LATTE CAGLIO SALE
di Irene Foresti

Alcuni scavi archeologici, condotti in Toscana, Campania e Lazio presso necropoli etrusche databili al VII secolo a.C., hanno portato alla luce grattugie, forgiate in bronzo o in argento.

Come mai un oggetto pensato precipuamente per l’uso in cucina è entrato a far parte dei corredi funerari, soprattutto se si considerano la notevole posizione sociale o le cariche rivestite da molte delle persone cui i corredi stessi erano destinati?

Tutto ciò che veniva posto nelle tombe assieme ai defunti aveva un rimando ben preciso: cosa simboleggiava e suggeriva la presenza della grattugia?

Diversi storici hanno ipotizzato che questo utensile servisse a rappresentare la preparazione del Kykeon, noto anche come ciceone, una bevanda a base di vino, farina d’orzo, miele e formaggio (in genere ovino o caprino) grattugiato.

Ai nostri occhi potrebbe essere classificato come brodaglia disgustosa. ai limiti della commestibilità, ma nel mondo antico aveva un ruolo preciso e non era per tutti i palati: costituiva la bevanda degli eroi e degli iniziati.

È il Kykeon che ha ridato vigore a Macaone (mitologico medico, figlio di Asclepio, che partecipò alla guerra di Troia) a seguito delle ferite riportate ed è sempre il Kykeon che, adulterato dalla famigerata Maga Circe, ha trasformato i compagni di Ulisse in porci.

Si tratta solo di mitologia, ma non bisogna dimenticare che la mitologia era la telenovela dei tempi e che le trame delle varie puntate contenevano molti elementi di vita reale, come accade ancora oggi nella fiction televisiva.

Non solo: la mitologia veicolava alcuni messaggi o insegnamenti circa i valori culturali, umani e religiosi che la popolazione avrebbe dovuto recepire.

Nella storia “vera”, infatti, c’è un episodio che collega direttamente la mitologia alla realtà umana: i misteri eleusini, riti iniziatici legati al culto di Demetra che si celebravano ogni anno presso la città attica di Eleusi.

Secondo il mito, Demetra si sarebbe fermata proprio in questa località mentre era alla disperata ricerca della figlia Persefone, rapita da Ade e portata negli inferi. Ospite presso il Re Celeo, la dea venne ristorata con una bevanda molto simile al Kykeon, che divenne poi protagonista dei riti a lei  dedicati.

Quella bevuta da Demetra era solo una delle tante versioni del Kykeon poiché, come emerge dalla letteratura greca e dalle prescrizioni ippocratiche, ne esistevano diverse formulazioni.

Quel che è certo è che si trattava sempre di un liquido (prevalentemente vino) addizionato di farina (in genere d’orzo) e altri ingredienti (tra cui, appunto, miele e formaggio), il tutto mescolato e mantenuto rimescolato anche durante il consumo, come suggerisce l’etimologia greca del termine (kykào, mescolare) affinché gli elementi solidi non si depositassero sul fondo del recipiente o restassero in sospensione.

Viste le premesse, è possibile ipotizzare che l’abitudine di creare “intrugli” a base di vino e formaggio possa essere di origine greca, con particolare riferimento al territorio euboico, dove sono state rinvenute grattugie bronzee nei corredi funerari, ascrivibili al IX secolo a.C., in alcune sepolture della necropoli di Toumba (villaggio di Lefkandi).

Il nome di questo territorio (“euboico” ossia di Eubea, isola greca nel Mar Egeo) rimanda alle sue mandrie e, indirettamente, al formaggio ivi prodotto.

Abbiamo già detto, nelle precedenti puntate di questa rubrica, delle alterne vicende che hanno caratterizzato lo statuto sociale del formaggio nel corso del tempo, odiato in alcune epoche storiche e osannato in altre.

Quello del Kykeon è un altro esempio di questo sempiterno altalenare: se il formaggio fosse stato considerato un alimento (per così dire) “vile”, non sarebbe mai diventato l’ingrediente di una bevanda mitica come il Kykeon né avrebbe avuto alcun posto in un rito importante, nel culto greco, come quello dei misteri eleusini.

Del resto, l’arte casearia in molte culture ha origini mitologiche (si ricordi Aristeo, figlio di Apollo che insegnò agli uomini le tecniche per produrre il formaggio) o leggendarie (in varie zone alpine è credenza diffusa che l’uomo divenne casaro imparando dal così detto “uomo selvatico”).

In Grecia, infatti, sia in epoca classica che ellenistica il formaggio era considerato un ottimo alimento, sia dal punto di vista culturale che nutrizionale.

In quanto cibo trasformato dalla mano dell’uomo e non semplice materia prima, rappresentava tout court l’uomo evoluto (anche se non al pari del pane, del vino o dell’olio) e, forse grazie anche al parere notevolmente positivo espresso nei suoi confronti da Ippocrate, il più celebre medico di tutti i tempi, era ritenuto ottimo vitto per gli atleti olimpici e per i guerrieri.

Questo uso fu poi mutuato dai Romani presso cui i legionari ricevevano una razione giornaliera di 27 grammi di formaggio.

Tutto ciò non deve stupire se si considera che in Grecia il formaggio era un prodotto di punta della produzione agroalimentare, tant’è che ancora oggi è il protagonista di moltissime ricette tradizionali.

Tornando alla composizione del Kykeon, va tenuto presente che in questa bevanda il formaggio era abbinato a due ingredienti considerati “culturali” per antonomasia: il vino e l’orzo.

Sul vino non ci sono molti dubbi o spiegazioni da dare: era il protagonista del simposio, che è ancora oggi parte della celebrazione dell’eucaristia, che continua a rappresentare il sangue di Cristo e così via. Ma, come mai l’orzo?

L’orzo, in età ellenistica, era il cereale consumato dagli eroi omerici, oltre ad essere la granaglia maggiormente diffusa sul suolo greco.

Ma non solo. Poiché il Kykeon era uno degli elementi conviviali che caratterizzavano i misteri eleusini, non deve passare inosservato il fatto che Demetra era la dea dell’agricoltura e soprattutto delle messi, dunque una coltura importante come l’orzo non poteva mancare nella bevanda a lei dedicata.

Se sul piano dello statuto sociale gli ingredienti del Kykeon ne esprimono molto bene la valenza simbolica, dal punto di vista fisiologico (o quantomeno pratico) questa miscela aveva comunque una certa importanza.

Vino, formaggio, orzo e miele sono alimenti molto energetici e fra loro ben bilanciati (dunque il Kykeon sul piano nutrizionale potrebbe essere considerato un “piatto unico”) e allo stesso tempo adatti a chi deve combattere, lottare o gareggiare.

Ma come si spiega invece l’effetto inebriante che permetteva agli iniziati eleusini di raggiungere l’estasi necessaria per entrare in contatto con gli dei?

Sicuramente il vino ci metteva la sua parte grazie alla gradazione alcolica, ma c’era di più.

È probabile, infatti, che alla mistura venissero aggiunti elementi psicoattivi (come alcuni tipi di menta) o che gli stessi fossero già presenti nelle materie prime utilizzate, senza che nessuno lo sapesse, visto che la conoscenza microbiologica di un certo livello era ancora di là da venire.

L’esempio più calzante è la possibilità che l’orzo fosse infestato dagli sclerozi della Claviceps purpurea, un parassita fungino delle graminacee meglio noto per essere stato la causa dell’ergotismo, malattia che causa sintomi neurotossici come allucinazioni, convulsioni e che spesso ha dato origine a vere e proprie epidemie, definite “sbornie collettive” proprio a sottolineare gli effetti “estatici” che poteva generare.

In tutto questo, insomma, il formaggio che ruolo aveva?

Privo di gradazione alcolica o di alcaloidi che potessero generare l’estasi, è potuto entrare fra gli ingredienti del Kykeon proprio in virtù dello statuto sociale a esso riservato in alcune epoche storiche, e anche in considerazione del fatto che questa bevanda era mescolanza di alimenti identitari e “culturali” di una civiltà importante come quella greca (e della sua mitologia): vino, orzo, formaggio e miele.

A tal proposito, viene spontaneo chiedersi come mai il formaggio fosse l’alimento d’elezione di eroi omerici, atleti e guerrieri ai tempi del Kykeon e come mai questo ruolo nei secoli successivi sia passato alla carne, cibo identitario della nobiltà guerriera medievale europea.

Sia i Greci che i Romani non consumavano molta carne poiché gli animali, soprattutto i bovini, erano estremamente importanti per coadiuvare i lavori agricoli e per trasportare le merci: a Roma l’utilizzo alimentare dei bovini è rimasto off limits fino al III secolo a.C. e la loro uccisione poteva essere punita con l’esilio o la morte.

Va da sé che, in assenza di altre proteine di origine animale facilmente conservabili e trasportabili, il formaggio rappresentasse una valida alternativa per chi necessitava di pasti energetici da consumarsi in contesti extra-ordinari, come per esempio un campo di battaglia o una gara olimpica.

Tutto questo aggiunge un ulteriore tassello all’intrico dello statuto sociale del formaggio: le grattugie sepolcrali, pur facendo implicito riferimento al Kykeon, sono una testimonianza indiretta e univoca del passato splendore del formaggio stesso.

Un’univocità che si può spiegare grazie al fatto che questo utensile, a differenza di coltelli, pentole e recipienti vari, era utilizzato solo per pochi alimenti, fra cui le spezie (molte delle quali erano ancora sconosciute o quantomeno non avevano il valore culturale ed economico che le ha caratterizzate nei secoli successivi) e, appunto, il formaggio.

Come mai, allora, il formaggio oggi è considerato un contorno e viene spesso “bannato” per motivi salutistici?


Irene Foresti

Nata a Tavernola Bergamasca (BG) nel 1983, è laureata in Scienze e Tecnologie Alimentari per la Ristorazione. Dopo essersi occupata della direzione di impianti della grande distribuzione food, di educazione alimentare e marketing e comunicazione dei prodotti alimentati, da alcuni anni è Direttrice Qualità e Sicurezza Alimentare di un’azienda di ristorazione collettiva che gestisce i servizi di refezione presso scuole, aziende, ospedali e case di cura. Nel tempo libero, appassionata di lingua, storia e cultura dell’alimentazione e della cucina, ha compiuto studi e ricerche. Ha scritto Cibi, gusti e sapori, tra monti e lago (Edizioni Sebinius, 2011), Franciacorta: storia di sapori (Edizioni Sebinius, 2012), Cibo, terra e lavoro (Centro Studi Valle Imagna, 2017), Stracchini (Centro Studi Valle Imagna, 2020).
La sua ultima pubblicazione è Casoncelli. Storia e identità della pasta ripiena più amata da bergamaschi e bresciani (Centro Studi Valle Imagna, 2021)