L’ASSAGGIO

Vin Santo del Chianti Classico Berardenga 1993

Felsina | Castelnuovo Berardenga SI

di Marco Magnoli

Mi ero messo a scrivere un pezzo sulle virtù dell’ebbrezza e su come questa tanto vituperata condizione psico-fisica contribuisca in modo non secondario all’irresistibile attrattiva edonistica e culturale che da secoli il vino esercita sull’uomo.

Non voleva certo essere un elogio all’ubriachezza molesta, per sé e per gli altri, bensì un breve scritto agile e arguto, almeno nella misura in cui ne fossi stato capace. Il problema è che, partito con due riferimenti bibliografici e, quale obiettivo, un articoletto di tre o quattromila battute, dopo alcune nottate di ricerca e scrittura l’argomento ha preso ad arricchirsi di nuove sfumature, a dilatarsi in modo incontrollabile. 

Immensità di una questione

Giunto, così, nemmeno alla metà delle questioni che intendevo sviscerare, mi sono ritrovato con un testo di oltre trentamila battute e una bibliografia di ventitré titoli tra storia, filosofia, mitologia, antropologia, semiotica, letteratura e critica letteraria.

Ho, pertanto, deciso di accantonare momentaneamente il progetto, rimandandolo a tempi più tranquilli (siamo nel pieno delle degustazioni per la Guida Veronelli 2021), e ho pensato di dedicare la nuova uscita de L’Assaggio a qualcosa di meno prolisso e impegnativo.

Mi piacerebbe, però, prendere spunto da quella che è ormai divenuta la tesi centrale dello scritto primigenio, ovvero la convinzione che la fondamentale importanza attribuita al vino dalla cultura occidentale derivi dalla sua duttilità nell’offrire analogie piuttosto precise, empatiche e intuitive con la vita, l’umana esistenza e la sua ansia di risposte. 

La persistenza della memoria – Salvador Dalì

Affinità tra vino ed esistenza

«Analogie» e non «metafore», perché l’affinità tra vino ed esistenza mi pare un legame costitutivo, essenziale, profondo e non fondato semplicemente su similitudini o vaghi richiami.

Orbene, tra i tanti processi analogici che fanno del vino un accessibile ed eloquente specchio della vita, credo che uno dei più significativi sia il rapporto con il tempo. Perché i vini di vetusta annata ci ammaliano tanto? È solo una forma di stupore o di gusto per l’aneddotica a colpirci di fronte alla capacità di certi vini di affrontare il tempo e tenergli validamente testa?

In parte il motivo sarà senz’altro questo, ma continuo a pensare che il vero fascino scaturisca piuttosto dal sentimento di condivisione che lega le sorti dell’uomo e del vino.

L’enigma dell’ora – Giorgio De Chirico

Il ruolo enoico del tempo

Definire il tempo non è cosa semplice, tant’è che cervelli ben più attrezzati del mio se ne stanno occupando fin da quando l’uomo ha iniziato a interrogarsi sulle circostanze della propria esistenza. Quello che, nel mio piccolo, mi pare di aver compreso è che se ne possano distinguere almeno due basilari concetti.

V’è, infatti, il tempo assoluto della logica e della ragione, con i suoi modi schematici e tendenzialmente fissi, una sorta di quarta dimensione dello spazio; è un tempo che ci siamo imposti misurabile, registrabile, utile per incasellare e ordinare la realtà al di là di ogni insopprimibile aporia.

E poi v’è il tempo relativo, quello dello spirito, della suggestione, dell’emozione, della poesia; per usare uno stupido gioco di parole, è questo un  «Tempo» che ha i suoi «tempi», con leggi peculiari che in fondo leggi non sono: corre avanti, si riavvolge, resta sospeso, accelera e rallenta, si restringe e si dilata.  Un po’ proustianamente, è il tempo nel quale la verità dell’essere e del ricordo, che altro non è se non ebbrezza mistica, diviene religione delle analogie e delle corrispondenze.

Felsina – Cantina storica

Vin Santo del Chianti Classico Berardenga 1993

Curioso il fatto che, scendendo in cantina per scovare un vino che mi aiutasse in questo racconto, mi sia fortunosamente imbattuto in una bottiglia che se ne stava nascosta e che nemmeno ricordavo di avere, il Vin Santo del Chianti Classico Berardenga 1993 della Fattoria di Felsina di Castelnuovo Berardenga, un vino non solo antico, ma che fin nelle modalità della sua nascita ha fatto del tempo un elemento costitutivo e sostanziale. 

È la pazienza del tempo che ne crea le condizioni, con il lungo appassimento dei grappoli di trebbiano, malvasia e sangiovese, lasciati sui graticci a concentrare i loro umori talvolta fino a gennaio-febbraio. 

È il capriccio del tempo a svilupparne gli affascinanti aromi e umori, abbandonando il mosto alla casualità degli eventi che, ormai senza alcun controllo, si susseguono per almeno sette anni all’interno dei caratelli sigillati e riposti nella vinsantaia, dove il trascorrere delle stagioni e gli sbalzi termici dettano i ritmi al lavoro dell’ossigeno e della «madre» (il denso residuo delle annate precedenti, autentica matrice di microrganismi, lieviti, batteri e altri composti), per conferire al Vin Santo, attraverso arresti e riprese della fermentazione, evaporazioni, dilatazioni e restringimenti, le sue note uniche e peculiari. 

È, infine, l’oblio del tempo che, talvolta, lo tiene a lungo celato nelle nostre cantine, in attesa di una fortuita riscoperta e di un’insperata epifania delle magie e chimere che nel frattempo hanno preso forma tangibile.

Felsina – Vigneti

Assaggio, memoria, connessioni

Non pensavo più a questa bottiglia; con maggior bramosia l’ho, quindi, stappata e il tempo si è come fuso e raccolto in un crogiuolo di sensazioni inattese eppure familiari.

Non so se il sottile profumo di mandorla, caldo e ossidativo, voglia citare lo stesso aroma della famosa madeleine e se la lingua, incontrando la lieve increspatura tattile e appena tannica, vada a incespicare sulla stessa sostanza del pavé squadrato e sconnesso dell’Hôtel Guermantes, resuscitando la luce di Venezia

O se i raggi di quella luce, ravvivando il colore ambrato ormai imbrunito, siano presagi di anacronismi di «bruciante attualità», illusioni del viaggio fuori del tempo, sospeso tra passato e presente, narrato ne L’ultima fermata di Gregor von Rezzori.

O, ancora, se quella continua nota un poco brusca e amarognola, di orzo, fungo, miele di castagno, remota eppure integra, nitida, descriva lo stesso incedere indifferente e quasi sprezzante della lancetta dei secondi, che si muove celere e zelante «nella sua piccola sfera personale» sul quadrante dell’orologio di Hans Castorp.

A far da sottofondo al tutto v’è, però, una deliziosa nota di grazia, dolcissima e setosa, che amalgama benevola ogni armonia e contraddizione in una calma e forse effimera pacatezza, filo conduttore unificante di uno straordinario e imprevedibile viaggio.

Felsina

Sempre verso casa

«Sempre verso casa». Così rispondono i viandanti nell’Enrico di Ofterdingen, romanzo incompiuto di Novalis, alla domanda: «Dove siete diretti?».

È Claudio Magris a suggerirci come questo sia «uno dei libri nei quali il viaggio appare come odissea ovvero come viaggio non solo nello spazio, ma nella vita. La grande domanda che ogni Ulisse si sente rivolgere e si rivolge è se egli, attraverso il mondo e l’esistenza, possa tornare a casa, ossia a se stesso, confermato – nonostante tutte le sconvolgenti peripezie – nella sua identità […] oppure se egli sia costretto ad andare sempre avanti e sempre più lontano […] perdendosi per strada  e diventando continuamente un altro».

In realtà, citando ancora Magris, «Novalis […] immaginava il vagabondare del sue eroe come un grande ritorno, che doveva riportare l’universo intero a casa – in quella casa natale che ognuno, dirà più tardi Bloch, crede nostalgicamente di vedere nell’infanzia e che invece si trova in un futuro liberato, nella meta finale del viaggio».

Questa considerazione, forse un poco amara, vale – ahimè – per i vini come per gli uomini. 

Capita, poi, che sia un grande Vin Santo a farcela assaporare e il meditare sembra farsi, allora, più sereno e sopportabile.


MARCO MAGNOLI

Deve alla tradizione familiare la passione per i vini di qualità e a Luigi Veronelli, incontrato nel 2001, l’incoraggiamento a occuparsi di critica enologica. Dal 2003 è collaboratore del Seminario Permanente Luigi Veronelli. È tra i curatori della Guida Oro I Vini di Veronelli.