Questa è la triade che segna l’impegno e il lavoro quotidiano di Cantina Caleffi, una realtà che da molti anni si impegna per la valorizzazione del territorialissimo Lambrusco.

di Francesca Motta

Questa è la storia di una piccola realtà artigianale che, in un angolo della Pianura Padana, lontano dalle rotte enologiche note ai più, ha saputo coniugare il rispetto delle proprie radici con una visione globale, riuscendo a riscrivere le regole del gioco vitivinicolo. 

Ci troviamo in un angolo di terra ricco di storia – un tempo dimora della famiglia Gonzaga e attraversato da terreni alluvionali straordinariamente fertili al confine tra Mantova e Cremona – e l’azienda in questione è Cantina Caleffi che, in un contesto dove sostenibilità, autenticità e qualità rappresentano le leve fondanti, non solo ha saputo incarnare questi valori, ma li ha reinterpretati con una visione audace e innovativa, portando il vino su palcoscenici internazionali.

La storia dell’azienda affonda le radici nell’agricoltura e nell’allevamento, risalendo agli inizi del Novecento, con l’integrazione della viticoltura negli anni Cinquanta. Tuttavia, è il 2018 a segnare una svolta decisiva: nasce Cantina Caleffi, un progetto ambizioso che vuole ripensare il concetto di agricoltura sostenibile coniugato con un’innovativa wine hospitality. 

Volevamo rendere omaggio alle nostre radici e, al tempo stesso, lasciare un’impronta nel mondo del vino, offrendo un prodotto che rispecchiasse i più alti standard internazionali in termini di qualità, eleganza e sostenibilità, ci racconta Mattia Caleffi, al timone insieme a suo padre Davide e a suo zio Emanuele. 

Li incontriamo in una giornata velata di pioggia.

I vini, prodotti in tiratura limitata di 36.000 bottiglie l’anno, mettono in luce l’unicità di vitigni autoctoni quali la malvasia di Candia, il cabernet sauvignon e il lambrusco, catturando in soli sei anni l’attenzione di enoteche e ristoranti stellati in Italia e in Europa e portando l’azienda a essere inserita nella lista delle 100 migliori imprese italiane stilata da Forbes.

L’autenticità del territorio: un vino che racconta una storia

Parlando con Mattia, emerge subito che questa storia va ben oltre la semplice valorizzazione del patrimonio vitivinicolo locale e di un territorio dalle straordinarie potenzialità che veniva già citato nel 1828 in un estratto della memoria dell’abate Giovanni Romani, il quale raccontava come i terreni alluvionali di questa zona, attraverso i secoli, fossero divenuti straordinariamente fertili e vocati alla viticoltura. 

Oggi, proprio su questi antichi suoli, nascono i cru dei vigneti Caleffi, testimoni di vini che puntano a comunicare la passione che Emanuele e Davide infondono nel lavoro in vigna e in cantina. 

Le varietà autoctone selezionate con cura, vengono trattate con metodi che rispettano la tradizione e la storia della regione, ma con un approccio moderno che abbraccia le tecniche biodinamiche e l’innovazione tecnologica. Questa attenzione al dettaglio e la volontà di preservare le caratteristiche distintive delle uve riflettono esattamente i principi promossi dal nostro Gino Veronelli, il quale vedeva il vino come “poesia della terra”, un prodotto che deve esprimere l’essenza del luogo in cui nasce.

Mentre degustiamo un calice di Evvéa – una Malvasia di Candia macerata, prodotta in tiratura limitata, un vino avvolgente e vellutato, con un equilibrio sorprendentemente raffinato – Mattia ci svela, inoltre, l’arrivo dello Spinea (antico nome di Spineda dove sorge l’azienda), un metodo classico a base Malvasia, un ulteriore omaggio al territorio.

Una visione globale

Questa è, però, soprattutto la storia di una visione imprenditoriale audace. Mattia, con il suo background da ingegnere e le sue conoscenze manageriali acquisite in in primarie società operanti su scala mondiale, ha affiancato da qualche anno Davide ed Emanuele in ogni decisione strategica, portando una ventata di innovazione e abbandonando i tradizionali schemi del settore vinicolo, riuscendo così ad affascinare anche il pubblico internazionale applicandone i principi del mondo del lusso.

Wine experience e sostenibilità come pilastri del successo

L’ambizione della famiglia è ridefinire i codici dell’accoglienza: il vino diventa un concetto che va ben oltre il semplice prodotto e si fa portavoce di un’esperienza di alto livello il cui segreto, ci dice Mattia, risiede nella perfetta armonia tra qualità, eleganza e innovazione. 

Il punto centrale di questa nuova wine experience risiede nel connubio tra l’enologia e diverse discipline, quali l’arte, la cultura, l’alta cucina, e si traduce in collaborazioni con chef stellati, designer di fama mondiale e istituzioni culturali che sono oggi all’ordine del giorno nell’agenda della Cantina.

Il tutto ponendo massima attenzione alla sostenibilità e alla responsabilità sociale. L’azienda ha integrato pratiche biodinamiche nella gestione dei vigneti, riducendo al minimo l’uso di sostanze chimiche e promuovendo la biodiversità. Il controllo delle risorse idriche e l’utilizzo di tecnologie per il monitoraggio ambientale contribuiscono a garantire che l’intero processo produttivo sia il meno impattante possibile sul piano ecologico.

Questa visione sostenibile non si limita alla coltivazione delle uve, ma abbraccia un concetto più ampio di responsabilità sociale. Cantina Caleffi partecipa attivamente a progetti di ricerca, iniziative culturali e sostiene missioni che spaziano dagli ambiti umanitari al campo della ricerca medica. 

«Siamo custodi di un patrimonio inestimabile e delle nostre radici» afferma Mattia «e questo ci permette di operare in sinergia con il sistema in cui siamo inseriti, costruendo una rete solida e rispettosa dell’identità di ciascun attore».

Il modello per il futuro

Dopo una visita alla sala degustazione, alla cantina e alla nuova area destinata all’affinamento, concludiamo la piacevole visita. 

«Il nostro obiettivo» ci dice Mattia parlando dell’avvenire «è diventare una destinazione vinicola di riferimento, una maison che unisca la bellezza della natura, l’accoglienza intima per un pubblico internazionale e l’arte dell’enologia, tracciando la strada per il futuro».

Lo dice con uno spirito che è una vera e propria forza motrice: la determinazione nelle sue parole dimostra che le sfide non sono mai un ostacolo, ma un’opportunità per crescere e farsi strada, anche per chi parte da poco.


FRANCESCA MOTTA

Nata e cresciuta a Milano, classe 1995, dopo la maturità classica, si trasferisce a Oxford dove lavora nella ristorazione e consegue un Diploma di perfezionamento in Scienze Politiche. Successivamente, si dedica al volontariato in Ghana, dove tiene corsi sui diritti umani nelle scuole di Accra. Al rientro in Italia, dopo aver conseguito la laurea in Scienze Internazionali e Istituzioni Europee presso l’Università degli Studi di Milano, decide di trasformare la sua passione per il vino in un lavoro. Completa il Corso per sommelier con AIS Milano e ottiene il Master in Wine Culture and Communication presso l’Università di Scienze Gastronomiche di Pollenzo. Nel 2022 entra a far parte dell’Associazione Nazionale Le Donne del Vino. Dal 2023 è impegnata nell’ambito dei servizi di comunicazione per il settore vitivinicolo. Dal 2021 collabora costantemente con il Seminario Permanente Luigi Veronelli in qualità di redattrice.