Maremma, l’orizzonte ritrovato

di Cesare Sartori

Ricordate Shangri-La, la valle himalayana, segreta e difficilmente accessibile, immaginata quasi un secolo fa dalla fantasia di James Hilton? Un luogo dove il tempo pareva essersi fermato, oasi di pace e tranquillità isolata dal resto del mondo, eden naturale e materiale in cui le principali occupazioni di abitanti e viaggiatori erano produrre il cibo necessario al sostentamento e trascorrere il resto della giornata nella meditazione e nella ricerca interiore.

Bene, una valle incantata esiste anche nell’Alta Maremma toscana: ha caratteristiche simili a quelle descritte da Hilton e non è per niente segreta, né c’è da ammattire per trovarla.

Ci sono però due differenze significative: quello di Orizzonte perduto è un luogo immaginario, mentre agriturismo e azienda vinicola Le Pianore sono una (bella) realtà.

Inoltre, i suoi proprietari-residenti lavorano come ciuchi dall’alba al tramonto, mentre alla meditazione interiore, al relax, alla lettura, ai sogni a occhi aperti sull’erba, si dedicano soprattutto gli ospiti.

All’agriturismo ci si arriva facilmente, da Montalcino in 40 minuti, da Grosseto in un’ora. Saliti a Monticello Amiata, comune di Cinigiano, si percorre verso est la provinciale, avendo davanti il profilo dell’antico vulcano dedicato a Tinia, il corrispondente etrusco del Giove dei latini. All’altezza del chilometro 23,400 un cartello sulla sinistra segnala la ripidissima e tortuosa stradina che scende all’agriturismo.

Il paesaggio che si apre davanti agli occhi del viaggiatore è incantevole: una valle a 500 metri d’altezza, esposta a nord-est, circondata da colline e dalle prime propaggini dell’Amiata, ricca di boschi con castagni e querce centenarie, fauna selvatica. 

Vigneti, uliveti, frutteti, cespugli di lavanda, timo e rose profumano l’aria e un delizioso torrente – lo Zancona – solca il fondovalle.

Non ci sono insediamenti umani nel raggio di chilometri.

Domina il silenzio, rotto soltanto dai suoni di una natura non sopraffatta dall’uomo: il vento, lo stormire delle fronde, il canto degli uccelli, il mormorio del torrente, il raglio lontano dell’asino Pongo, il chiocciolio delle galline e lo starnazzare delle oche chiamate a ripulire e fertilizzare i vigneti.

Tutte le fasi di produzione, dal campo al prodotto finale, sono improntate al massimo rispetto dell’ambiente naturale. L’azienda è certificata CCPB L’80% dell’energia utilizzata deriva da fonti rinnovabili (legna e pannelli solari, mentre tutta l’acqua destinata all’uso agricolo, compresa l’irrigazione degli orti, proviene da una vicina sorgente.

I 63 ettari della tenuta (30 a bosco, 9 a oliveto, 3 a vigna, il resto a orto e foraggio) sono area protetta nonché Rifugio Naturalistico riconosciuto dall’Ente Parchi Nazionali.

Da oltre 30 anni sono custoditi, curati e gestiti dalla famiglia Micillo-Basile.

Le Pianore sono il sogno, diventato realtà, di Francesco Micillo ed Elena Basile.
Trisavolo di Elena fu Giambattista Basile autore di quel capolavoro letterario che è Lo cunto de li cunti, la più antica raccolta europea di fiabe popolari alla quale furono debitori sia Perrault sia i fratelli Grimm.

Francesco ed Elena hanno condiviso e trasmesso tutto l’amore per questi luoghi a tre dei loro figli.

Filippo, il primogenito, dal 2015 cura con competente passione oliveti, vigna, cantina, affiancato e consigliato dall’enologo Maurizio Saettini.

Enrica e Laura si occupano dell’ospitalità e dei prodotti che la natura offre spontaneamente : tisane, oleoliti, balsami profumati…

L’ultimogenita, Olivia, invece, vive e lavora come fotografa a Berlino.

In cucina cresce giorno dopo giorno la competenza tra i fornelli di Marcello Cenere, marito di Laura: ricette nuove o tradizioni napoletana e maremmano/toscana, e grande attenzione al le esigenze di ognuno: dai vegani ai carnivori, a chi soffre di allergie o di idiosincrasie alimentari.

Un sogno diventato realtà

Quella di Francesco e di Elena è una storia che val la pena di raccontare. Per farlo bisogna partire da lontano, almeno dalla seconda metà degli anni Settanta del Novecento.

Le loro famiglie sono proprietarie di aziende limitrofe a Giugliano, nell’entroterra nord-occidentale di Napoli, ma i due ragazzi non si conoscono.

Elena è una ragazza volitiva e con le idee chiare che fin da adolescente ama bruciare le tappe: universitaria che non ha ancora compiuto 17 anni (poi laureata in Economia con una tesi sul differenziale d’inflazione agricoltura/industria), a 18 anni parte per la Giamaica inseguendo i suoi sogni e gli ideali naturalistici (nonché un impossibile amore per Peter Tosh).

Il soggiorno nella terra del reggae dura poco, tre mesi; poi si trasferisce in Thailandia a studiare e allevare api.

Altra tappa alle Canarie e, quindi, rientro a Napoli.

A 24 anni Elena è già un’imprenditrice con 800.000 ‘operai’ alle sue dipendenze, maestranze che lavorano sodo, non fanno mai sciopero ma qualche volta… pungono. Sono le api di 40 alveari che Elena ha installato in un podere di famiglia vicino al lago Patria e dei quali va molto fiera.

In precedenza ci aveva provato con le lumache, in società con Silvia, l’amica cuore, ma era stato un fiasco: ai napoletani le lumache non piacciono!

Tornando in patria dopo i suoi vagabondaggi, Elena aveva già scelto la sua strada: vivere la campagna e la natura, lontano dal chiasso delle metropoli. Per Elena l’agricoltura è stata prima una scelta culturale e, soltanto dopo, un lavoro.

C’è una parola che ricorre da subito nei suoi racconti e ragionamenti: biodinamica, la pratica che spiega come evitare di compromettere la qualità del suolo e l’equilibrio ecologico.

«Ma all’epoca, primi anni Ottanta, e in quella zona poi (la stessa poi nota come “la terra dei fuochi”, ndr.) era una battaglia folle e perdente; inutile combattere contro i mulini a vento».

Il quotidiano Il Mattino di Napoli dedica a lei e ad alcuni altri giovani intraprendenti, un articolo. Francesco lo legge e decide di cercare quella ragazza che coltiva passioni e professa idee così simili alle sue. Che dire?

Galeotto fu l’articolo (e chi lo scrisse): si incontrano, si piacciono, si innamorano ed è fatta.

Dopo un paio di viaggi insieme capiscono due cose: che sono troppo legati al loro Paese e che sentono troppo le distanze culturali con il resto del mondo, e anche che lì, a Giugliano, per quelli come loro non c’è futuro.

«Basta, andiamo via». Sì, ma dove? È il 1990, hanno 32 e 30 anni, un figlio di 2, Filippo, e una figlia che sta per nascere.

«Chiesi a Francesco – racconta Elena – di comperare una guida degli agriturismi. Poi gli dissi di aprirla sulla cartina della Toscana, che ci pareva la regione più propizia e adatta alla nostra filosofia, chiusi gli occhi e puntai il dito. La scelta avvenne così.

Salimmo da Napoli e cominciammo a cercare qualcosa che facesse al caso nostro.

Quando ci siamo imbattuti nelle Pianore, nel 1990, non c’era modo di arrivarci in auto e dovemmo raggiungere a piedi la casa e il podere Maladina. Era febbraio, stava nevicando e, dopo aver camminato a lungo nel bosco con Filippo in braccio a Francesco che lo proteggeva con pezzi di cartone, ricordo che dovemmo avvolgerci le scarpe nei sacchetti di plastica per attraversare senza bagnarci il torrente Birimacola.

Quando l’edificio di Maladina ci apparve all’improvviso, alla svolta di un sentiero delimitato da muretti secco mezzo diroccati, ebbi una fortissima sensazione di déjà vu: ma io questo posto, dissi, l’ho già visto, lo conosco e poi ricordai un sogno che avevo fatto la notte precedente e mi sembrò di essere finalmente a casa.

Tornammo dopo una settimana, in treno, da Napoli, e acquistammo la proprietà. Per i primi due anni vivemmo in affitto in zona e la prima vigna la piantammo nel 2002. Con l’ospitalità siamo partiti nel 1994, con una sola camera disponibile».

Ci sono voluti diversi anni e molti viaggi da e per Napoli con i camion pieni di roba per arredare le stanze con mobili e oggetti che appartenevano alle loro famiglie da generazioni, nonché con i ‘tesori’ scovati e acquistati nei mercatini.

E piano piano, mentre la famiglia cresceva con la nascita di altre due bambine, Francesco ed Elena hanno riportato in vita Le Pianore.

«È un posto che ispira libertà, pace, gioia, serenità ed è quello che vogliamo condividere con i nostri ospiti», dice Elena.

Lagriturismo

L’edificio più antico, il Fienile, risale al 700: fu il primo insediamento della zona, abitato da un monaco dell’Abbazia di San Salvatore che dava ristoro e rifugio per la notte a pellegrini e viandanti.

Oggi è un confortevole cottage offerto agli ospiti.

Risale invece al 1100 il casale del podere Campostefani, inizialmente utilizzato come ricovero per i costruttori del vicino castello di Montepinzutolo, poi dimora dei contadini che lo condividevano con gli animali e ora, ristrutturato nel pieno rispetto della tipologia architettonica e dei materiali maremmani, ospita la cucina, una sala da pranzo e sette camere.

Nel 1999 è stata realizzata, con gli stessi scrupolosi criteri architettonici di rispetto della tradizione toscana, una spaziosa e attrezzata sala multifunzionale fornita di tatami, tappetini yoga, sedie per meditazione, pavimenti in rovere e molta luce naturale. È destinata a seminari, ritiri, meditazione, esercizi yoga. Ma è utilizzabile anche per matrimoni o eventi.

Risalgono agli anni tra il 2015 e il 2017 la costruzione della Pagliatella e di due yurte originali mongole.

La prima è una struttura realizzata interamente in paglia pressata e legno senza utilizzo di cemento, rifinita con materiali naturali che ospita 2 camere con vista sugli uliveti.

Le seconde, moderne e luminose, prendono luce da un lucernario e due ampie finestre e sono nascoste nel bosco.

I vigneti e la cantina

Nel campo vengono utilizzate soltanto sostanze organiche vegetali attraverso la pratica del sovescio e l’utilizzo di preparati biodinamici.

In vigna (tutti i filari si trovano a 500 metri di altitudine) l’eventuale presenza di insetti dannosi viene contrastata da insetti antagonisti autoctoni.

Tra i filari Filippo ha seminato sette tipi diversi di erba e la senape, per migliorare il livello di azoto del terreno.

C’è attenzione e cura anche per i dettagli: i tappi delle bottiglie (zero carbon footprint impact) sono del tutto riciclabili e ricavati da polimeri rinnovabili a base di estratti dalla canna da zucchero; le etichette sono stampate su carta rCrush Grape FSC prodotta da residui della pigiatura dell’uva combinati con acqua e fibre naturali.

Le olivete

Nove ettari con 2000 piante di cui 800 antiche. L’olio d’oliva, certificato biologico, nasce da olive da coltivazione biodinamica.

Le cultivar sono olivastra seggianese, moraiolo, leccino e frantoiano.

La spremitura avviene a freddo. In produzione un olio monovarietale a base di olivastra autoctona e un classico blend toscano.

Altri prodotti aziendali sono miele millefiori, erbe e tisane; conserve di frutta (prugne, more di gelso, ciliegie) senza l’aggiunta di conservanti o aromi artificiali.

Al momento di ripartire…

Quando sarà momento di rientrare nel mondo che vi eravate gettati momentaneamente alle spalle, lascerete a malincuore quell’angolo di paradiso terrestre che è la valle dello Zancona: sarà per il silenzio, sarà per la natura incontaminata e la bellezza degli ambienti dove avrete dormito, mangiato, riposato, meditato.

Ma il dispiacere di andarsene dipenderà anche molto da altri ‘ingredienti’ decisivi e fondamentali, come il sale per le pietanze: il calore, l’attenzione genuina, la cura affettuosa da cui qui si è da subito circondati.

È quel sale che marca la differenza e fa delle Pianore un luogo dove si vorrebbe ritornare.

Dalle nostre parti si appella empatia, una dote preziosa e rara di questi tempi che, come il coraggio di don Abbondio se non ce l’hai di tuo, non te lo puoi dare. E la famiglia Micillo-Basile ce l’ha di suo.

I VINI

a cura di Simonetta Lorigliola

Zancona 2021
Toscana bianco Igt

Zona di produzione: Monticello Amiata
Altitudine vigneti: 500 metri
Età media delle vigne: 5 anni
Uve: 35% Vermentino, 35% Sauvignon Blanc, 20% Petit Manseng, 10% Viogner
Vinificazione: decantazione a freddo in acciaio, fermentazione in tini di rovere francese a temperatura controllata inferiore a 20 gradi e in tonneau Invecchiamento e Affinamento:1/3 della massa in tonneau di rovere francese, 2/3 in acciaio. Seguono 6 mesi in bottiglia
Gradazione alcolica: 12,5 %
Bottiglie prodotte: 8.000

L’assaggio

Ha colore giallo oro con riflessi solari. Al naso è un abbraccio fiorito di sambuco, punteggiato da note frementi di timo ed erba luigia, giunge ultimo e riverito il caldo  miele di acacia, gli fa da contrappunto la pietra focaia.

In bocca: si intrecciano felicemente gli aromi agrumati con note di pesca bianca. Infine, giunge in punta di piedi e si accomoda sul palato, una bella buccia di cedro.

Buona spalla acida, sorso fresco, molto minerale, geometrico.

L’abbinamento gastronomico

Immagina questo bianco fresco e dritto con un crostino caldo – pane toscanissimo- ricoperto di lieve e cremoso Baccalà mantecato. L’incontro tra i due sarà fatale e gioioso per chi lo proverà.

Ma provalo, e stai certa o certo del successo, con un Vitello tonnato, purché rigorosamente home made, compresa -pietra miliare del piatto-  la maionese. E si badi che i capperi siano eccelsi, di Pantelleria, delle Eolie, di Selargiu… purché rigorosamente sotto sale.

Periodico 2018
Maremma toscana Doc

Zona produzione: Monticello Amiata
Altitudine vigneti: 500 metri
Età delle vigne: 20 anni
Uve: 100% Merlot
Vinificazione:
In acciaio a temperatura controllata inferiore a 26 gradi
Invecchiamento e Affinamento: In tonneaux di rovere francese, poi12 mesi in bottiglia
Gradazione alcolica: 14 %
Bottiglie prodotte: 1.333

L’assaggio

Il colore è un bel rosso rubino squillante. Al naso esplode l’amarena fresca, poi arriva il ribes rosso infine si diffondono le note balsamiche arrotondate della melissa, che si aggancia danzando a un nonnulla di buccia d’arancia.

In bocca marciano compatti i frutti rossi, lampone comanda. Poi si fa sentire una prugna solista. Giunge a noi, in sequenza, un accenno balsamico (e questa volta è proprio menta). La musica cessa, il ballo finisce: chiusura armonica, asciutta con finale quasi leggermente pepato.

Equilibrato, leggiadro ed elegante. Volteggia con grazia, si accomoda con leggiadria.

L’abbinamento gastronomico

Pensa a questo rosso elegante e soave accompagnato da un bel pollo ruspante, saporoso e sodo. Va cotto a bassa temperatura, disteso e coperto, nel forno di casa, con la pazienza necessaria, e solo fior di sale (marino, integrale, autentico)  in accompagnamento.  Oppure adagialo in una cocotte di ghisa, tienilo dolcemente imprigionato al suo interno con pochissimo olio d’oliva e aromi freschi millanta: rosmarino, timo, salvia, santoreggia, maggiorana… sale marino integrale, una generosa macinata espressa di pepe. E nulla più. Che un lieve fuoco lo culli lungamente, per restituirtelo in piena morbidezza e intatta succosità. Un piatto semplice, completo, ammaliante. Come il Periodico che, appassionatamente, saprà accompagnarlo.

Tiniatus 2018
Montecucco rosso Doc

Zona produzione: Monticello Amiata
Altitudine vigneti: 500 metri
Età delle vigne: 20 anni
Colore: Di colore rosso rubino scarico con riflessi violacei
Uve: 60% Sangiovese e 40% Merlot
Vinificazione: Acciaio a temperatura controllata inferiore a 26 gradi Invecchiamento: 1⁄4 della massa in tonneaux di rovere francese, 3⁄4 in acciaio
Affinamento: 6 mesi in bottiglia
Gradazione alcolica: 13,5 %
Bottiglie prodotte: 7.000

L’assaggio

Colore rosso rubino brillante. Al naso si presenta subitissimo la marasca sotto spirito, scortata da un turgido lampone.

Ti catapulta poi in un bosco dove è appena piovuto e il muschio si fa sentire, appoggiato sulla corteccia di eucalipto, accarezzandoti le narici. In bocca è sciantosamente vinoso, fresco e giustamente alcolico, con la sua confettura di amarena e la prugna maturata al sole.

Fa capolino, infine, il chiodo di garofano, pungente e puntuale a ravvivare delicatamente il sorso.

Vino lungo, aperto a un abbraccio sensoriale che sembra non abbandonarti mai.

L’abbinamento gastronomico

Che viaggino i sapori e e  origini. Che si mescolino in nuovi altrove. Portiamo idealmente questo rosso nobile, dall’amichevole carattere, lontano da dove nasce. Che l’incontri, Verona sarà vicina, una Pastissada de caval, piatto che infrange tabù e confini: carne equina conzata con pomodoro e spezie, a far confluire due o tre continenti. Felice sarà il matrimonio di mondi suggellato dal sorso pieno e radioso del Tiniatus.

Last. Un fil rouge corre armoniosamente tra i tre vini: leggiadria ed eleganza

Breve e necessaria postfazione enoica a I vini de Le Pianore

Tutti i vini sono certificati biologici.

Ma il valore aggiunto va oltre. Sei in un Rifugio naturalistico, riconosciuto e validato.

Non tanto dai necessari timbri – reali o virtuali- ma dalla concreta e tangibile armonia vegetale, dall’opera di rispettoso lavoro dell’uomo (e della donna).

Un’oasi che dovrebbe essere stimolo, esempio e felice coacervo di ripetizioni, in multipli territori.

DA VEDERE NEI DINTORNI…

a cura di Cesare Sartori
Monticello Amiata

Nella riserva naturale del Poggio all’Olmo da segnalare i castagni secolari in un’area chiamata il Campo dei Patriarchi. Il Centro visite è stato affidato in gestione alla cooperativa Biofan della quale nel 2020 è presidente Elena Basile.

Nel borgo medievale, imperdibile la Casa Museo, un edificio acquisito dal Comune dove restano intatte le tracce di un tempo ormai definitivamente scomparso. Dall’abitazione alle cantine, tutto racconta come si svolgeva la vita fino al dopoguerra.

Bellissimi sentieri partono dal paese come la Strada della castagna, o la Via delle fonti

La Madonnina di Val di Prata è meta di pellegrinaggi. La leggenda popolare che si tramanda da generazioni racconta che, nei primi anni del IX secolo, in una calda e arida estate la Madonna apparve per tre volte a una pastorella. La terza volta, la fanciulla le chiese acqua per il suo gregge di pecore, che stavano morendo di sete. La tradizione vuole che la Madonna posasse la sua mano su una pietra da dove sgorgarono cinque piccole sorgenti, una per ogni dito della mano mariana, poggiata sul sasso… La Madonna ingiunse poi alla pastorella di andare dal parroco del vicino paese per dirgli di edificare una chiesa nel luogo dove, il successivo 3 agosto (qualcuno dice il 10 agosto), avrebbe fatto nevicare. Il parroco non le credette, ma dopo il verificarsi dell’annunciata nevicata, iniziò ad erigere un tempio, poco distante dalla sorgente, dove oggi è ubicato il santuario.

Nel 2021 si è svolta a Monticello la prima edizione di Linfa Festival, una manifestazione di arte, natura e scienza. Resta in forma permanente un murale sulla parete della scuola elementare del paese realizzato da Millo (Francesco Camillo Giorgino) che rappresenta la connessione tra l’uomo e la natura.

Altre mete in zona

Montalcino, ovviamente, sul quale non occorre spendere parole, ne basti una: Brunello.

Porrona piccolo borgo caratteristico a pochi chilometri da Monticello è uno dei luoghi più …instagrammabili in assoluto.

Monte Labbro, limitrofo all’Amiata, oltre che per la sua produzione casearia (tanti sono i pastori sardi qui approdati) è noto anche per custodire l’eremo di David Lazzeretti (1834-1878), predicatore eretico e visionario soprannominato il Cristo dell’Amiata che a metà Ottocento fondò lì il giurisdavidismo. Nei paraggi si trova anche il tempio di Merigar West, fondato da una comunità buddista.

Ad Arcidosso si segnala la Sagra della castagna (fine ottobre) e la Rocca aldobrandesca, ai piedi della quale c’è il Teatro degli Unanimi, il più antico della provincia.

Interessante, non fosse altro che per una passeggiata con vista spettacolare sui dintorni, il piccolo paese di Montelaterone che domina dalla cima di uno sperone roccioso la tenuta delle Pianore.

Una puntata la valgono anche Castel del Piano, Seggiano e Santa Fiora.

A fare da collante a tutto c’è l’Amiata.

Giacimenti gastronomici della zona: le castagne e il pecorino. Più a valle si trovano molti piccoli produttori di un olio extravergine di oliva di ottima qualità.


Cesare Sartori

Nato a Udine nel 1949, maturità classica e laurea in filosofia. Giornalista professionista, ha lavorato per 30 anni alla «Nazione» di Firenze.  Ha condotto numerosi seminari sulle tecniche di scrittura giornalistica nelle scuole medie superiori. Friulano della diaspora, vive a Pistoia. Lettore accanito, alpinista, onnivoro. Ha cominciato a bere in quarta ginnasio, male e di tutto. Col tempo ha affinato il gusto ed è diventato molto esigente. Da quasi mezzo secolo il principio al quale si attiene nella scelta dei vini è ispirato a una battuta di Goethe, rilanciata da Luigi Veronelli: «La vita è troppo breve per bere vino cattivo».


Simonetta Lorigliola

Simonetta Lorigliola, giornalista e autrice, si occupa di  cultura materiale. È nata e cresciuta in Friuli. Ha frequentato l’Università degli studi di Trieste, laureandosi in filosofia. È stata Responsabile Comunicazione di Altromercato, la principale organizzazione di Commercio equo e solidale in Italia. Ha collaborato con Luigi Veronelli, nella sua rivista EV Vini, cibi, intelligenze e nel progetto Terra e libertà/critical wine. Ha vissuto in Messico, ad Acapulco, insegnando Lingua e cultura italiana. Ha diretto Konrad. Mensile di informazione critica del Friuli Venezia Giulia. Da molti anni collabora con il Seminario Veronelli per il quale è oggi Caporedattrice e Responsabile delle Attività culturali. Le sue ultime pubblicazioni sono È un vino paesaggio (2018) e Eolie enoiche (2021) entrambi editi da Deriveapprodi.
Foto di Jacopo Venier