di Marco Magnoli
CALARSI NELL’ANIMA DI CIASCUNA ANNATA
In questo singolare Natale, ci riscaldi un brindisi lieto. Che diventa il nostro sincero augurio a lettrici e lettori
Per me Natale è l’albero.
È una suggestione che ho maturato nel tempo, ma ormai, se penso al Natale, ad un simbolo che ne raccolga l’atmosfera, ciò che subito mi viene alla mente è l’albero.
Non, però, un albero qualsiasi, bensì quello di casa mia, che non è mai stato sontuoso nella perfetta e sfarzosa simmetria delle decorazioni, ma è piuttosto un albero tra i cui rami sempre si accomoda una confusa moltitudine di addobbi, palle, palline, fiocchi, stelle, candele, dolci, giochi e pupazzi, pacchi e pacchettini, calze, sacchi e chi più ne ha più ne metta.
L’importante è che sia pieno di luci, di colori e, soprattutto, che ogni anno sia diverso per qualche particolare, per un addobbo in più, per la disposizione delle luci, per la punta perennemente storta, ma ogni volta con una differente inclinazione.
Perché, se ci penso bene, ogni mio Natale non è mai stato uguale a quello che lo ha preceduto.
Ciascuno è stato, per qualche verso, il primo.
Il primo Natale che mi ricordi, il primo con un nuovo arrivo in famiglia, il primo con mia moglie, il primo con mia figlia, il primo con un nuovo amico, la nuova casa, un nuovo lavoro; c’è stato, purtroppo, anche il primo Natale senza una persona cara, senza una certezza che credevo incrollabile, senza una sicura prospettiva.
In effetti ho sempre considerato il Natale un punto d’arrivo, l’occasione in cui, la sera della vigilia, tento un bilancio dell’anno appena trascorso, provo a mettere da parte le cose buone per conservarle e a lasciare le cattive cercando di smarrirle.
E in tante vigilie, al momento di tirare le somme davanti all’albero, davvero non so più con quanti diversi “io” mi sia trovato a confrontarmi e a fare i conti.
Chissà perché proprio il Natale mi predispone a questo stato d’animo e alle conseguenti riflessioni.
Forse perché l’ho sempre vissuto come un momento di pausa, un attimo in cui il tempo resta quasi sospeso in una dimensione onirica.
Se ogni Natale è diverso – se ogni Natale sono diverso – la sua atmosfera continua, tuttavia, a riproporsi intatta e a trasmettermi un senso, non già di speranza, quanto di rinnovate possibilità.
Mi vien da sorridere ricordando un sottile scrittore mitteleuropeo – chi sia non dirò – il quale notava come, nella vita, ciò che gli aveva sempre consentito, al di là di ogni metamorfosi, «di percepirsi inequivocabilmente come un “io” non era stato quel che sognava ma come sognava».
Temo che per molti il Natale del 2020 sarà il «primo Natale» con o senza tante cose, più negative che positive.
L’anno, inutile dirlo, è stato pessimo e, nonostante le «magnifiche e progressive» previsioni di chi continua a sbandierare ottimismo – spesso comportandosi scelleratamente di conseguenza – non credo che lascerà il posto ad uno troppo migliore.
Mi rincuoro un poco sapendo che sarà un altro Natale diverso, ma sarà comunque Natale e chi potrà stare insieme dovrà impegnarsi affinché sia caldo, accogliente e sereno, così da essere felici dei successi e delle gioie, seppur talvolta piegati da freschi e vivi dolori, ma confidando che uno dei prossimi Natale saprà ricomporli in nostalgici, malinconici, eppure cari ricordi di una vita.
Una tradizione alla quale, per rendere le Feste cordiali e confortanti, non ho mai rinunciato è quella di portare a tavola ottimi vini, di grande qualità ma anche originali, insoliti ed evocativi.
Ho pensato che tra le bottiglie di quest’anno non starebbe male un vino ligure che ho assaggiato durante le degustazioni estive per la Guida Veronelli 2021.
Un dolce passito prodotto da Cà du Ferrà, giovane azienda di Bonassola guidata dal giovane e appassionato Davide Zoppi.
Si chiama L’Intraprendente – Liguria di Levante Bianco Passito Igt – ed è ottenuto da uve bosco, vermentino e albarola, tradizionali vitigni da cui nasce anche il leggendario Sciacchetrà delle vicinissime Cinque Terre.
Già alla sua prima uscita, con l’annata 2017, mi aveva colpito per il suo «carattere molto ligure, inizialmente ripido e introverso, ma aperto su dolci e vasti orizzonti», per confermarsi e rinnovarsi con l’annata 2018 quale vino di notevole complessità arricchita «da un’esplosione di luminosa dolcezza».
Questa sua metamorfica capacità di calarsi nell’anima di ciascuna annata e di mutare spirito, mostrando sempre se stesso, ma ogni volta in modo diverso, lo spessore e la profondità tali da suggerire meditazione, non da ultimo la sua avvolgente e raddolcente morbidezza credo ne facciano un vino perfetto per provare ad allietare un Natale più amaro di quanto vorremmo.
E forse, alla fine, tanta seducente malizia riuscirà anche a trattenermi dallo svelarvi come in realtà il sottile scrittore mitteleuropeo prima citato sognasse…: «raggirando se stesso in una maniera che era diventata un’arte e che gli consentiva di sottrarsi a ogni impatto troppo duro con la realtà».
Con gli auguri di un sereno Natale a tutti i nostri lettori.
MARCO MAGNOLI
Deve alla tradizione familiare la passione per i vini di qualità e a Luigi Veronelli, incontrato nel 2001, l’incoraggiamento a occuparsi di critica enologica. Dal 2003 è collaboratore del Seminario Permanente Luigi Veronelli. È tra i curatori della Guida Oro I Vini di Veronelli.