Fare la spesa sotto casa: necessità presente, possibilità futura
di Simonetta Lorigliola
Siamo e continuiamo a essere in piena emergenza, purtroppo. Non è possibile, ora, ipotizzare una data in cui pensare a come ripartire. Quel come è una parola chiave, e lo abbiamo già scritto qualche giorno fa. #megliodiprima.
In queste settimane i TG mostrano le code ai supermercati che si formano anche per il necessario scaglionamento in entrata, certo, ma non solo. C’è l’ansia da accaparramento che aggrava la cosa. Ci sono i carrelli stracarichi di chi non rinuncia alla scorta – non è una una novità: c’è sempre chi esagera, sovrastima, iperacquista. È un termometro dell’ipertrofia liberista, probabilmente.
Ma quello che vedo, in questi giorni, inaspettatamente, è qualcosa di molto diverso. A Trieste, dove vivo, i centri commerciali e i grandi supermercati sono pochi, e per lo più posizionati ai margini del centro urbano. Forse perché la città è, per alcuni aspetti, molto conservativa, forse perché gli anziani sono tanti, forse per la sana flemma dei triestini, la GDO qui non ha mai proliferato.
D’altra parte, ci sono ancora molti piccoli negozi disseminati in tutti i quartieri. Certo, qualcuno ha chiuso i battenti, ma la media è ancora alta. Sono i botteghini di frutta e verdura, i piccoli panifici artigianali, le macellerie, le pescherie e le latterie in cui si comprano latticini e anche un po’ di altri generi alimentari e si beve il caffè… non certo ora in cui il nero e il capo in b si trovano, anche loro, in pausa necessaria.
In questi giorni le botteghe di quartiere sono la nostra salvezza e, dato che ve ne sono molte, le code all’uscita sono praticamente inesistenti. Si entra uno o due alla volta, ma non si aspetta mai più di qualche minuto. Si trovano sotto casa e ci consentono di dimenticare l’auto, di camminare e restare a poche centinaia di metri dalla propria abitazione. Ci si può andare anche tutti i giorni, perché non si creano mai assembramenti, si prende una boccata d’aria e – con la mascherina a guardia dalle contaminazioni – si scambiano due parole con il negoziante che in genere ti conosce, ti sorride con gli occhi e ti offre un piccolo scampolo di socialità.
Questo è l’ordito di un tessuto sociale, via via sfilacciato dall’imposizione di un modello unico della distribuzione. A cui si aggiunge il commercio on line che ha lo stesso approccio: separare le compere dalla socialità, rendendo quell’atto asettico, isolato, individuale e allentando la tessitura delle relazioni. Inoltre – è noto – la vendita on line viaggia su ruote e incrementa le emissioni di CO2 che già gravano sul pianeta, vergognosamente.
Un altro mondo è possibile, si diceva oramai molti anni fa. Ma il claim è ancora vivido. Le botteghe triestine lo dimostrano e mostrano di essere essenziali, uniche, preziose. Avercele, ovunque!
I tanti triestini che si erano votati alla spesa in auto per raggiungere il centro commerciale stanno sperimentando un vecchio-nuovo approccio alla borsa della spesa.
A New York, durante un recente viaggio, ho visto proprio questo: un ritorno ai piccoli shop nei quartieri dove, in alcuni casi, ne nascono di nuovi e chiudono ipermercati e centri commerciali. Certo, Trieste e New York sono due mondi lontani e diversi, ma non è detto che non ci regalino la stessa visione: uno scampolo di un futuro possibile in cui andare a compare il pane, la verdura, una bottiglia di vino diventi l’occasione per informarsi sul tempo, per sentire le ultime novità del sindaco, per commentare le uscite di Trump o l’ultimo film di Tim Burton. Per bersi un caffè al volo, per farsi un amico nuovo e magari trovarsi il moroso. O la morosa, si intende. Per stare nel mondo, insomma: a ognuno secondo il proprio bisogno. E questo era un altro vecchio – e molto nuovo – claim italico.
Botteghe di quartiere, non in senso nostalgico ma evolutivo.
Come i nuovi chioschi – edicole divenuti punti che alimentano la lettura su carta e, al tempo stesso, una sana connessione globale. E come tutti i luoghi che affiancano la sensibilità nella ricercare il prodotto alla costruzione della relazione tra persone: il cibo, il vino, le produzioni artigianali sono da sempre saperi comuni, essenziali alla buona pratica della condivisione.
Buona spesa di prossimità a tutte a tutti. Ci auguriamo che sia sempre più possibile e che diventi una nuova buona abitudine.