di Gigi Brozzoni

Tenute Silvio Nardi, Fattoria Casale del Bosco

Qualche giorno prima di Benvenuto Brunello abbiamo avuto occasione di incontrare due aziende di Montalcino che hanno voluto presentarsi ad alcuni giornalisti per anticipare la presentazione dei vini che saranno immessi sul mercato il prossimo anno. Troviamo questo tipo di incontri con i produttori particolarmente interessante e stimolante, poiché ci mette nelle migliori condizioni per aprire realmente una finestra sul mondo delle aziende: in primo luogo perché, oltre al vino di imminente uscita, vengono proposte un paio di annate precedenti, così da poter inserire gli assaggi in un più ampio ambito di conoscenza; in seconda battuta abbiamo, inoltre, la possibilità di assaggiare il vino in un ambiente accogliente, comodo, con un buon servizio e preziosi calici da degustazione – e fin qui tutto quello che normalmente si dovrebbe avere a disposizione per effettuare una rigorosa degustazione professionale – ma con in più la possibilità di degustare i vini nelle condizioni usuali per i normali consumatori di tutto il mondo, ovvero accostandoli ai cibi di propria preferenza, ancor più, nel nostro caso, cucinati alla perfezione da ottimi cuochi.

In pratica, in una singola occasione ci è possibile svolgere due tipi di degustazione, aprendoci così a incontri con il vino più intimi, coinvolgenti, meno distaccati e algidi. Di solito la presenza discreta e professionale dei loro autori non condiziona le nostre percezioni; anzi, i loro racconti ci aiutano a comprendere meglio il paesaggio dal quale nascono le uve e i modi di vinificarle e condurle fin dentro la bottiglia.

Il primo incontro è stato con Emilia Nardi delle Tenute Silvio Nardi, in località Casale del Bosco a Montalcino. L’azienda fu fondata da Silvio Nardi, imprenditore umbro del settore metalmeccanico, negli anni Cinquanta del secolo scorso, quando il Brunello di Montalcino muoveva i suoi primi e ancora incerti passi. Dal 1990 l’azienda è condotta dalla figlia Emilia, la quale ha esteso i vigneti anche in zona Manachiara, e progressivamente si è evoluta verso una viticoltura di precisione, con zonazioni estensive per individuare le migliori vigne e selezioni di vecchi cloni di sangiovese grosso.

Emilia Nardi

A Casale del Bosco ci troviamo nella zona nord-ovest della Denominazione, su suoli della serie Pliocenica con calcari silicei e scisti argillosi alternati a strati calcareo marnosi e brecciole calcaree. Da queste vigne si produce il Brunello di Montalcino Tenute Silvio Nardi e con la vendemmia 2006, da una parcella con suoli di origine vulcanica, esordì il Brunello di Montalcino Poggio Doria. Mentre dalle vigne a sud-est di Montalcino, in località Manachiara, su suoli di arenarie quarzoso calcaree con strati di argille marnose e siltose e argilloscisti con marne siltose ricche di microfauna, nel 1995 nacque il Brunello di Montalcino Manachiara.

In questa occasione sono stati degustati quattro Brunello di Montalcino. Il Tenute Silvio Nardi 2017 e l’esordiente 2018, due vini di grandi e sobrie complessità ed eleganza, di rapido impatto gustativo che ben si prolunga scoprendo e dipanando nel 2017 un carattere austero e trattenuto, con tannini un poco nervosi, mentre il 2018 mostra maggior maturità fenolica con frutto più schietto e trama tannica più avvolgente e morbida.

Del Brunello di Montalcino Manachiara si è fatto un bel balzo all’indietro con il millesimo 2015, che ci ha ricordato una bella annata, piuttosto calda ben matura e di grande espressività fruttata e speziata, con una buona trama tannica di fitta e dolce tessitura; prolungato e morbido l’elegante finale. Per ultimo abbiamo ascoltato il Brunello di Montalcino Poggio Doria 2012, che ci ha regalato sensazioni e sentori maturi, di grande ampiezza e profondità: spezie dolci e morbide, sottobosco balsamico, un pizzico di cuoio e una trama tannica setosa e morbida che ha, comunque, conservato una sua dinamicità e incisività elegantissime.

L’estrosa cucina di Gong, Oriental Attitude a Milano, ha accompagnato con discrezione e garbo i ricchi sapori e le ampie digressioni dei vini di Montalcino.

Bianca e Carlo Ferrini

Qualche giorno dopo ancora un incontro a Milano con un principe dell’enologia italiana che da qualche anno, per la precisione dal 2002, ha deciso di cimentarsi viticoltore ed enologo di se stesso creando l’azienda Giodo, ovvero le iniziali di Giovanna e Donatello, genitori di Carlo Ferrini, che alla loro memoria ha dedicato questa azienda nata a Montalcino e poi divenuta tosco-siciliana con l’acquisto di vigne sull’Etna. Ora Carlo è affiancato dalla figlia Bianca, che ha il compito di occuparsi di tutta la parte amministrativa e commerciale. Insieme formano una squadra ben affiatata ed efficiente, capace di affrontare qualsiasi tema aziendale con naturale e spontanea passione. L’amore e la passione che Ferrini ha per il Sangiovese lo hanno spinto a ricercare un angolo di Montalcino dove poter studiare, sperimentare e applicare tutto ciò che ancora lo incuriosisce di questo straordinario vitigno e dei suoi suoli di elezione. È partito con un piccolo appezzamento tra Sant’Angelo in Colle e Sant’Antimo per realizzare un’azienda con 6 ettari di vigna e un piccolo uliveto. Ha studiato le differenti composizioni dei suoli, esposizione e pendenze, scelto le più opportune forme di allevamento e le densità di impianto, selezionato i cloni che più soddisfano la sua irrinunciabile ricerca di eccellenza. Nella sua moderna cantina cerca di fare il “meno possibile” perché, sono parole sue, “con uve sane e ben mature c’è poco da fare; solo l’accuratezza, la precisione e la sapienza”.

Giodo, vigne del Brunello

Tre le annate di Brunello di Montalcino Giodo degustate: 2015, 2016 e 2018. Il 2015 ha mostrato una bella maturità e ampiezza fruttata, ben speziata con tocchi balsamici uniti a un sentore di cuoio e una trama tannica particolarmente morbida, fitta e placida nel suo avvolgente finale. Il 2016 si è mostrato immediatamente in tutta la sua forza, il suo carattere, la sua ricchezza fruttata e la caparbietà speziata e balsamica; la trama tannica è particolarmente fitta e densa, di superiore forza e brio, ne fa un grandissimo vino dal carattere rigoglioso e vivo con ricordi di sigaro toscano e foglie di alloro. Sorprendente il 2018, che si è subito mostrato un grande interprete di quest’annata non semplicissima e da alcuni vista con una certa incertezza, mostrando invece una fragrante maturità ben contornata da una ricchezza aromatica e da una trama tannica ancora un poco acerba, ma già in grado di esprimere un potenziale di finezza ed eleganza di notevole persistenza.

Ma non è finita qui, perché oltre ad un aperitivo con l’etneo Carricante e un esordio del pranzo, curato da Guido Paternollo del Pellico 3 al Park Hyatt Milan, che abbiamo trovato particolarmente in forma, abbiamo assaggiato anche gli ottimi Nerello Mascalese degli Alberelli di Giodo degli anni 2018 e 2020.

Delle stesse annate, abbiamo degustato La Quinta di Giodo, un grande Sangiovese Igt Toscana ottenuto dalle vigne più giovani e vinificato con qualche elemento di moderna e creativa enologia che ci ha regalato una versione di Montalcino che attendevamo con una certa impazienza. Fragranza e maturità fruttata, dolcezza e leggerezza tannica, tocco succoso di facile abbordaggio e semplicità di beva, facilità di abbinamenti anche con una cucina poco ricercata.

Perché è proprio questo il vino che dovrebbe fungere da raccordo virtuale tra la grande personalità dei Brunello e la modesta qualità dei Rosso di Montalcino; non è possibile che vini come questo debbano accontentarsi di un generico Toscana sulla propria etichetta, e che con il nome Montalcino si accostino vini così distanti per qualità ed espressività. Come, d’altra parte, non è possibile che la Denominazione Etna sia concessa ai vigneti a 600 metri di altitudine e negata alle vigne prossime ai 1000 metri, cioè quelle più prestigiose.

Qui il discorso si farebbe complicato e lungo, ma impossibile da tralasciare o da nascondere: lo approfondiremo, perciò, in un’altra occasione.


Gigi_Brozzoni

Gigi Brozzoni

Curatore della Guida Oro I Vini di Veronelli nato e residente a Bergamo, dopo molteplici esperienze maturate nel campo teatrale e nella progettazione di arredi, nel 1986 incontra Luigi Veronelli. La passione per il vino lo spinge a costanti frequentazioni gastronomiche finché nel 1988 arriva al Seminario Permanente Luigi Veronelli di cui assume la direzione nel 1989. Vi rimarrà per 25 anni fino al pensionamento nel 2013. Ha diretto la rivista Il Consenso è stato animatore di convegni tecnico-scientifici in ambito viticolo ed enologico e ideatore e conduttore di corsi di analisi sensoriale per professionisti e appassionati. Negli anni Novanta ha curato la redazione dei Cataloghi Veronelli dei Vini Doc e Docg. e dei Vini da Favola. È autore del libro Professione Sommelier che fu adottato come primo manuale sul vino per le scuole alberghiere italiane. Per l’Associazione Le Città del Vino ha curato numerose edizioni de Le Selezioni di Eccellenza dei vini italiani.