Il ricordo di Andrea Bonini, direttore del Seminario Veronelli
Chissà quanti hanno scelto una bottiglia di Franciacorta per la cena o il pranzo di Natale, e chissà quanti torneranno idealmente nelle colline bresciane per accomiatarsi dal 2021 e accogliere l’anno nuovo, tra speranze, aspettative, “esorcismi da tavola” travestiti da brindisi allegri e qualche salutare scongiuro pronunciato a fil di voce. Niente di insolito, dunque, se al sottoscritto è capitato di aprire, con pochi ospiti, un magnum di Guido Berlucchi a Natale per terminarlo il giorno successivo. Nelle poche ore intercorse tra i due assaggi pressoché nulla è cambiato nel vino ma un evento molto triste ha toccato coloro che lo hanno prodotto e ha consegnato alla storia la figura di chi lo ha concepito. Nella notte tra il 25 e il 26 dicembre 2021 è mancato Franco Ziliani, fondatore e presidente di Guido Berlucchi & C., l’uomo del vino grazie al quale in Franciacorta “tutto ebbe inizio”. Sua e del conte Guido Berlucchi è, infatti, la firma sulla prima produzione franciacortina di vini spumanti da rifermentazione in bottiglia.
Precisiamo: sulle colline a sud del lago d’Iseo la vite alberga da millenni e la stessa storia dei vini “spumeggianti” in Italia è più antica e complessa di quanto non si immagini. Tuttavia, se la Franciacorta è oggi tra i più importanti distretti al mondo per la produzione spumantistica di pregio è grazie all’intuizione e alla caparbietà di Ziliani.
Durante i corsi e le degustazioni del Seminario Veronelli il suo nome ricorre spesso, non solo – inevitabile – nel racconto delle produzioni vitivinicole lombarde. Amiamo, infatti, ricordare Franco Ziliani con altri uomini e donne del vino – Ferruccio Biondi Santi, Mario Incisa della Rocchetta, Sandro Boscaini, Cristina Geminiani… – per mostrare come creatività, desiderio e capacità di innovare rappresentino una forza costitutiva per la vitivinicoltura, indispensabile quanto la comprensione e la cura del patrimonio viticolo ed enologico ereditato dalle generazioni precedenti.
Anche per questo, esprimendo la sincera vicinanza del Seminario Veronelli ai figli Cristina, Arturo e Paolo, desideriamo proporre, una volta di più, la storia delle celebri tremila bottiglie di Pinot di Franciacorta 1961. Lo facciamo con le parole che Francesco Arrigoni, primo direttore del Seminario Veronelli, ha utilizzato nella fondamentale pubblicazione “Franciacorta. Storie di vigne, di vini e di uomini” (Brescia, Grafo Edizioni, 1997).
Franco Ziliani nasce a Travagliato nel 1931, e nel 1943 si trasferisce con la famiglia a Paratico. Il padre Arturo è titolare di un’azienda che commerciava vini, acquistando vini sfusi che poi imbottigliava in ogni parte d’Italia. È quindi una scelta naturale quella di iscriversi all’Istituto Tecnico Agrario con specializzazione in Enologia, ma anziché iscriversi alla scuola di Conegliano che è la più vicina e considerata all’avanguardia, il giovane Ziliani decide di frequentare l’Enologica di Alba perché «era più nobile». Ma nella scelta ha influito anche il padre che, acquistando vini piemontesi, aveva molti contatti in quella zona.
Dei sei anni di scuola ad Alba Ziliani ricorda con particolare affetto la figura dell’insegnante di Enologia, il professor Felice Cavallotto, che aveva il pallino della produzione dell’Asti spumante champenois, un vino difficilissimo (molte le bottiglie che scoppiavano). E poi ricorda aziende come la Calissano, dove si faceva il vermouth, la Fontanafredda, la tenuta della bella Rosina, l’amante del re, con tutte le sue grandi botti piene di rossi austeri, una parte delle quali fu tolta proprio in quegli anni per iniziare la produzione di Asti Spumante con le autoclavi.
Terminata la scuola, Ziliani torna a casa e lavora nell’azienda paterna. Nel 1954 conosce Guido Berlucchi, dal quale il padre acquistava già un po’ di vino rosso. Ricorda Ziliani: «Era il rosso meno caro di tutta la Franciacorta, e nei mercuriali della Camera di Commercio il rosso della Franciacorta era quello con le quotazioni più basse di tutta la provincia di Brescia».
Berlucchi vuole imbottigliare, oltre al Rosso del Castello, anche un Bianco del Castello e quindi chiede consiglio al giovane Ziliani. «C’erano allora grossi problemi tecnici, non si riusciva a fare un vino limpido, le vasche di cemento armato avevano molto ferro e cedevano anche calcio». E poi non c’erano prodotti, né la tecnologia di oggi. Un gran traffico con risultati deludenti. Ma alla fine il vino riesce e anziché chiamarlo Pinot del Castello riesce a convincere Berlucchi a chiamarlo Pinot di Franciacorta. Ecco, quindi, che il nome Franciacorta compare per la prima volta su un’etichetta, e il “copyright” è di Ziliani. Dopo due anni di produzione, a Ziliani viene l’idea di fare anche uno spumante, memore dell’esperienza di Alba. Ispirato anche dal testo di Girolamo Conforto sul vino mordace? «Macché, mai letto».
Nessuno in zona aveva mai tentato la produzione di spumante, se si eccettua un fallito tentativo dei Fratelli Ferlinghetti che nel 1948 si erano messi in testa di fare dei birilli (piccole bottigliette) di spumante. Le prime pupitres Ziliani le acquista dai fratelli Bruzzone di Strevi (azienda che diventerà poi Banfi). Seguono tre anni di clamorosi insuccessi: il vino non rifermenta completamente e resta dolce, oppure non si illimpidisce, oppure ancora rimangono i tartrati. Un’altra volta, nel degorgément, anziché gelare solo la capsula, si gela tutto il collo della bottiglia. Per avere qualche consiglio sullo spumante, Ziliani si rivolgeva ai suoi vecchi compagni di scuola, ai suoi professori di Alba. Ma non ottiene niente perché tutti hanno smesso la produzione di champenois e poi perché in Piemonte, per la presa di spuma, utilizzano vini che hanno diversi anni, quindi sono molto più stabili.
Dopo mille traffici, nel 1961 finalmente vedono la luce le prime tremila bottiglie di Pinot di Franciacorta, ottenute da un vino base tenuto in catasta sul lieviti per tre anni. Un po’ perché il prodotto è buono, un po’ perché è una novità assoluta (lo Champagne di Brescia, qualcuno lo ribattezza), un po’ perché Ziliani pazientemente porta amici e conoscenti nella cantinetta di Berlucchi a mostrare per filo e per segno come si produce lo champenois, sta di fatto che il Pinot di Franciacorta “methode champenois” va ben presto esaurito. L’anno successivo si tirano ben 20.000 bottiglie. Ziliani ricorda ancora Peppino, il cameriere di Berlucchi, che dopo aver messo l’ultima bottiglia sulla catasta esclama «adesso per vent’anni siamo a posto». (Francesco Arrigoni)