Immaginare il futuro di un’organizzazione è un atto creativo, tanto più efficace quanto maggiori sono, per il soggetto chiamato a compierlo, la conoscenza dell’organizzazione stessa e la capacità di leggere le tendenze del contesto in cui essa opera. Nel caso di un’associazione – organismo che, per definizione, trae la sua forza dalla capacità di sintetizzare una pluralità di punti di vista – occorre studiarne i valori fondativi, la storia, gli asset, le criticità e, soprattutto, conoscere il pensiero dei suoi associati.
Allo stretto numero di Associati che ho avuto occasione d’incontrare in queste prime settimane da direttore del Seminario Permanente Luigi Veronelli ho chiesto quali siano i bisogni cui l’Associazione dovrebbe dare risposta. Chi ancora ritiene che il titolare di un’azienda agricola sia semplicemente “un produttore”, chi pensa che il ristoratore sia sempre e soltanto colui che sovrintende all’elaborazione d’un piatto rimarrà sorpreso sapendo che parole quali prezzo, vendita, tasse, concorrenza e simili non compaiono mai nelle risposte che ho ricevuto. Le indicazioni raccolte sono più profonde, più complessi sono i bisogni evidenziati. Una domanda riesce a restituirne l’insieme con sufficiente precisione: qual è oggi il valore, il senso delle produzioni agroalimentari di qualità e dei processi produttivi “ad alto contenuto di sensibilità” che ne stanno alla base?
Non significa affatto che i nostri Associati non debbano quotidianamente affrontare urgenze e difficoltà di tipo strettamente economico e burocratico, significa piuttosto che al Seminario Veronelli essi riconoscono la capacità di affrontare questi problemi alla stessa profondità in cui si generano. Significa riconoscere che una pubblicazione, un progetto di formazione, un’attività di consulenza in ambito gastronomico oggi hanno senso solo nella misura in cui sono in grado di proporre un modo nuovo di pensare l’essere umano che beve, che mangia, che assaggia.
All’impegno costate profuso per quasi trent’anni dal Seminario Veronelli nel trasferire competenze tecnico-scientifiche dai centri di ricerca al mondo della produzione, occorre oggi affiancare un’identica opera sul fronte culturale: in una società caratterizzata da “individui in transito” più che da “comunità di abitanti”, il compito di cui dobbiamo farci carico è quello di dare alle produzioni italiane di qualità, quindi di territorio, un campo d’esistenza che non sia quello di un passato irrimediabilmente perduto e artificialmente riprodotto. Qualunque identità, qualunque forma di vita – connessa, interattiva, digitale… – ci attenda nel prossimo futuro deve riservare la giusta, fondamentale attenzione alla sensibilità creativa, all’intelligenza fertile, al libero prendersi cura che l’essere umano può mobilitare quando si dedica all’agricoltura e alla gastronomia.
Essere “associazione per la cultura del vino e degli alimenti” alla luce di questa impegnativa domanda dei nostri Associati ci carica di un’enorme responsabilità: con qualche (veronelliana) presupponenza, voglio pensare che il Seminario Permanente Luigi Veronelli possieda ogni requisito per affrontare una questione tanto impegnativa, per far sì che nella rete dell’economia globalizzata circolino non solo le merci e l’immaginario – ugualmente scadenti – prodotti dai grandi gruppi agroindustriali, ma anche la voce di una contadinità nuova.
Il nostro lavoro su questi temi è appena iniziato e il suo buon esito dipenderà sia dalla nostra capacità di dare concretezza operativa a questo percorso, di tenere costantemente connessi bocca, naso e cervello, sia dalla capacità del Seminario Veronelli di aprirsi, di tessere collaborazioni, di contaminare e contaminarsi: per questa ragione le pagine del nostro sito ospiteranno da oggi nuove firme e nuove idee.
Andrea Bonini
L’immagine in testa all’articolo è “Orange, Red, Yellow”, 1961 by Mark Rothko