Antica osteria veneziana e vino di Puglia. Tra storia e leggenda

di Pietro Stara

HORS-D’OEUVRE curiosità dalla storia
Una piccola rubrica «fuori opera». Il termine hors d’oeuvre nacque in ambito edilizio, per indicare le parti accessorie e non necessarie di una costruzione. Traslate successivamente in ambito culinario, le hors d’oeuvre comparvero per la prima volta nel 1714 come piatti che precedevano il pasto principale e prima delle entrée, i veri e propri antipasti, con cui vennero successivamente confuse. La loro funzione era quella di stimolare l’appetito, così come cercherà di fare questa rubrica: curiosità storiche in ambito culinario e vitivinicolo che incoraggino l’approfondimento e la sperimentazione.

Ci sono dei momenti in cui il racconto storico lascia spazio, prima di riprendere il suo tortuoso percorso, alle leggende, ai miti, alle invenzioni. Fuori da ogni pretesa positivistica, sono consapevole che in ogni opera di fantasia si intravedono qua e là, sparsi come conchiglie in un lunghissimo litorale marino, elementi di verità o semplici rimandi a fatti che probabilmente capitarono, anche se non proprio nella maniera in cui vennero successivamente riportati.

E qualora tutto ciò che venga narrato nella leggenda fosse falso, caso assai improbabile, essa comunque rivela qualcosa sulle mentalità del tempo, su altri accadimenti e memorie a cui indirettamente rimanda e su come questi eventi di dubbia veridicità rimasero nella mente di un’intera comunità. Allo storico il compito, assai arduo, di separare gli uni, i fatti, dalle altre, le leggende e le invenzioni ma, allo stesso tempo, di integrare i primi con le seconde.

Opera di Lorenzo Quinn a Venezia – Biennale Arte 2019

Dalle Puglie a Venezia

E così intorno ad un nome di cui, in realtà, si sa poco o nulla: il bàcaro veneziano. Vecchia osteria da una parte e il vino delle Puglie dall’altra. Sì, avete letto proprio bene: il vino delle Puglie! Così scrisse Alfredo Panzini nel suo Dizionario Moderno del 1905 alla voce bàcaro.

Pochi anni prima sul Giornale vinicolo italiano: commerciale, industriale e scientifico, (Volume 16, Carlo Cassone, Casale Monferrato 1890) comparve questa spiegazione di un termine che all’epoca era un neologismo, una parola nuova per intenderci: «Bàcaro è parola del dialetto veneto che credesi derivi da barcaro, cioè vino che viene colle barche. E questo vino una volta arrivava a Venezia da Bari, da Brindisi, e in genere dalla provincie meridionali, ed era il vino del povero».
Due indizi non fanno una prova, ma cominciano comunque ad evidenziare alcune tracce.

Vin da colpi

Nel libro di Elio Zorzi, Osterie veneziane (Filippi Editore – Venezia 1967) si fa riferimento ad un certo Pantaleo Fabiano di Trani primo importatore, a partire dal 1869, dei vini di Puglia in terra veneziana. Il dato verrà confermato nel libro di Edoardo Ottavi e Arturo Marescalchi del 1903, Vademecum del commerciante di uve e di vini in Italia (Cassone, Casale Monferrato) in cui si menzionano, tra i vari commercianti di vini, sia i fratelli Fabiano che il summenzionato Pantaleo Fabiano. Zorzi racconta che fino al 1866 non esistevano barriere doganali tra Venezia, Istria e Dalmazia poiché tutte e tre si trovavano sotto il dominio austriaco: era dunque cosa comune, per i veneziani, bere «vin da colpi» espressione con cui si indicavano la forza e la generosità dei vini provenienti dalla Dalmazia. Affluivano poi in terra veneta, attraverso le linee marittime Lloyd, i vini, tra cui le lodatissime malvasie, originari dalla Grecia e da alcune delle sue più importanti isole: Cipro, Samos, Morea e Corfù. Con l’annessione di Venezia all’Italia (il plebiscito avvenne domenica 21 e lunedì 22 ottobre 1866) i vini di oltre giogo iniziarono a costare notevolmente di più. Così il commerciante Pantaleo Fabiano colse l’occasione per importare a buon prezzo i vini provenienti dalla sua terra. E non finì qui.

«Bon! Bon! Questo xe proprio un vin… un vin de bàcaro!»

Per venderli in maniera adeguata aprì una taverna in Ramo della Dogana da Terra, uno degli angiporti di Rialto, cuore commerciale e turistico della città del tempo. La Calle della Dogana da Terra, costruita nel XV secolo, sorgeva tra la Riva del Vin e la Ruga vecchia di S. Giovanni. A questo punto prorompe la leggenda che, però, badate bene, rinvia ad una parola che così inventata non era: una fatidica sera, narra il Zorzi, entrò nell’osteria un gruppo di gondolieri, tra i quali un vecchio campione del remo addetto al traghetto di S. Silvestro. Dopo aver assaggiato il vino più e più volte e, infine, dopo aver schioccato la lingua, il famoso gondoliere esclamò: «Bon! Bon! Questo xe proprio un vin… un vin de bàcaro!»

Bàcaro o bàcara?

Il termine, probabilmente, era stato mutuato dal femminile «bàcara», che si ritrova nel Dizionario del dialetto veneziano di G. Boerio pubblicato a Venezia nel 1856 con i tipi di Andrea Santini e figlio, e che stava ad indicare una compagnia di gente allegra che mangia e fa casino (conpagnia de xente aƚegra che magna e fa caxìn).

Così il bàcaro individuò tanto il pregevole vino di Puglia quanto le taverne dove veniva mesciuto. E quella di Calle della Dogana da Terra prese il nome, primigenio, di «Bàcaro Grande».

Opera di Lorenzo Quinn a Venezia – Biennale Arte 2019


Pietro Stara

PIETRO STARA

Pietro Stara dimora e lavora a Genova. Ha collaborato lungamente con il blog Intravino e ne ha uno proprio: vinoestoria. Ha scritto un libro di storia del vino, Il discorso del vino: origine, identità e qualità come problemi storico-sociali per i tipi della Zero in Condotta di Milano e ha collaborato con alcune riviste cartacee: «SpiritodiVino», «Millevigne», «Pietre Colorate».

Insegna Antropologia nel Master di Wine Culture e Communication presso l’Università di Scienze Gastronomiche di Pollenzo (Bra).