bucce dura dai 20 ai 25 giorni, a seconda dell’annata.
Il vino viene, dunque, svinato e riposa per una decina di giorni in acciaio per essere poi trasferito in barrique, dove svolge la malolattica e si affina per due anni. O almeno così è stato per il millesimo 2020, anche se Laurent sta pensando, con l’annata 2023, di dimezzare l’affinamento in legno e di aumentare quello in bottiglia, alla ricerca di maggior finezza.
V’è da dire che, in effetti, i vini rossi di Cave Gargantua di solito non lesinano materia e potenza.
Pierre 2020, tuttavia, pur nella sua forza, accompagnata da intensa aromaticità, ricchezza di sfumature e complessità di dettagli, dimostra eleganza e gentilezza davvero squisite e sottili, che si esprimono nell’integrità del frutto, nel dolce e accogliente tocco appena tostato e nella trama tannica sicura, ma finemente rifinita e cesellata da un sottile rilievo speziato.
Opera di un vignaiolo che con ogni evidenza sa leggere nel cuore e nell’animo più autentici del pinot noir valdostano.
Pierre, del resto, è il secondo nome di Laurent, che con questa etichetta ha l’ambizione di proporre un vino “importante, che rimandi ai grandi Pinot Nero del mondo”, senza perdere la fresca raffinatezza dei terroir di montagna.
E senza rinunciare ad un tocco intimo e confidenziale, imprimendo una firma personale nel nome stesso di un vino che – come ci ha confidato – rappresenta il motivo per il quale si è innamorato del lavoro di vigneron.
MARCO MAGNOLI
Deve alla tradizione familiare la passione per i vini di qualità e a Luigi Veronelli, incontrato nel 2001, l’incoraggiamento ad occuparsi di critica enologica. Dal 2003 è collaboratore del Seminario Permanente Luigi Veronelli. È tra i curatori della Guida Oro I Vini di Veronelli.