di Alessandra Piubello

La zona flegrea, culminante in Cuma, vulcanica in tempi remoti, coperta di lave preistoriche e crateri spenti, era ai tempi di Roma un contrappunto di infernale e di ameno; infernale per acque e fanghi ribollenti e vapori del sottosuolo. Di fanghi, acqua e vapore, ci si giovò per cura fino al Seicento; le solfatare ne sono oggi l’unico segno. Nonostante i bollori del sottoterra, già nell’impero romano erano questi luoghi più elisii che infernali, e forse la vicinanza dei demoni serviva solo a conferire un rapimento maggiore alla loro dolcezza.

Guido Piovene

Zitti, zitti, che lo sentiamo: è il respiro del vulcano. Voltati, guarda il lago d’Averno e spera di non incontrare Caronte. Eccoci nei Campi Flegrei, che bruciano e risplendono allo stesso tempo (in greco φλέγω – flego, assume entrambi i significati). 

Via d’accesso all’Ade secondo greci e romani, è dove Virgilio, nella sua Eneide, fa iniziare la discesa di Enea nell’oltretomba. 

Non dimentichiamo la Sibilla Cumana, una delle figure mitologiche più celebri dei Campi Flegrei. Qui sorge l’antica colonia greca di Cuma, la prima della Magna Grecia e del Mediterraneo occidentale. Così come resistono gli impianti termali di Baia, tanto apprezzati da personaggi illustri dell’antica Roma come Pompeo, Giulio Cesare, Nerone e Adriano. 

Madame de Staël descrive i Campi Flegrei come “la contrada dell’universo ove i vulcani, la storia, la poesia hanno lasciato più tracce”. 

Storia, natura, paesaggio, vino e mito. In questi luoghi si percepiscono un’aura misteriosa, la presenza di un’energia antica, arcana, forse perché qui la linea di demarcazione tra storia e mitologia diventa evanescente. Le forze possenti e inquiete del territorio vulcanico. 

E, ovunque, scorci di panorama dallo strabiliante splendore. È particolarmente stimolante addentrarsi in un apparente labirinto di biodiversità, miti, arte, religioni e antichi crateri nelle “Terre del fuoco”. 

Una struttura circolare di circa dodici chilometri di diametro “crivellata” al suo interno da vari crateri vulcanici. Crateri che sono così ravvicinati che in diversi casi si sovrappongono; accade che il cratere più antico sia stato parzialmente distrutto dalla formazione di uno più recente. 

Qui acqua, fuoco e terra si mescolano continuamente: esistono cento vulcani, di cui ventinove visibili. È una terra in movimento, che si sposta, cambia, si rinnova. Il bradisismo l’accompagna in un cammino lastricato di antico e contemporaneo. 

Non a caso Goethe scrisse: “Il suolo il più infido, sotto il cielo il più limpido!”, a sottolineare come la natura materna e accogliente non nascondesse, qui, il suo lato più inquietante e a tratti pericoloso. I Campi Flegrei solo luoghi eletti di resistenza. 

È qui che sopravvivono vecchie forme di allevamento, antiche varietà autoctone, vecchi metodi di vinificazione. 

Le viti hanno radici profonde che hanno un sedimentato rapporto con la storia. L’area, infatti, è una fonte di biodiversità incredibile che messa insieme all’altrettanto vasta ricchezza di forme di allevamento, testimonia una cultura del vino unica nel panorama italiano. 

Nei Campi Flegrei la fillossera non è mai riuscita a insediarsi, a causa delle particolari caratteristiche pedologiche, e quindi troviamo ceppi molto antichi.

I Campi Flegrei raggruppano piccoli vignaioli artigiani che hanno tutelato e protetto il genius loci, custodi del paesaggio e di un’areale dove la speculazione edilizia ha fatto molto danno. Il suolo è sottile e polveroso, tende quindi a franare, o anche a dissolversi, sotto l’azione della pioggia e del vento. 

La viticoltura di tutti loro si potrebbe quasi definire eroica per le asperità di un territorio così particolare e difficile. Una terra fertile, di profonda matrice agricola che richiede però tanto lavoro e fatica. Resilienza contadina nella città più urbanizzata d’Europa: Napoli è sicuramente la metropoli con il maggior numero di vigneti dentro il suo perimetro urbano e qui, nei Campi Flegrei, le vigne sono dentro l’area vulcanica stessa.

Ed è in questa terra, fatta di fuoco e di acqua, che gli interpreti principali a cui affidare questa misteriosa sinergia sono due: un’uva rossa come il fuoco com’è il piedirosso e l’altra bianca come l’acqua com’è la falanghina di biotipo flegreo, dai sentori sulfurei, così sapida da essere salata, profonda e capace di evolvere nel tempo. 

La falanghina flegrea afferisce a un biotipo diverso da quello beneventano, più conosciuto e diffuso. Qui il vitigno ha grappolo spargolo e conta su vigne vecchie, spesso a piede franco su suoli vulcanici. Nel Beneventano, la falanghina ha grappolo compatto e quindi soggetto a marciume e cresce su suoli argilloso-calcarei. 

Falanghina e piedirosso nei Campi Flegrei assorbono quell’energia ctonia, sotto la loro pelle vibrano fremiti ardenti che ritroviamo nei calici. Profumi intensi, caratteristici e identitari di questa terra unica. 

Pur essendo un’uva bianca e una rossa, la matrice vulcanica è palese e dà loro un carattere peculiare molto riconoscibile. È questa diversità che rende i vini flegrei così stimolanti, così misteriosi, così espressivi. 

Pulsano con un’attrazione magnetica che invita a riscoprirli, vendemmia dopo vendemmia. Degni interpreti di quest’unicum sono Agnanum con Raffaele e Gennaro Moccia, Contrada Salandra con Peppino Fortunato e Sandra Castaldo, La Sibilla con i Di Meo, Astroni con Gerardo Vernazzaro e Cristina Varchetta, Cantine del Mare con Gennaro Schiano, Salvatore e Gilda Martuscello e molti altri. 

I vignaioli flegrei risentono di questo fuoco che sta sotto i loro piedi: sono uomini e donne di carattere, decisamente determinati a trarre il meglio da queste terre, ma anche un po’ fatalisti, con quell’ironia napoletana che pur nelle situazioni complicate (la terra ha tremato più volte negli ultimi tempi), sa ritrovare la visuale nella giusta prospettiva.

Un tempo scrittori, artisti e viaggiatori intraprendevano il loro viaggio nella leggenda e percorrevano il Grand Tour, mettendosi sulle tracce dei miti narrati dai grandi autori del passato. 

Ora tocca a Te andare a scoprire vini e vignaioli dei Campi Flegrei!


ALESSANDRA PIUBELLO

Giornalista e scrittrice veronese, degustatrice professionista, è Direttore di numerosi periodici e autrice di libri e reportage di turismo gastronomico. Vanta collaborazioni con testate di rilievo nazionale e internazionale ed è presenza costante nelle commissioni dei più rinomati concorsi enologici al mondo.