di Luigi Veronelli

Introduzione – di Simonetta Lorigliola.
Paolo Galli mi racconta di come Veronelli avesse rivelato al grande pubblico l’azienda di famiglia, allora seguita da sua madre Marta Galli e nata nel 1969 da un progetto comune con suo padre Arnaldo.
De Le Ragose Veronelli parlerà ancora, e recensirà i loro vini anche negli iconici Cataloghi Bolaffi, antenati insigni della Guida I Vini di Veronelli, prime e assolute pubblicazioni dedicate ai vini italiani.
Questo breve racconto è uscito il 1 novembre 1973 sulle pagine di Panorama, settimanale per cui Veronelli curava la rubrica «Il buon vino».
Il testo, in poche righe, ci offre a tutto tondo l’istrionica scrittura veronelliana, la sua lingua enoica tutta nuova:  «Imbottiglia il cru, Maria Marta Galli. Lo assaggio. Buondio. Mi precipito». E il lettore sente l’illuminazione, l’urgenza, la felicità. 

O la bellezza di certe citazioni (rigorosamente non tradotte) che stimolano le intelligenze:
«Tout consiste dans la manière et dans le goût / Et c’est la façon de le faire qui fait tout». 
La rabbiosità battagliera contro «le ciuffeche» che beffano i territori.

E poi la leggerezza di parole colte e, al tempo stesso, sentitamente popolari. la camomilla, il merdino…
Infine le mirabolanti descrizioni organolettiche, lontano mille miglia dai manuali (allora peraltro rari) dei classici sommelier:  «… come avvolto, di contro, in stoffa non alta ma insistita ed anche elegante».

E la sensorialità si fa letteratura.
Ringraziamo Le Ragose, socio storico del Seminario Veronelli, per averci consentito di ritrovare, rileggere e, quindi, riproporre a lettrici e lettori questo piccolo essai enoico.

Che sembra scritto ieri. O domani?

Panorama, numero 393 del 1 novembre 1973

Il giornalista amico: «Buono», mi dice «quel tuo Tocai dei Ronchi di Rosazzo che sa di camomilla». Buono, buonissimo, insisto. 

Certo bisogna intendersi: si tratta di nuance, di suggestione infinitesima, a rilevare il bouquet. 

In qualche grande cru di Borgogna cerco, pensa te, la merde de poule, in italiano il merdino. 

D’accordo, in questo e in altro, con l’abate Nougenot del 700: 

«Tout consiste dan la manière et dan le goût / Et c’est la facon de le faire qui fait tout».

Ho sorpresa nuova dalla Valpolicella (il mio lettore sa: per anni ed anni ignobili ciufeche hanno marciato sotto la prestigiosa insegna): Le Ragose.  Imbottiglia il cru, Maria Marta Galli. Lo assaggio. Buondio. Mi precipito. 

L’amabile vignaiuola ha acquistato venti anni fa ha, in località Le Ragose, frazione di Arbizzano, comune di Negrar, pressoché abbandonati. 

Ha fatto debiti e sacrifici, riordinato e reimpiantato le vigne, edificato nel pieno rispetto dei colli attorno la casa per i salariati (due famiglie giovani e con bambini piccoli; ma amano la terra da che non è più solo fatica) e la cantina; ha vinificato e vinifica in esasperata selezione. 

Sia benedetta: il risultato è in questo Valpolicella emozionante. 

Già il colore: rosso rubino costituito, e tuttavia delicato, tuttavia brillante. 

E il profumo: dalla vinosità originaria si è raccolto in bouquet largo e sicuro (come si sottolinea, ma calda e suadente, la mandorla amara). 

E il sapore: asciutto sull’elegante fondo amarognolo, sapido e tuttavia fresco; fatto vivo da nerbo sicuro e come avvolto, di contro, in stoffa non alta ma insistita ed anche elegante. 

Valpolicella, sì, del mio miracolo.

Luigi Veronelli

Per proporre e inviare materiali su Luigi Veronelli : simonettalorigliola@seminarioveronelli.com