Dai dazi ai mercati ballerini alle nuove tendenze: un quadro post Vinitaly 2025.
Leggi l’intervista di Giorgio Cerato, parte della nostra Redazione, a Edoardo Freddi, wine trader in contatto coi principali mercati internazionali.
di Giorgio Cerato
A distanza di poco più di un mese dal Vinitaly e dai primi 100 giorni dell’ amministrazione Trump (e dell’ introduzione dei dazi a corrente alterna, poi ridimensionati) cerchiamo di capire come sta il mondo del vino.
Vinitaly 2025 si è chiuso con una crescita del 7%, un trend che rinforza il dato positivo di queste fiere dall’anno del COVID come Wine Paris e Dusseldorf.
Nonostante le difficoltà di una Generazione Z che parrebbe lontana dal vino e un calo dei consumi generalizzato, il mondo del vino percepito dal Vinitaly 2025 sembra più pragmatico e attento alle esigenze dei nuovi consumatori e nuovi trend del vino nonché al termine sostenibile.
I dazi, per quanto rimandati, hanno portato incertezza, accumulo di scorte e per ora molto rumore, vedremo (e speriamo) se e per nulla.
Dai rumors del Vinitaly 2025, parlando con i produttori, sembra che anche i vini no / low alcol inizino a essere visti come una sfida e un’opportunità, diversamente da come sembrava inizialmente.
Abbiamo sentito le voci di vari produttori e abbiamo intercettato anche uno dei principali esportatori dei migliori marchi italiani all’estero, Edoardo Freddi che con la sua divisione International è una presenza costante al Vinitaly.

Impressioni dall’ultimo Vinitaly, come è andata? È sempre una fiera importante nel panorama nazionale ed internazionale?
L’ultima edizione di Vinitaly si è confermata estremamente positiva, sia in termini di affluenza che di qualità degli incontri. Abbiamo registrato un importante incremento nel numero di visitatori, ma ciò che ci ha colpito maggiormente è stato il livello sempre più alto dei buyer internazionali presenti. Vinitaly rimane, senza dubbio, un appuntamento imprescindibile per il settore: non solo una grande vetrina per i vini italiani, ma anche un’occasione concreta di business e di confronto con operatori provenienti da tutto il mondo. Il nostro stand ha pienamente rispecchiato questo trend, anzi possiamo dire di aver superato le aspettative: il numero di appuntamenti è stato nettamente superiore rispetto alle passate edizioni, segno di un crescente interesse verso i nostri prodotti e del dinamismo che continua a caratterizzare il mercato.
In quali paesi siete presenti e quanto valgono quei luoghi, in percentuale, nella destinazione del vino italiano?
Siamo presenti in 110 mercati in tutto il mondo, a testimonianza di una rete commerciale solida e di una distribuzione capillare che ci consente di portare il vino italiano sostanzialmente in ogni angolo del pianeta. La suddivisione percentuale delle nostre destinazioni riflette una presenza ben bilanciata tra mercati maturi e mercati in forte crescita: il 46% delle nostre esportazioni si concentra in Europa, a cui si aggiunge un 6% specifico per il Regno Unito e un ulteriore 6% per la Russia. Le Americhe rappresentano un mercato strategico, con il 25% delle nostre esportazioni, mentre l’Asia si conferma un’area dal grande potenziale, con una quota del 15%. Oceania e Africa, pur rappresentando al momento una fetta più contenuta, coprono rispettivamente l’1% ciascuna e la nostra attenzione è riservata anche verso tali mercati, emergenti o di nicchia. Questa distribuzione è il risultato di una strategia che punta non solo ad ampliare la nostra presenza, ma anche a diversificare i mercati di sbocco, per garantire stabilità e crescita nel tempo.
Se doveste fare un quadro dell’evoluzione (o involuzione) dei mercati esteri degli ultimi 10 anni cosa direste?
Negli ultimi dieci anni il vino italiano ha saputo farsi largo nel mondo, conquistando mercati e palati con una crescita costante e solida. Un decennio di evoluzione che ha premiato la qualità e la capacità delle aziende italiane di sapersi adattare e di innovarsi, nonostante sfide complesse come l’instabilità economica globale e i cambiamenti nei consumi. I numeri parlano chiaro: dal 2013 al 2023, l’export di vino italiano è cresciuto del 51% in valore, battendo concorrenti storici come Francia (+41%) e Spagna (+20%). Un risultato che conferma l’Italia non solo come patria del vino, ma come protagonista assoluta nel panorama internazionale, con una quota di mercato passata dal 17% nel 2003 al 22% nel 2023. Certo, il 2023 ha messo a dura prova il settore: tra inflazione, tensioni geopolitiche e un fisiologico rallentamento dei consumi in alcuni mercati chiave, si è registrata una lieve flessione (-1% nei volumi e -0,8% in valore). Ma il comparto ha subito mostrato la sua resilienza: i dati dei primi dieci mesi del 2024 raccontano una storia di ripresa, con un +5,7% in valore, trainato in particolare dagli spumanti, che da soli hanno segnato un +9,6%. Il futuro? Passa dalla stessa formula che ha reso grande il vino italiano nel mondo: continua ricerca della qualità, attenzione all’innovazione, valorizzazione delle denominazioni e una strategia sempre più attenta alla diversificazione dei mercati e alla sostenibilità, indispensabile per affrontare le sfide globali di domani.

Come vedete il potenziale del mercato sui vini low alcol o zero alcol?
Il segmento dei vini NoLo alcol è uno dei trend più interessanti e in crescita a livello internazionale, spinto da un cambiamento culturale nelle abitudini di consumo, soprattutto tra le nuove generazioni, sempre più attente a salute, benessere e uno stile di vita equilibrato. Da un punto di vista di mercato, il potenziale è innegabile: la richiesta di prodotti che permettano di coniugare convivialità e moderazione sta crescendo, e i vini a basso o nullo contenuto alcolico si stanno ritagliando uno spazio sempre più concreto, soprattutto in paesi del Nord Europa, negli Stati Uniti e in alcune aree dell’Asia. Naturalmente, la sfida per i produttori resta quella di riuscire a garantire qualità, piacevolezza e autenticità anche in questa categoria, perché il consumatore moderno cerca non solo un contenuto alcolico più basso, ma un’esperienza gustativa soddisfacente e coerente con l’identità del vino. Questa tendenza è stata confermata anche in occasione dell’ultimo Vinitaly, dove abbiamo registrato un forte interesse da parte dei buyer proprio per questa categoria di prodotto. I vini low e zero alcol proposti dalla nostra cantina partner hanno riscosso grande apprezzamento, sia da parte di operatori esteri che italiani. Lo stand della cantina ha registrato un’affluenza costante di buyer, ristoratori e operatori del settore, segno che l’attenzione verso questi vini è già una realtà concreta e in continua crescita.
I “vini naturali” come vanno all’estero, come si è svolta la loro parabola degli ultimi 20-25 anni dal vostro punto di vista?
I vini naturali hanno vissuto un’evoluzione molto interessante negli ultimi 20-25 anni, passando da un fenomeno di nicchia quasi underground a una categoria riconosciuta e sempre più apprezzata, soprattutto nei mercati esteri più attenti alle tematiche di sostenibilità e autenticità. All’inizio erano soprattutto ristoranti d’avanguardia, wine bar specializzati e piccoli importatori a promuovere questa tipologia di vino, attratti da un approccio produttivo capace di esprimere la massima identità territoriale, senza interventi correttivi o manipolazioni in cantina. Con il tempo, questa filosofia ha trovato sempre più spazio anche in circuiti commerciali più ampi, grazie a un consumatore più consapevole e curioso, attento alla naturalità e alla sostenibilità dei prodotti che sceglie. Mercati come Francia, Stati Uniti, Giappone e alcuni paesi del Nord Europa sono stati i veri apripista, creando un terreno fertile per la diffusione dei vini naturali e contribuendo a costruire un vero e proprio linguaggio comune attorno a questa categoria. Oggi i vini naturali rappresentano una realtà consolidata, capace di attrarre non solo una nicchia di appassionati ma anche una fascia sempre più ampia di pubblico, in particolare tra i consumatori più giovani. La loro parabola dimostra come il mercato non sia più interessato solo alla perfezione tecnica.
I dazi non sono una novità assoluta nel mercato del vino, ma questa nuova stagione ballerina potrebbe segnare un nuovo passo?
Paradossalmente, i dazi possono rappresentare un’opportunità. In un mercato complesso come quello americano, dove la competizione è altissima, l’introduzione dei dazi può diventare un acceleratore per differenziarsi davvero.
Chi ha costruito relazioni solide, chi ha lavorato con intelligenza sul posizionamento del brand, sulla qualità e sul racconto del prodotto, oggi ha gli strumenti per superare questo ostacolo e uscirne più forte. Perché il valore percepito dei vini italiani resta altissimo, e la domanda, nonostante tutto, è ancora lì.
I dazi ci obbligano a essere più strategici, più selettivi, più orientati al lungo termine. Ci spingono a investire sulla fascia premium, a puntare su chi sa valorizzare l’Italia per quello che è: un paese con una biodiversità enologica unica al mondo.
È una sfida? Sì. Ma è anche un’occasione per lasciare indietro chi compete solo sul prezzo e per rafforzare il ruolo del vino italiano come simbolo di eccellenza, cultura e autenticità.
Chi saprà interpretare questo momento con visione, ne uscirà con un vantaggio competitivo reale.

Giorgio Cerato
Nato a Padova, vive oggi a Illasi, sulle colline in provincia di Verona. Dopo la laurea in Scienze politiche, indirizzo sociologico, presso l’Università di Padova, si è diplomato al Master ALMA AIS di alta formazione in Comunicazione, gestione e marketing del vino. Ha proseguito la sua formazione a Londra, dove sta conseguendo il Diploma WSET (Wine & Spirit Education Trust). Attualmente lavora nel settore della sostenibilità, ambito in cui si impegna per integrare etica e territorio
Dal 2022 è parte della Redazione della Guida Veronelli. Nutre un sincero interesse per il vino e per il cibo intesi come espressione culturale e storica dell’umanità. Ha una predilezione per la complessità del mondo del vino nel Caucaso, terra enoica primigenia.