Quando il vino diventa tutela di un fragile territorio

di Marco Magnoli*

Iniziamo a parlare di Liguria con un argomento che ci sta a cuore ovvero l’annosa questione del PigatoVermentino

Si sa che sotto il profilo aromatico e genetico i due vitigni sono parenti strettissimi, praticamente la stessa varietà, con solo alcune differenze ampelografiche, prima fra tutte le macchie simili alla ruggine che punteggiano gli acini del pigato quando sono maturi. Da qui il nome: «pigau», ovvero «macchiato». 

Non è neppure un mistero che, nonostante il disciplinare di produzione preveda le stesse prescrizioni colturali ed enologiche per entrambe le varietà, diversi produttori reputino il pigato come l’uva a bacca bianca più caratteristica e rappresentativa del Ponente Ligure, una posizione che ci trova d’accordo, considerato che si tratta di una cultivar storicamente presente e nominata solo in tale area. Da qui l’esigenza, da molti sentita, di differenziare i due vini, dando maggior importanza e rilievo al Pigato. 

L’uva pigato

I metodi sono già stati suggeriti e in qualche caso adottati (lavorando sulla selezione dei cru, sulle esposizioni, sui cloni, sulle tecniche agronomiche ed enologiche). 

Sebbene, però, ci sia chi si è dato parecchio da fare in tal senso, talvolta con risultati interessanti, in generale le differenze riscontrabili nei calici di Pigato e Vermentino non sono ancora così marcate; anzi, spesso i due vini tendono a confondersi sotto il profilo aromatico, caratteriale e stilistico.

Ci pare un peccato, oltre che un’occasione persa, perché è solo nella forte caratterizzazione dei prodotti più esclusivi, con ambizioni di nicchia, che una regione piccola e dai piccoli numeri può trovare un trampolino verso un’eccellenza sempre più solida, soprattutto quando si ha a disposizione un vitigno fortemente legato ad uno specifico territorio. 

Un discorso, peraltro, che non vale solo per il Pigato, poiché vitigni e vini spiccatamente territoriali in Liguria non mancano; basti pensare, per esempio, al Rossese di Dolceacqua, all’Ormeasco di Pornassio, alla Granaccia di Quiliano, o ancora al prezioso e raro Sciacchetrà delle Cinque Terre

Panorama di Dolceacqua – Foto F. Tornatore

Certo, parlare di «prodotti di nicchia» in una Regione che continua a trovare (ed è, naturalmente, ben contenta di farlo) il suo principale sbocco nel mercato «mordi e fuggi» del turismo può sembrare un poco utopico se non persino dissennato. 

I terroir liguri sono, dunque, tanti, distinti, differenziati e fortemente identitari; molti produttori lo sanno e stanno cercando di valorizzarli. Spiace solo constatare come, nel complesso, i vini dal profilo piuttosto opaco e tipizzato siano ancora troppi.

Ma non vogliamo riaprire questioni già discusse e ridiscusse in altre sedi ed in altre edizioni. 

Vigneti in Castelnuovo Magra

Ci preme maggiormente sottolineare, invece, il lavoro veramente unico e meritorio svolto dai vignaioli liguri per quanto riguarda la tutela del loro territorio

Ben sappiamo quanto sia fragile la Liguria e quanto sia critico il dissesto idrogeologico di una terra che si trova stretta tra il mare e un anfiteatro di rilievi irti e scoscesi; così come irti, ripidi e scoscesi fino all’impossibile sono i vigneti liguri (e non solo quelli di particolari aree come le Cinque Terre, che rappresentano forse il caso più eclatante). 

Ecco, quindi, che la quotidiana opera di chi lavora le vigne, con il costante e difficile impegno per la salvaguardia dei terrazzamenti e dei muretti a secco di contenimento, con l’attenta manutenzione e pulizia degli scoli, dei viottoli e dei passaggi risulta imprescindibile per tutelare un paesaggio di straordinaria bellezza, preservando e assicurando al contempo, fattore ancor più importante, la sicurezza di aree fortemente antropizzate.

Le aziende vitivinicole della Liguria non sono certo dei colossi; nella maggior parte dei casi si tratta di realtà a conduzione familiare, che esercitano una viticoltura assai costosa in termini umani ed economici e che, ciononostante, non si danno per vinte e continuano ad impegnarsi con forti sacrifici. Forse, più che per le pendenze e le difficoltà di lavorazione, è per questo attaccamento al proprio territorio che possiamo chiamarla “viticoltura eroica”.

Vigneti nelle Cinque Terre

TRE VINI QUOTIDIANI


Tra i numerosi presenti in Guida, segnaliamo tre assaggi, tre vini liguri che trovate in vendita tra i 10 e i 20 euro

Colli di Luni Vermentino Superiore del Generale 2018
Linero
Castelnuovo Magra SP

La recensione di Marco Magnoli

Un Vermentino «profumato e sostanzioso»

Già nel 1967 Luigi Veronelli si accorse della peculiarità della vigna del Generale Tognoni, rimanendo colpito dalla Barbera che qui si produceva. Fu, invece, Mario Soldati a parlare, qualche anno più tardi, del “bianco secchissimo… ma di corpo, profumato e sostanzioso” che proveniva dallo stesso vigneto. Il Colli di Luni Vermentino Superiore del Generale 2018 prodotto oggi dall’azienda Linero, con la sua stuzzicante e fresca vena di selce ed erbe aromatiche, accompagnata da un dolce tocco fruttato, è un vino che richiama alla mente le antiche suggestioni.

Catia Cesare, vignaiola

Uno spruzzo di mare 

Un vigneto storico, quello del Generale Tognoni, con piante che arrivano ai 60 anni, adagiato sulla dolce collina che domina la Val di Magra, da cui si scorge in lontananza l’azzurro del Tirreno. Questo Vermentino, infatti, richiama il mare. Per me è quasi uno spruzzo di mare. Ma racconta tutto il nostro territorio, la confine tra Liguria e Toscana: dalle coste alla collina, con i suoi profumi di erbe aromatiche. Ci abbiamo creduto da subito. Vino schietto, e sincero, che racconta questa terra e la sua gente. Non insegue mode e tendenze, è un vino diretto e per niente ruffiano, benché sia elegante, nella sua semplicità. Non diventa mai invasivo, si accomoda e si abbina perfettamente alla nostra cucina, dal coniglio al forno con le olive alle torte salate liguri nelle loro differenti versioni.

Riviera Ligure di Ponente Pigato Verum 2018
VisAmoris

Imperia

La recensione di Marco Magnoli

Intrigante, pieno, sapido e persistente

La famiglia Tozzi è convinta che il pigato sia il vitigno bianco più caratteristico della Riviera di Ponente e su di esso concentra le massime cure ed attenzioni, sperimentandone ogni variante e tipologia per ottenere un vino distintivo e rappresentativo del territorio. Verum è prodotto con uve coltivate nella vigna Ciantan, posta su terreni prevalentemente argillosi con presenza di rocce scistiche (chiamate “sgrutto” in dialetto ligure) a circa un chilometro in linea d’aria dal mare. Vinificato, come avveniva in passato, con fermentazione sulle bucce, si offre con intense note fruttate, contornate da un’intrigante accenno di idrocarburi e pietra focaia, che tornano sul palato regalando pienezza, sapidità e buona persistenza.

Simone Tozzi, vignaiolo

Un prodotto agricolo, forgiato dall’uomo

Questo Pigato ha due storie. Nasce per essere un vino tradizionale: dare una pigiatina e poi mettere tutto insieme, bucce e mosto. Verum si è chiamato, per questo: vino antico e di territorio. Quando sono arrivato in azienda, ho cercato di mettere in luce la sua vocazione di vino non artefatto, rispettoso dei processi naturali. Ho inserito lieviti solo indigeni e tengo una percentuale di raspi in fermentazione, che però avviene a temperatura controllata perché rispettare la natura, per me, non significa rinunciare a un minimo di tecnologia. Il vino è un prodotto agricolo ma non esisterebbe se l’uomo non lo forgiasse. Si parte dal rispetto per le piante – e noi pratichiamo la viticoltura biologica – e si arriva ad accompagnare il vino in cantina, senza forzature. Il Verum nasce nel vigneto storico dell’azienda, con piante sui 40 anni, allevate ad alberello, qui sistema tradizionale. Un consiglio per l’abbinamento? Siamo il Liguria, questo Pigato ha con il pesce la morte sua!

Rossese di Dolceacqua 2018
Terre Bianche

Dolceacqua IM

La recensione di Marco Magnoli

Vivo e dinamico, questo Rossese

Il Rossese è uno dei vini liguri maggiormente celebrati da Veronelli, che spesso vi leggeva addirittura riverberi di borgogna. Terre Bianche lo propone in due diversi cru e in questa versione “base”, ottenuta vinificando uve che maturano su terreni di argilla bianca e marne blu, flysch e conglomerati con cementi calcarei, in vigneti di età superiore a 30 anni, con punte di oltre 100, allevati ad alberello e cordone speronato. Ne risulta un vino che svela al naso un profilo di buona dolcezza e compostezza, stimolato da un piacevole accenno appena pepato; anche sul palato è vivo e dinamico, con il frutto che si allunga in un finale piuttosto speziato.

Filippo Rondelli, vignaiolo

Spontaneo e complesso, figlio di Dolceacqua

Un vino classico, non inferiore agli altri, che supera il concetto di vino base: per noi la cura è la stessa per ogni vino, per i cru come per questo. Quando piace sono particolarmente felice perché è il nostro vino bandiera, anche per i numeri. Proviene da vigneti differenti, ma è un vino tutto figlio di Dolceacqua. È “il” Rossese di Dolceacqua: esprime appieno le varietali della nostra uva. In virtù di questa sua spontaneità lo lavoriamo molto poco. Vinificato in in acciaio, va in bottiglia nell’aprile successivo alla vendemmia e questo gli permette di mantenere le doti del vino ligure: immediatezza e facilità di beva, senza mai diventare un vino troppo semplice poiché le sue sfaccettature sono innumerevoli. È puro territorio: la dinamica mediterranea data dall’esuberanza aromatica e dalla parte salina e la dote del vino di Dolceacqua ossia l’eleganza legata allo sviluppo verticale della spina acida. Questo Rossese è il vino più versatile che produciamo per gli abbinamenti: pesce azzurro, acciughe o tonno. Ma anche carni bianche, come il coniglio con le taggiasche. Da provare con l’agnello coi carciofi, che in questo piatto sono rigorosamente cotti, naturalmente!

Per scoprire tutti i vini liguri selezionati e segnalati, scarica la App I Vini di Veronelli

IL LUOGO DEL BUON BERE

a cura della Redazione

Mauro Ricciardi alla Locanda dell’Angelo

Ameglia SP

Mauro Ricciardi è cresciuto, come cuoco, nelle cucine della mitica Locanda delle Tamerici del grande Angelo Paracucchi, fondatore della nuova cucina italiana, amato e promosso da Luigi Veronelli che con lui condusse anche la trasmissione La Meridiana, in tempi di totale assenza di chef televisivi.

Chiuso Le Tamerici, dal maggio 2013 Ricciardi si è dato tutto in questo nuovo progetto gastronomico.

I piatti di Ricciardi mixano tradizione e creatività. Ha più volte dichiarato che per lui la cucina è il linguaggio dell’anima, aggiungendo che il suo obiettivo è quello di riuscire, con i suoi piatti, a far vivere al cliente un attimo di gioia e far emergere l’essenza di ogni materia prima, rigorosamente scelta con attenzione assoluta.

I prodotti – dalle verdure al pesce- sono sempre freschissimi e se ne accerta personalmente Ricciardi, variando anche giornalmente il menu a seconda della disponibilità del mercato.

Frutto di grande ricerca, italiana ed estera, la cantina.

Mauro Ricciardi
alla Locanda dell’Angelo
Viale XXV Aprile, 60
Ameglia SP
chefmauroricciardi.com

Per conoscere gli altri Luoghi del Buon Bere in Liguria scarica l’App I vini di Veronelli

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Marco Magnoli

Deve alla tradizione familiare la passione per i vini di qualità e a Luigi Veronelli, incontrato nel 2001, l’incoraggiamento a occuparsi di critica enologica. Dal 2003 è collaboratore del Seminario Permanente Luigi Veronelli. È tra i curatori della Guida Oro I Vini di Veronelli.