Dalla Guida Veronelli 2021, tre vini scelti per ogni regione, tra i meno noti ma degni di essere narrati, assaggiati e portati alla pubblica veronelliana ribalta. Ecco il secondo per il Veneto.


Un Raboso che invita alla socialità
di Gigi Brozzoni

Eravamo quattro amici al bar… Non c’entrano nulla Gino Paoli e la sua canzone perché eravamo all’Harry’s Bar con Luigi Veronelli, Christiane Perato e il mitico patron Arrigo Cipriani.

Avevamo presentato a Venezia la Guida I Vini di Veronelli, anche se non ricordo quale edizione fosse. Si chiacchierava di tutto, ma – si sa come va a finire – prima o poi siamo arrivati a parlare di vino; e il vino si prende la scena e tiene banco fino alla fine. Cipriani parlò di un Raboso del Piave che si faceva portare da un contadino, ma ci avvertì che per bere il Raboso occorre aspettarlo almeno 15 anni e bisogna essere in due: il primo che beve il vino e il secondo che gli regge salde le spalle. Si finì per bere il “suo” Raboso, ben saldi sulle poltroncine, con del baccalà alla vicentina, alla faccia dei perfetti abbinamenti dei manuali e dei veronelliani matrimoni d’amore.

Gli anni passano, ma questa storia mi rimarrà sempre in mente, spendendola per ogni bottiglia di Raboso che ho incontrato.

Sempre a Venezia – ma siamo ormai nel 2018 – devo attendere un’oretta per prendere il treno che mi riporterà a casa. Dalla stazione di Santa Lucia percorro la strada che si dirige verso Campo San Geremia, da lì supero il Ponte delle Guglie che porta alle Fondamenta Cannaregio e mi incammino verso nord; supero i primi 50 metri gremiti di turisti per la presenza di alcuni ristorantini e vado oltre, dove vedo che c’è pochissima gente e che iniziano i negozi di quartiere: una botticella sistemata sull’uscio mi segnala un argomento a me caro.

Non so da quando non vedevo un vero negozio di vinaio pieno di damigiane e botticelle pronte a spillare i diversi vini agli abitanti della zona che arrivano muniti di bottiglie, bottiglioni e tanichette da riempire con il loro vino preferito; all’opposto delle moderne e raffinate enoteche, qui si respira ancora l’aria dell’Italia del dopoguerra, prima del boom economico, quando il vino era un alimento povero, semplice e comune.

Mi guardo in giro affascinato da questo antico negozio e chiedo all’oste di darmi un bicchiere di quel Raboso del Piave. Prendo il mio bicchiere di un vetro pesante e rustico, ricordo il racconto di Arrigo Cipriani e mi appoggio a una botte che sta nel mezzo della bottega, annuso il mio vino e lo bevo, lo bevo tutto. Sono ancora saldo e ben appoggiato alla botte. Pago, ringrazio e saluto, faccio due foto ed esco.

Per un po’ di tempo ancora non potrò consigliare di fare un giro né all’Harry’s Bar né al vinaio di Cannaregio.

Non mi asterrò, tuttavia, dal raccomandare un vino cha sa porsi con caratteristiche organolettiche rinnovate, ma che ha conservato la memoria del passato, delle sue origini, di quegli uomini e donne per cui bere un bicchiere di vino era un gesto semplice e naturale, non poneva domande o non invitava a riflessioni.

Il Raboso del Piave 2017 di Giorgio Cecchetto, vignaiolo in Tezze di Piave (Treviso), non nasconde le sue origini da un vitigno derivato dalla domesticazione di viti selvatiche, che prese il nome forse da un vicino torrente affluente del Piave, o forse dal suo temperamento “rabbioso”.

Di certo il suo carattere evidenzia frutti macerati e rustici, acidità gagliarda, tannini esuberanti che Giorgio Cecchetto ha voluto rimodellare quel tanto che occorre per consentire al suo Raboso di viaggiare fuori dalla provincia e farsi conoscere e apprezzare ovunque ci fossero consumatori curiosi e capaci di affrontare qualche asperità per godere di profumi e sapori poco comuni, inconsueti nel panorama vitivinicolo mondiale.

Cecchetto ha studiato alla Scuola di Enologia di Conegliano, la scuola che ha formato miriadi di enologi i quali hanno rinnovato tutta l’enologia veneta di successo.

Certo, anche a lui gli studi sono serviti a produrre un Raboso del Piave moderno, con frutto più nitido e integro, acidità più meditate e tannini più levigati…

… ma comunque non bevetelo da soli: in buona compagnia questo vino diventa più socievole, scioglie la lingua e stuzzica il palato.

Sarà una bella esperienza e sarà un poco come passeggiare a Venezia e fare una gita sui colli che fiancheggiano il Piave. Vedrete, vi piacerà.


Gigi_Brozzoni

Gigi Brozzoni

Curatore della Guida Oro I Vini di Veronelli nato e residente a Bergamo, dopo molteplici esperienze maturate nel campo teatrale e nella progettazione di arredi, nel 1986 incontra Luigi Veronelli. La passione per il vino lo spinge a costanti frequentazioni gastronomiche finché nel 1988 arriva al Seminario Permanente Luigi Veronelli di cui assume la direzione nel 1989. Vi rimarrà per 25 anni fino al pensionamento nel 2013. Ha diretto la rivista Il Consenso è stato animatore di convegni tecnico-scientifici in ambito viticolo ed enologico e ideatore e conduttore di corsi di analisi sensoriale per professionisti e appassionati. Negli anni Novanta ha curato la redazione dei Cataloghi Veronelli dei Vini Doc e Docg. e dei Vini da Favola. È autore del libro Professione Sommelier che fu adottato come primo manuale sul vino per le scuole alberghiere italiane. Per l’Associazione Le Città del Vino ha curato numerose edizioni de Le Selezioni di Eccellenza dei vini italiani.