Libro di Paolo Repossi

È uno stream of consciousness geografico, agricolo, antropologico, questo piccolo e curioso libro. Ti prende per mano, senza preamboli, e ti conduce letteralmente a camminare le vigne, per dirla con il celebre motto veronelliano. 

Sono vigne accarezzate con lo sguardo, modellate da pensieri e riflessioni. Accompagnate da feconda immaginazione. 

Oppure sono spezzoni di vite, quelle vissute o attraversate. Il mix è libero e senza regole, come piace a noi.

Non ci sono capitoli, sottotitoli, introduzioni e postfazioni. Parla solamente il libero flusso: l’autore raccoglie quel che la sua memoria porta a galla, quel che le stanze della sua mente fanno uscire da spalancate finestre su mutevoli cieli. 

È una scrittura sciolta, senza legami con l’obbligo descrittivo, la sintassi misurata, la scolastica didascalica. Una rarità, soprattutto nel mondo del vino dove imperano spesso la banalità e una ripetizione beota.

L’autore è nato e vive in Oltrepò pavese, zona vinicola il cui paesaggio è decisamente marcato dalla presenza dei vigneti. E questo libro entra, si aggira con disinvoltura in quel paesaggio che diventa archetipico di ogni luogo marcato dal dipanarsi dei filari. 

“Filare” parola centrale che si illumina nel titolo del libro, in cui diventa un “rito” ovvero una prassi compiuta con ingegno e passione che, naturalmente appartiene al vignaiolo. Eppure il rito è anche qualcosa di condiviso, che afferisce alla comunità. I vigneti entrano nel nostro sguardo, a volte ci catturano, per la loro bellezza o trascuratezza. Per la loro vitalità, come quelli vari e flessibili che incoronano le colline. Oppure per l’asetticità, come nei tristi e irregimentati vigneti piantati su umide pianure. 

E il “filare”? Il titolo gioca a rimpiattino tra sostantivo e voce verbale.

Un filare è, certamente, una serie di alberi o di piante allineati. Secondo il Dizionario Veronelli: “una serie regolare di piante arboree allineate, in particolare di viti”. E intorno a questo il libro gira.

Eppure non si può sfuggire all’attrazione del secondo significato di quella parola. Perchè “filare” è anche “ridurre in filo mediante opportuna lavorazione” sicut Devoto Oli. Che poi vuol dire dare forma a un pezzo di natura vegetale (o animale), guarda caso. Lino, canapa, cotone, lana. Mani esperte, ritualità contadine e artigiane.

Ma filare è anche “filare d’amore e d’accordo” o “fila via!”. La mozzarella fila sulla pizza, Berta filava. E “filante” è “malattia del vino, ormai poco diffusa, prodotta dall’azione di batteri anaerobi: rende i vini torbidi, vischiosi (filanti appunto come l’olio) e sgradevoli (Dizionario Veronelli).

Ed ecco come questa parola appoggiata sul titolo di un inconsueto libro, da sola, ci porta a girovagare nei meandri della cultura materiale. D’altra parte la collana in cui si è accomodato questo titolo si chiama, fatalità, Piccola filosofia di viaggio. E il cerchio si chiude, o si apre ancora verso nuove avventure, guardando alle molteplicità del filare. (S.L.)

Le fotografie di paesaggi vitivinicoli italiani sono di Lorenzo Monasta