di Alessandra Piubello

Romagna, un’area i cui confini geografici sono stati dibattuti per secoli senza mai arrivare a una definizione unanime. 
Lucio Gambi scrisse: 

«Romagnolità è in primo luogo uno stato d’animo, un’isola del sentimento, un modo di vedere e di comportarsi» 

e forse è proprio per questo che la Romagna è stata più spesso definita attraverso i comportamenti umani, come quel territorio in cui, chiedendo da bere, viene spontaneamente offerto vino e non acqua. 

Il Passatore e i vini di Romagna

Non è neppure un caso che il simbolo del Consorzio Vini di Romagna sia il Passatore, che non era cortese come lo definiva il Pascoli.
Nell’Ottocento scorrazzava per la Romagna, incarnando lo spirito esuberante di una terra generosa, rubando ai ricchi per dare ai poveri. Si creò la sua leggenda: rubacuori, amante del Sangiovese e anarchico, il Passatore brigante gentile non smette di affascinare il suo popolo.

Sangiovese generoso e versatile

Il vitigno simbolo della Romagna è naturalmente il sangiovese, per tradizione vinificato in purezza. 
Il suo elemento caratterizzante è la generosità. 

Poi è capace di grande adattamento, sia a diverse forme di allevamento – in Romagna un tempo erano molto diffusi gli alberelli, e in parte lo sono ancora -, di potatura, di suoli, di clima. 

Traduttore di terroir

Ma la sua capacità più affascinante è quella di essere una lente d’ingrandimento sul terroir: riesce, infatti, a far leggere i tratti distintivi della sua terra d’origine. Altre uve da vino tendono a prevalere sul territorio, mentre il sangiovese, come per esempio il nebbiolo, il pinot nero e il riesling lo fanno emergere nella sua naturalezza.

Da dove viene il sangiovese?

La paternità geografica del sangiovese è ancora oggetto di discussione, da più fonti sembra tuttavia che il vitigno sia cresciuto nelle pendici appenniniche centrali per poi espandersi sui versanti toscano ed emiliano-romagnolo. Arrivando infine alle altre regioni italiane. 
Uno dei maggiori conoscitori del vitigno, l’agronomo Remigio Bordini, afferma che il sangiovese ha trovato la sua culla ideale nell’areale che sta a cavallo dell’Appennino tosco-romagnolo. 
Una tesi plausibile vede nei monasteri della congregazione Vallombrosana, operanti proprio in queste zone, gli scopritori e i propagatori di questo vitigno, capace di produrre anche nei magri terreni di montagna, adattandosi nei secoli.

Battesimi romagnoli

Il sangiovese è sangue verace di Romagna, benedizione per i bimbi con il quale venivano «battezzati». Consuetudine ancora viva a metà degli anni Quaranta del Novecento, come ci racconta lo scrittore Cristiano Cavina

«Quando mio nonno entrò, scrollandosi la neve di dosso, liberando strato dopo strato mio zio Paolo dalla vecchia coperta, suo cugino Saturno tolse il tappo al bottiglione di Sangiovese e ne versò un bel po’ nel bicchiere. Vi immerse un indice calloso e lo porse alla bocca del neonato, che gorgogliò tittando con gioia, spalancando gli occhi a quel nuovo sapore del mondo».

Confronto con il Sangiovese toscano

Per anni però il Sangiovese romagnolo si è sentito «figlio di un padre minore», rispetto al più celebre fratello toscano. 

Molte le motivazioni: se in Romagna, per esempio, negli anni Ottanta i viticoltori incontravano molte difficoltà economiche, in Toscana la regione sosteneva i produttori con investimenti. 

In Romagna le cantine sociali hanno la supremazia (cosa che non accade in Toscana) e questo ha portato spesso al pregiudizio che la tendenza generale in Romagna fosse fare quantità e non qualità. 

In Toscana poi ci sono firme conosciute in tutto il mondo che hanno trascinato nella corsa al successo anche i piccoli. Cosa che non è accaduta in Romagna.

La rinascita romagnola

Eppure, in questi ultimi anni, gli elementi distintivi del Sangiovese di Romagna (una viticoltura in larga parte collinare, la fedeltà al vitigno, la bontà dei cloni e l’ampia ricchezza di composizione dei suoli) sono stati valorizzati da un gruppo di produttori sensibili e capaci, dotati di una chiara visione, che si sono aggiunti agli storici fuoriclasse presenti da oltre cinquant’anni in numero, però, esiguo. 

Infatti, tanto l’uva è generosa, resiliente, ubiquitaria, tanto il vino ha bisogno della sintonia fra vigna, suolo, clima e, elemento indispensabile, del talento umano. 

Con maggior consapevolezza e rinnovata fiducia nelle proprie potenzialità, con il disciplinare del 2011 si comincia con il cambiare il nome della prima denominazione dell’Emilia Romagna da Sangiovese di Romagna Doc a Romagna Sangiovese Doc e s’individuano 12 sottozone (un tempo Menzioni Geografiche Aggiuntive ribattezzate poi Unione Geografiche Aggiuntive con il Testo unico della vite e del vino nel 2016).

Vediamole insieme queste sottozone da ovest verso est.

Le 12 sottozone del Sangiovese romagnolo

A Serra, dalle colline a un’altitudine media di 150 metri su suoli argillosi-sedimentari, i vini possiedono delicate note floreali e un frutto fresco, tannini fini per vini da invecchiamento. 

Brisighella, con due aree più vocate, quella posizionata a nord, caratterizzata da colline non molto elevate e da suoli profondi di matrice argilloso-calcarea (a tratti di natura calanchiva) e il versante a sud: qui l’altitudine media cresce (fino a superare in alcuni punti i 400 metri s.l.m.), la Valle del Lamone si restringe, il clima diventa più appenninico e i terreni sono marnoso-arenacei. I vini del primo settore sono complessi e grintosi mentre nella seconda area i vini mostrano tannini incisivi e una freschezza sapida.

A Marzeno lo spungone s’intercala ad argille e a calanchi contribuendo a dare potenza, austerità ai vini, capaci di evolversi bene nel tempo.

Modigliana, caratterizzata da una viticoltura esclusivamente collinare (con altitudini che raggiungono i 500 metri) e da terre sabbiose e marnose, propone vini ben riconoscibili, di tensione gustativa, di sapida freschezza, di succosa naturalezza della beva e peculiare austerità a conferire longevità. 

Oriolo, dove in genere c’è una prevalenza di argille ma con due eccezioni: in primis i rilievi di Petrignone sui 150 metri di altitudine con una discreta presenza calcarea e poi le sabbie gialle nella parte più elevata, dove il sangiovese mostra ampiezza e volume, struttura ed eleganza con l’invecchiamento oppure florealità e fresca finezza in gioventù. 

Castrocaro è distinta in tre zone profondamente differenti: una di matrice fortemente argillosa dai vini profondi; una caratterizzata da suoli argillosi poco calcarei che conferisce ai vini buon volume e maggior prontezza espressiva e l’ultima, dalle spettacolari formazioni calanchive, dai sangiovese austeri e di lenta evoluzione.

Predappio, zona caratterizzata da una forte differenza di altitudine e di suoli, dato che si spazia da argille a sabbie a terreni argillosi-calcarei a marnosi-gessosi, nella quale in generale si producono vini spessi, austeri, longevi e di grande materia. 

Bertinoro, esattamente a metà strada tra le città di Forlì e di Cesena, noto come «il Balcone di Romagna», è conosciuto per la presenza di spungone, che si traduce in terreni di matrice tufaceo argillosa, ricchi di fossili marini e più calcarei della media che danno vini di buona grana tannica e di notevole sapidità. 

A Cesena la viticoltura si sviluppa a quote fra i 120 e i 240 metri di altitudine, nutrendosi di suoli argillosi con una percentuale di sabbie e di calcare; una zona molto ventilata dalle brezze marine. Nei vini troviamo l’incontro tra un profilo tannico sfumato e un frutto di sapida morbidezza.

La sottozona di Longiano fa riferimento alla valle del Rubicone, dove la natura ha conservato un fascino incontaminato. Per quello che riguarda la viticoltura, si spazia da terreni meno argillosi e più arenacei dei sangiovese fini, sapidi ed eleganti ad altri suoli di matrice più fortemente argillosa, dai vini più caldi e più tannici a zone collinari di argille calanchive dai vini robusti e voluminosi.

A San Vicinio nei terreni si mescolano sabbie, ghiaie e argille e sono particolari le condizioni di luce, vento e temperature che risentono della vicinanza dell’Appennino. I vini sono freschi e sapidi e ben articolati nella struttura tannica.

Meldola è in assoluto la zona meno vitata di tutte le dodici sottozone. La viticoltura si sviluppa tra i 150 metri e i 250 di altitudine su argille rosse ben dotate di calcare. I vini sono generosi nel frutto ma bilanciati e dotati di buona longevità. 

Il Romagna Sangiovese MGA (e MGA riserva, o più propriamente UGA E UGA riserva), che si colloca sulla punta della piramide della qualità, in realtà ha ancora bisogno di tempo per decollare appieno. 

Ma la direzione è tracciata, le aziende che hanno scelto di imbottigliare le sottozone sono oggi 42. E  i numeri sono in crescita.

Ringraziamo il Consorzio Vini di Romagna per la concessione delle fotografie che accompagnano l’articolo.


Alessandra Piubello

Giornalista e scrittrice veronese, degustatrice professionista, è Direttore di numerosi periodici e autrice di libri e reportage di turismo gastronomico. Vanta collaborazioni con testate di rilievo nazionale e internazionale ed è presenza costante nelle commissioni dei più rinomati concorsi enologici al mondo