L’INTERVISTA
di Francesca Motta
Dietro a un grande vino ci può essere una grande donna. Per anni, il settore vitivinicolo è stato guidato dagli uomini, ma negli ultimi tempi, le donne stanno assumendo un ruolo sempre più importante, come consumatrici e come lavoratrici del mondo enoico.
Fortunatamente, non è più così raro venire a conoscenza di aziende a gestione femminile, ed è proprio questo il caso di Ginevra Prati, che sono molto felice di avere incontrato per questa intervista. Giovanissima, nata nel 1997, nel 2020 ha preso le redini dell’azienda di famiglia Oddone-Prati.
È stato un amore a prima vista, il suo, per il vino: dal primo calice che suo padre le versò da bambina alla decisione di intraprendere studi nel settore, non ha mai abbandonato questa grande passione. Determinata, risoluta e senza troppe esitazioni, ha ripreso l’azienda, l’ha ristrutturata da cima a fondo e ha elaborato un’intera nuova linea di vini con l’aiuto di Nicola Biasi, il miglior giovane enologo d’Italia 2021 per Vinoway.
Ci troviamo in Piemonte, nella Valle Bagnario, tra le meravigliose colline di Strevi in provincia di Alessandria. Un’area forse già nota ad alcuni per l’affascinante Moscato Passito e che in passato veniva chiamata la “Valle degli Sceicchi”, perché i viticoltori che vi lavoravano raggiungevano ottimi rendimenti economici. Un’area che ha corso il rischio di eclissarsi, per disorganizzazione e diversi malfunzionamenti, ma che, con la nascita di un Presidio Slow Food, e il lavoro di vignaioli e vignaiole come Ginevra, si sta risollevando.
Ginevra ci racconta, dunque, la storia della sua azienda, della sua famiglia e del territorio, del percorso che l’ha portata fin qua e di cosa vuol dire essere una giovane donna nel mondo del vino.
Chi è la vignaiola Ginevra Prati?
Sono nata e cresciuta tra le colline di Strevi. Quando ero bambina, mio papà lavorava come manager informatico e nei weekend mandava avanti l’azienda di famiglia, portandomi sempre con sé. Io giocavo con la terra quasi come fosse sabbia del mare, mentre lui potava e lavorava i vigneti. Questo, sicuramente, è stato un primo legame con il vino e con la natura. Crescendo, ho completato la laurea triennale in Promozione e gestione del turismo, durante la quale ho avuto la possibilità di fare uno stage nel settore dell’enoturismo che mi ha dato la possibilità di approcciarmi al mondo del vino da un punto di vista non più solo puramente agricolo, ma anche produttivo. Ho continuato poi con il Master in Wine Culture and Communication a Pollenzo per approfondire le mie conoscenze e da lì ho capito che il settore vitivinicolo mi affascinava così tanto che ne avrei fatto il mio mestiere.
Quindi, si può dire che hai mosso i tuoi primi passi nel mondo del vino per un legame di famiglia?
Sì, per un legame familiare e per passione. Ricordo che a quattro o cinque anni, al pranzo di Natale, mio papà mi fece assaggiare il primo bicchierino di Moscato e per me fu subito amore. Mi riferisco a un legame molto forte: sono cresciuta in una realtà agricola e produttiva, con mia nonna che travasava e vinificava totalmente da sola. Non ho mai vissuto tutto questo come una passione obbligata, ma come qualcosa che si è sviluppato nel tempo, anche perché, quando ero una ragazzina adoravo giocare a pallavolo e uscire con gli amici, e non mi soffermavo mai a pensare a cosa stessi bevendo e ad apprezzare il vino. Solo successivamente, ho iniziato a vivere il vino come una vera wine lover, ma, nel momento in cui mi sono detta, “ok, mi piacerebbe produrre vino”, la sfida più grande era trovare un mio stile, essendo io molto giovane e inesperta. Questo è successo solo grazie ai miei studi, e anche grazie al mio enologo Nicola Biasi, il quale mi ha aiutato a capire quali sarebbero state le sfaccettature che avrebbero caratterizzato il mio vino.
Parlami della storia della cantina Oddone-Prati
Dal 1880, qui vivevano i miei bisnonni, i genitori di mia nonna. L’attività agricola era l’attività primaria: l’orto, le galline e questo stesso ettaro di vigneto. Con il passare degli anni, il fratello di mia nonna, zio Osvaldo, ha deciso di proseguire solo con l’aspetto vitivinicolo, abbandonando l’allevamento degli animali e investendo sulla cantina. Nel 1997, quando sono nata io, l’azienda aveva raggiunto cinque ettari dove si coltivavano le uve tipiche della zona: barbera, moscato, brachetto, dolcetto, freisa, bussanello (un bianco quasi sparito). Mia nonna allora lavorava in tutt’altro settore e mio papà era manager informatico. Quando sono mancati i bisnonni, hanno deciso insieme di reinvestire sul territorio, aumentando la superficie vitata che a oggi risulta di 45 ettari.
Inizialmente, l’attività agricola era concentrata sulla vendita delle uve, poi, nei primi anni del Duemila, hanno deciso di produrre piccole partite di uve selezionate, proprio quando la Valle Bagnario entra a far parte del Presidio Slow Food per la produzione di Passiti di Moscato. Si inizia con una piccola produzione (8-9000 bottiglie), che puntava a mantenere una qualità molto alta. Nel 2003, il Piemonte avvia un progetto sull’albarossa e noi siamo rientrati tra le prime aziende che hanno iniziato a coltivarla in fase sperimentale. Parliamo di un vitigno che nasce dall’unione di nebbiolo dronero e innesto barbera, ideato nel 1938 dal professor Dalmasso che intendeva unire le due grandi potenze piemontesi, con la forza e la struttura di uno, i profumi e i colori dell’altra. Questa albarossa iniziò subito a darci grandi soddisfazioni, avendola noi piantata prevalentemente a sud-ovest, il che ha aiutato a mantenere le caratteristiche di longevità del vitigno, il quale, dotato di grande struttura e intensità, risulta molto elegante con l’invecchiamento. Arriviamo al 2019, anno pre-Covid, quando, dopo essermi laureata in triennale, ho deciso di lavorare nel settore e, avendo già una piccola base di partenza, tramite il Piano di Sviluppo Rurale, ho avviato questo progetto per rivalorizzare la nostra struttura con una parte di accoglienza e B&B e la nostra cantina. Mi mancavano ancora, però, le competenze-base per poter vinificare, perché era sì vero che sono cresciuta in un ambiente agricolo, ma verso il vino avevo solo l’approccio di un appassionato. Ho fatto il Master a Pollenzo proprio per acquisire queste conoscenze così da poter capire bene questo mondo, dall’aspetto commerciale e dal marketing, alla legislazione e all’aspetto enologico. Purtroppo per il Covid, nel 2020, abbiamo dovuto rallentare i lavori, ma, quando abbiamo capito che le cose stavano ripartendo, siamo ripartiti pure noi. Verso la metà del 2021, a maggio, ho avuto il piacere di conoscere l’enologo Nicola Biasi in un incontro in cui, degustando del vino, abbiamo avuto modo di confrontarci. Lui ha deciso di affiancarmi nel mio percorso. Ha seguito i lavori in cantina e mi ha aiutato nella gestione degli spazi: sembrano sciocchezze, ma gestire un’impresa vuol dire avere una visione a 360° di un miliardo di cose. Io non avevo neanche il pavimento finito, ma, quando venne da me, mi disse “Se continuate così riusciamo a vendemmiare questo 2021”. Allora mi sono attivata, sono stata dietro ai fornitori e battevo il tempo perché a luglio dovevo avere tutto in regola. Così è stato.
Adesso la famiglia lavora al tuo fianco?
Certamente, il papà continua con la parte agricola (che ha una dimensione così vasta che è dura gestirla da sola) e lavora in vigna, mentre io seguo i lavori in cantina, l’accoglienza e la parte commerciale, ma ogni tanto prendo anche io parte ai lavori in vigneto. Sono io che curo tutti i miei prodotti nel dettaglio, io che vendemmio le mie uve: insomma, supervisiono e controllo tutto. La nonna Anna rimane il boss che gestisce le tempistiche in vigneto e cantina, propone idee e impartisce buoni consigli.
Per quanto riguarda il territorio?
Ci troviamo nell’Alto Monferrato. Alto perché le colline sono a delle altitudini elevate, parliamo di oltre 250 metri. Siamo in provincia di Alessandria, la zona si chiama Strevi e noi ci collochiamo più precisamente nella Valle Bagnario, un tempo definita la “valle degli sceicchi”. La fortuna di Strevi è che ha suoli diversi: all’interno di uno stesso vigneto si possono trovare un’area sabbiosa, un’area più calcarea o argillosa. Per quanto ci riguarda, abbiamo molti terreni calcareo-marnosi, la temperatura e le forti escursioni termiche tra giorno e notte influenzano molto la pianta, per cui i vini che nascono qui hanno buona struttura e un buon potenziale di invecchiamento. Per ogni varietà, prima studiamo il suolo: con un terreno più sabbioso andremo a piantare il moscato, i terreni più argillosi li dedicheremo ai rossi e così via. Inoltre, abbiamo alcuni vigneti storici che hanno più di 70 anni e la Barbera 2021 deriva proprio da questi vigneti. I nostri vini sono assolutamente espressivi del terroir, e credo che sarebbe interessante, un domani, poter fare una linea interamente dedicata al suolo di una diversa facciata di collina.
Cos’è per te il vino?
È una domanda molto difficile perché sintetizzare tutto in quattro parole, non rende.Per me il vino è un po’ tutto: emozione, passione, scoperta, curiosità. Ci sono tanti bicchieri di vino che mi han fatto venire la pelle d’oca, tanti bicchieri di vino che mi hanno saputo emozionare proprio per il ricordo che mi riportavano alla mente. Ovviamente, poi, il vino è famiglia: non ricordo un pasto senza un bicchiere di vino in tavola. Al momento, sto puntando tutto sul vino, quindi per me è tutto. Non c’è un giorno che non abbia rimpianto la mia scelta, nonostante sia un lavoro a volte faticoso, ma quando lo fai con passione, amore, dedizione, l’emozione è tanta. L’uscita dei miei primi vini è stata un po’ come una gravidanza: è passato poco più di un anno da quando ho deciso di rifare tutto, vinificare e lavorare in cantina, e il primo vino della nuova linea sarà pronto tra nove-dieci mesi, proprio come una gestazione!
Quali vini produci?
Ho specificato che dalla vendemmia 2021 è stato un nuovo inizio, con un nuovo portafoglio di vini studiato. Avremo un posizionamento del brand e del prodotto in una fascia medio-alta, questo perché abbiamo l’ambizione di fare dei vini ad alto valore qualitativo. Partiamo da uno Spumante di Brachetto Extra-dry, metodo Charmat, che si chiama Brascé. Brascé perché Bra dal brachetto, e questa parola quasi francesizzata mi dà l’idea di un abbraccio conviviale, qualcosa da bere in compagnia. Uscirà poi nel 2024 il metodo classico a base Moscato che si chiamerà La Padrona, dedicato a mia nonna che è la padrona di casa a tutti gli effetti, ma anche perché il moscato è l’uva padrona della zona. Poi avremo una Barbera storica, La Baccalera, vinificata in acciaio, uno Chardonnay fermentato in botti di rovere francese e affinato sulle fecce fini per 8 mesi che si chiamerà La Landisia. Produrremo un blend, il Bricco delle Rosse, a base di cabernet sauvignon, syrah e barbera, affinato in legno. E infine, ultima, ma non meno importante, l’albarossa, il nostro prodotto di punta, che pochi conoscono e che pochi producono: un vitigno a me molto caro, in quanto mi ha sempre appassionato per i suoi profumi, il suo colore intenso, la sua grande struttura. I passiti rimarranno in produzione come abbiamo tradizionalmente sempre fatto, da uve moscato e brachetto.
Cosa vuol dire essere una giovane donna in un panorama che per lungo tempo è stato prettamente maschile quale quello vitivinicolo?
Credo proprio che le cose non siano più come ai tempi di mia nonna che, quando iniziò a lavorarci verso la fine degli anni Ottanta, si ritrovò in un ambiente estremamente maschile e anche maschilista. Lei da sola partiva, andava a farsi le fiere e sicuramente bisognava avere un pelo diverso. Oggi le cose sono molto cambiate: già solo il fatto che Marilisa Allegrini nel 2017 è stata la prima donna a finire sulla rivista di Wine Spectator dimostra che c’è un cambiamento in corso. Alla fine, tutti sanno riconoscere i meriti. L’essere donna nel mondo del vino non lo vivo né come una minoranza, né come una discriminazione: in quasi tutti gli eventi ormai siamo quasi 50 e 50.
Progetti futuri?
Il mio enologo è un grande promotore e sostenitore dei vitigni resistenti, quindi, insieme, lavoriamo e operiamo in un’ottica di sostenibilità. Sicuramente, piantare dei vitigni resistenti è nelle intenzioni future ma non sono ancora autorizzati in Piemonte, perché in fase di sperimentazione. Per me questo è l’unico modo di fare una viticoltura realmente sostenibile, che implica zero trattamenti chimici: tutto il mio progetto si è basato su sostenibilità ed economia circolare: ho messo il pozzo per avere acqua naturale, abbiamo il fotovoltaico per il risparmio energetico, utilizziamo vecchie botti per il recupero dell’acqua piovana, cerchiamo di lavorare in un’ottica a cui io credo davvero. Poi, sto revisionando la forma della bottiglia, le capsule, le etichette: sarà tutto completamente nuovo e diverso con l’uscita dei nuovi vini. Nel progetto sto includendo anche una parte legata all’enoturismo: avendo questo posto a disposizione, che è la casa della nonna, ho deciso di risistemarla e ristrutturarla per fare una parte di B&B. Poi organizziamo esperienze gustative come i picnic nel vigneto o i tour in jeep nei vigneti. Ovviamente, purtroppo, la situazione pandemica ha rallentato i lavori, ma sono fiduciosa in una ripartenza.
Come vedi il marketing e l’utilizzo dei social nel futuro della tua cantina?
Credo molto nella comunicazione social. Dobbiamo pensare che il mondo e le persone a cui ci rivolgiamo siano appassionate al vino, ma soprattutto all’esperienza che ne deriva. Sempre più, col tempo, il pubblico giovane inizia ad appassionarsi al mondo del vino. Ovviamente, credo molto nel potere dei social, tanto che abbiamo già elaborato un business plan sulla comunicazione a cui andrà parte dell’investimento. Al momento sono io che gestisco le pagine. Infatti, se vedi il nostro profilo, ho cercato di dare un’impronta autentica a una realtà come la nostra, a conduzione familiare: mostro quotidianamente il mio lavoro, con le difficoltà del mestiere e tutte le soddisfazioni che ne conseguono. Soprattutto, ho fatto un reel che ha fatto oltre diecimila visualizzazioni, questo per dire che la visibilità che ti danno i social è importante: non mi interessa avere 20.000 follower, ma mi interessa far sì che qualcuno si soffermi sui contenuti, o anche solo che gli piaccia ciò che realizzo e che lo incuriosisca: i miei contenuti sono semplici e possono essere facilmente concepiti da tutti.
Oddone Prati
Viticoltori in Strevi
Valle Bagnario 25, Strevi (AL)
Crediti fotografici: Lorenzo Colombo
FRANCESCA MOTTA
Nata e cresciuta a Milano, dopo la maturità classica, si trasferisce a Oxford dove lavora nella ristorazione e consegue un Diploma di perfezionamento in Scienze Politiche. Successivamente, si dedica al volontariato in Ghana, dove tiene corsi sui diritti umani nelle scuole di Accra. Dopo aver conseguito la laurea in Scienze Internazionali e Istituzioni Europee presso l’Università degli Studi di Milano, decide di trasformare la sua passione per il vino in un lavoro. Completa il Corso per sommelier con AIS Milano e ottiene il Master in Wine Culture and Communication presso l’Università di Scienze Gastronomiche di Pollenzo. Dal 2021 collabora con il Seminario Permanente Luigi Veronelli e lavora nel settore dell’export del vino. Dal 2022 è parte dell’Associazione Nazionale Le Donne del Vino.