L’ASSAGGIO
di Marco Magnoli
Una storia di convergenze, sintonie e confidenze: capolavori enologici nati dall’incontro tra un vitigno, una terra e i suoi uomini. Questo, signori, è il terroir: un’alchimia che si rinnova, di vendemmia in vendemmia, nel lavoro della Kellerei Terlan.
Che lo sciovinismo sia una stolida perversione trova conferma nei più disparati contesti. Per restare nel nostro piccolo orticello, è sufficiente notare come alcuni vitigni, accolti in contrade molto lontane (e spesso persino assai differenti) dai loro luoghi di origine, vi abbiano scoperto esclusivi territori d’elezione. Qualche caso lo possiamo riscontrare anche nel nostro Paese che, giusto per fare un paio di nomi, nelle sue regioni centrali sembra offrire a merlot e cabernet franc areali di coltivazione ben più felici di quelli bordolesi.
Un altro esempio lo troviamo spostandoci all’estremo nord della penisola. Non è un mistero che in Südtirol le uve di Borgogna si sentano piuttosto a loro agio e anche se, come è ovvio, non ci sogneremmo neppure lontanamente di sostenere che pinot nero e chardonnay diano risultati migliori qui che non nella loro patria d’origine (quantunque, al di là dei più prestigiosi Grands Crus e Premiers Crus, di fronte ad altre Appellations borgognone parecchi campioni altoatesini possano onestamente dire la loro), siamo tuttavia convinti che per il pinot bianco la storia sia diversa.
Figlio di una delle tante mutazioni del pinot nero, dalla culla borgognona il pinot bianco avrebbe preso la via del nord salendo in Champagne e in Alsazia per insediarsi, poi, nelle terre di lingua tedesca, raggiungere, più di recente, l’Italia Settentrionale e diffondersi, quindi, anche al di fuori del Vecchio continente.
Nel Südtirol sarebbe giunto intorno al 1850, manifestando più di un’affinità con numerosi terroir. Il luogo fatale, quello dove l’intimità si è rivelata davvero perfetta, è però Terlano con le sue alte colline, una ristretta area dalle caratteristiche pedoclimatiche così peculiari da essersi guadagnata il diritto a una specifica sottozona all’interno della Denominazione Alto Adige. Accanto ai monovitigni, il vino locale per eccellenza è da oltre un secolo il Terlaner, il cui uvaggio tradizionale non a caso vede la presenza, insieme a chardonnay e sauvignon, di una forte e preponderante percentuale di pinot bianco.
Il clima di Terlano, mite e ben protetto, eppure fresco e segnato da forti escursioni termiche giornaliere, ma soprattutto i suoi terreni vulcanici sabbiosi e leggeri, rocce porfiriche con presenza del 60% di silicio e nessuna influenza calcarea, uniti all’elevata altitudine dei vigneti, che giacciono dai 350 fino ad oltre 900 metri s.l.m., garantiscono a questo vitigno le condizioni migliori per maturare lentamente e senza stress, suggendo alla terra un’aromaticità intensa che poi esprime con un’eleganza e una finezza davvero senza pari.
Sul rapporto privilegiato tra il pinot bianco ed il terroir di Terlano si è da tempo concentrata la Kellerei Terlan che, fondata nel 1893 e dunque fra le più antiche realtà cooperative sudtirolesi, ha avuto modo di accompagnare a lungo lo sviluppo della viticoltura locale. Il suo impegno e dinamismo, fra l’altro, si sono rivelati fondamentali nell’individuazione dei siti di coltivazione più adatti a ciascuna varietà, favorendo il passaggio dai tradizionali vigneti polivarietali ai moderni impianti monovarietali, e per interpretare con precisione le potenzialità del territorio, cogliendo le variegate sfumature che esso è in grado di trasferire ai singoli vini. Nel corso degli anni la Cantina ha realizzato un vero e proprio «archivio storico enologico», costituito da numerose annate di vini in bottiglia che dimostrano nei fatti la caratteristica oggi più nota e riconosciuta di questo territorio, ovvero la straordinaria longevità dei suoi vini bianchi.
Negli anni Settanta del secolo scorso, la consapevolezza di tale peculiarità ha spinto Sebastian Stocker, all’epoca geniale kellermeister della Cantina, a intraprendere la vinificazione separata di alcune delle migliori partite di singoli vitigni e a porle quindi in affinamento sui propri lieviti per diversi lustri all’interno di tank in acciaio. Questa illuminata intuizione ha segnato l’atto di nascita della linea Rarity, prodotta per la prima volta con l’annata 1979 e ormai divenuta una delle più prestigiose perle dell’azienda.
La preziosa eredità di Stocker è ora coltivata dall’attuale staff della Cantina di Terlano, con in testa il talentuoso enologo Rudi Kofler. Negli indirizzi aziendali appare sempre più evidente l’intento di assecondare la naturale affinità tra il territorio ed il suo vitigno prediletto, come abbiamo potuto verificare anche in una recente degustazione che ha visto protagoniste le nuove uscite di tre fra i più importanti vini prodotti dalla Cantina.
Per quanto riguarda la selezione Rarity, continua infatti il trend più recente e per la quinta volta nelle ultime sei edizioni la scelta è caduta sul Pinot Bianco, quest’anno proposto nel millesimo 2007, annata calda e di struttura che ha comunque dato un vino dalla vena acida dritta e profonda, per ora raccolto in rigorosa compostezza, ma pronto a sprigionare tutta la sua intensità e ricchezza aromatica con una paio d’anni di bottiglia.
Il segreto della grande integrità e dell’equilibrio che sempre contraddistinguono i vini della selezione Rarity, oltre che negli arcani misteri del territorio, sta nella particolare vinificazione, che prevede un primo anno di affinamento in botti di legno con pochissima solforosa, un ambiente ossidativo nel quale il vino si apre e si allarga, seguito da una lunghissima sosta sui lieviti fini in contenitori d’acciaio da 25 ettolitri (circa 11 anni per questo Pinot Bianco 2007), una condizione di riduzione che consente al vino di costruire profondità aromatica, complessità e stabilità.
Il Terlaner Riserva Nova Domus 2017 e il Terlaner Primo Grande Cuvée 2017, gli altri due vini presentati, rappresentano la storia del territorio, ma volutamente la raccontano, seppur con lo stesso accento, illuminandone differenti sfumature. Ciò che li accomuna è il costante e pervasivo tono di fondo, quella sapidità fin quasi salina che infonde la distintiva fisionomia ai bianchi di queste colline. La spina dorsale è per entrambi costituita, manco a dirlo, dal Pinot Bianco (60% nel Nova Domus e fino al 70% nella Grande Cuvée), che conferisce al blend la dimensione «verticale», acuta e lineare, mentre sul carattere dello Chardonnay poggia lo sviluppo «orizzontale», l’allargarsi in un tocco più ampio e polposo. Al Sauvignon, invece, si sta riservando un ruolo sempre più sobrio (circa 10% nel Nova Domus e addirittura 3% nella Grande Cuvée), poiché una sua eccessiva presenza rischierebbe di «marchiare» e squilibrare l’aromaticità dell’insieme. Per questo si prediligono, inoltre, selezioni di sauvignon particolarmente mature, alla ricerca di una maggior espressione delle note tioliche, che esaltano le sensazioni più tropicali, rispetto a quelle piraziniche, con i consueti accenni verdi di peperone e foglia di pomodoro. Si preferisce, dunque, lasciare la freschezza all’indole vegetale del Pinot Bianco e ai suoi fragranti ritorni di mentuccia, molto garbati ed eleganti, aspetto che emerge con più evidenza nella Riserva Nova Domus.
Le distinzioni più marcate riguardano, invece, il differente approccio stilistico, già visibile nella scelta delle percentuali di uvaggio. Del resto non poteva essere diversamente, poiché il Terlaner Primo Grande Cuvée è nato (con l’annata 2011) con la precisa ambizione di divenire non solo emblema del territorio, ma vino di assoluto prestigio nel panorama nazionale e internazionale, svelando compiutamente con la sua personalità tutta la perizia e la sapienza della Cantina.
Non stupisce, dunque, che, mentre la Riserva Nova Domus fermenta e si affina per 12 mesi in botti di legno da 30 ettolitri, per la Grande Cuvée si siano scelte botti da 12 ettolitri, dimensioni più contenute affinché il legno favorisca lo sviluppo di maggior complessità, ma senza trasmettere aromi e speziature soverchianti o troppo avvolgenti, snaturando quell’anima pura, limpida e cristallina tipica di Terlano, che sgorga, invece, più preziosa e rifinita dalla trama poliedrica eppure eccezionalmente coerente di un vino di aristocratica finezza.
Terlano è, dunque, un luogo unico per il pinot bianco, che in pochi altri contesti (oseremmo quasi dire in nessuno) è capace di lasciare un segno tanto profondo, raggiungendo espressioni qualitative tali da renderlo protagonista di uno dei più straordinari vini al mondo, quale è, senza tema di smentita, il Terlaner Primo Grande Cuvée.
Qualcosa di simile poteva succedere altrove?
Forse, ma è qui che è successo. La realtà è che ancora una volta una storia di convergenze, sintonie e confidenze ha preso forma in un preciso luogo: un vitigno ha incontrato una terra e i suoi uomini; si sono compresi e insieme hanno realizzato un’eccellenza che con quei modi, accenti ed espressioni poteva capitare solo qui.
E questo, signori, è il terroir.
MARCO MAGNOLI
deve alla tradizione familiare la passione per i vini di qualità e a Luigi Veronelli, incontrato nel 2001, l’incoraggiamento a occuparsi di critica enologica. Dal 2003 è collaboratore del Seminario Permanente Luigi Veronelli. È tra i curatori della Guida Oro I Vini di Veronelli.