Lo festeggiamo, e se lo merita, questo sangiovese mediterraneo di raffinata classe (con l’auspicio che possa tornare alla più nobile denominazione di Morellino di Scansano).
di Gigi Brozzoni
Avevo ancora nelle orecchie la voce di quel vignaiolo sconosciuto che al telefono mi avvertiva che non poteva scendere dalla sua vigna, alta sul Monte Argentario, perché stava arrivando “il male” e lui doveva difendere la sua vigna. Il male era un temporale in arrivo che minacciava di fare qualche danno, ma che in effetti non fece nulla e si spense presto.
La bottiglia che voleva farmi assaggiare la recuperai dalla sorella, che abitava in un vicolo del paese. Ma Il Male si era insinuato nella mia testa e mi ero immaginato di poter osservare la scena a volo d’uccello per guardare da lontano, in prospettiva, cosa temesse il nostro vignaiolo.
Pensai, allora, di dover raggiungere le colline di terraferma per avere una migliore visuale e iniziai a salire in direzione di Magliano. Perché Magliano? Perché è un nome conosciuto a noi che giriamo per vigne più che per cantine.
Giunto a Magliano osservai l’Argentario, con le nubi ormai diradate, che si ergeva dal mare e pensai di potermi spingere più in alto per avere una migliore visuale. Ma l’osservazione dei saliscendi delle colline vitate mi distrasse tanto che presto giunsi a Pereta e, proseguendo oltre, giunsi a Poggio Valente.
Una tenuta collinare tutta vitata, ondulata e appena intervallata da piccoli boschi e alcuni casolari. Dell’Argentario mi scordai quasi del tutto, anche perché la bottiglia l’avevo recuperata e insieme ad essa tutti gli elementi per cercare di capire il pensiero carico di ansie del vignaiolo, ormai rassicurato dall’allontanarsi del maltempo.
Saranno passati più di dieci anni, ma tutte le volte che ho incrociato una bottiglia di Poggio Valente ho dovuto fare i conti con un poco di nostalgia per quella strana giornata, per quel fallito incontro, così carico di inquieta malinconia.
Sono in questi giorni a Firenze a Palazzo Portinari Salviati per festeggiare i 25 anni di Poggio Valente, il secondo cru di Elisabetta Geppetti della Fattoria Le Pupille, che oggi gestisce con i figli Clara ed Ettore.
Non starò ad annoiarvi con il racconto delle venticinque edizioni che abbiamo assaggiato in questa occasione, ma annoterò soltanto che si è iniziato a produrre un Morellino di Scansano con le uve del vigneto Poggio Valente piantato dai precedenti proprietari con base ampelografica di 85% sangiovese e 15% merlot.
Da allora iniziò un progressivo lavoro di reimpianto del sangiovese, tanto che con la vendemmia 2012 il merlot fu destinato ad altre etichette e il vino iniziò il suo nuovo corso con sangiovese in purezza. Le vigne sono a 280 metri s.l.m., esposte a sud-ovest con suoli in superficie piuttosto sabbiosi, ma con argille calcaree in profondità. Le viti sono coltivate a guyot con 4650 ceppi ad ettaro.
Con l’annata 2014 si abbandona la denominazione Morellino di Scansano per avvalersi della IGT Toscana Rosso.
Il Poggio Valente è quindi un sangiovese da clima mediterraneo, che risente del calore della latitudine (42,6° N) e delle brezze fresche dovute all’altitudine e al vicino mar Tirreno, mentre le sabbie superficiali che assicurano un buon drenaggio alle viti, garantiscono anche la finezza aromatica del vitigno, modulata con la forza e l’intensità che danno le arenarie.
È un vino ricco e complesso, che deve la sua raffinata classe all’insieme di elementi molto contrastanti; ma sono proprio questi a far nascere una personalità originale che risente anche delle variazioni climatiche; ogni vendemmia è interpretata nel miglior modo e quindi vinificata con estrema precisione. Una buona stagionatura, in tonneaux di rovere parzialmente nuovi, conclude il periodo di affinamento per fondere gli aromi ed i tannini senza lasciarsi influenzare troppo dalle note aromatiche del legno.
Non nascondo, però, che preferirei che Clara ed Ettore si adoperassero per far rientrare questo vino, che è figlio di un prezioso territorio, nella più nobile Denominazione di Morellino di Scansano Poggio Valente Riserva, abbandonando così quell’anonimo e/o confuso rifugio di Toscana Rosso.
Gigi Brozzoni
Curatore della Guida Oro I Vini di Veronelli nato e residente a Bergamo, dopo molteplici esperienze maturate nel campo teatrale e nella progettazione di arredi, nel 1986 incontra Luigi Veronelli. La passione per il vino lo spinge a costanti frequentazioni gastronomiche finché nel 1988 arriva al Seminario Permanente Luigi Veronelli di cui assume la direzione nel 1989. Vi rimarrà per 25 anni fino al pensionamento nel 2013. Ha diretto la rivista Il Consenso è stato animatore di convegni tecnico-scientifici in ambito viticolo ed enologico e ideatore e conduttore di corsi di analisi sensoriale per professionisti e appassionati. Negli anni Novanta ha curato la redazione dei Cataloghi Veronelli dei Vini Doc e Docg. e dei Vini da Favola. È autore del libro Professione Sommelier che fu adottato come primo manuale sul vino per le scuole alberghiere italiane. Per l’Associazione Le Città del Vino ha curato numerose edizioni de Le Selezioni di Eccellenza dei vini italiani.