Inutile nasconderlo: a lungo in Italia “Cantina Sociale” è stato sinonimo di vini dozzinali e di scarse virtù, frutto di gestioni improntate al mero assistenzialismo nei confronti dei soci conferitori, che si traduceva nell’acquisto a prezzo “politico” di tutte le uve a prescindere dalla loro qualità. Oggi in molti casi le cose sono cambiate e numerose Cooperative operano ora con criteri moderni e rigorosi, soprattutto nella selezione dei vigneti e delle uve.

Anche nel passato, tuttavia, non sono mancati esempi positivi. Non mi riferisco solo alle leggendarie “Kellereigenossenschaften” dell’Alto Adige, che già alcuni decenni fa si sono poste a capo del movimento che ha portato la regione ai noti vertici qualitativi. Nelle Langhe, per esempio, nel 1894 il leggendario Cav. Domizio Cavazza, preside della Regia Scuola Enologica di Alba, riunì alcuni viticoltori e fondò le Cantine Sociali di Barbaresco per la “produzione di vini di lusso e da pasto”. È una data importante, poiché segna la nascita ufficiale del vino Barbaresco, che in tal modo affermava orgogliosamente ed una volta per tutte la propria autonomia rispetto al più blasonato cugino Barolo.

Chiusa in epoca fascista, la cantina Produttori del Barbaresco è rinata nel 1958 grazie a don Marengo Fiorino, parroco del paese, che ha così creato una realtà cooperativa presto divenuta esempio di rara serietà e competenza per l’Italia tutta, guadagnandosi una reputazione tuttora valida e confermata. A chi fosse scettico e non si fidasse delle mie parole, consiglio di procurarsi una bottiglia delle Riserve di questa cantina, prodotte con le uve di diversi soci conferitori, ma imbottigliate con l’indicazione del vigneto.

L’ultima che mi è capitato di assaggiare è il Barbaresco Riserva Montestefano 2001, come ovvio prodotto dai Produttori del Barbaresco, naturalmente in quel di Barbaresco, conseguentemente in provincia di Cuneo. Montestefano è uno dei cru più pregiati della denominazione; poggia su terreni esposti a sud di natura argilloso-calcarea con vene di tufo e sabbia. Le sue uve sono state vinificate con 21 giorni di macerazione sulle bucce, quindi il vino è stato elevato per 36 mesi in botti di rovere e si è affinato per altri 18 mesi in vetro.

La mia bottiglia era la n° 5918 delle 17.920 prodotte. Sulla retroetichetta riportava i nomi dei proprietari dei singoli appezzamenti di vigna: Gonella, Maffei, Marcarino, Rivella, Rocca, Vacca; è un bel modo per onorare l’abilità dei vignaioli e, nel contempo, per caricarli della giusta responsabilità. Conteneva un Barbaresco dai profumi di rosa appassita, camino, humus, molto raffinato ed elegante; sul palato dimostrava tannini fittissimi e già con gradevoli accenni di rotondità, pur mantenendo un piacevole e dinamico rilievo tattile.

Uno splendido Barbaresco ben aperto ed espressivo, intimo e confortevole, di impostazione decisamente classica; potremmo quasi dire un vino “vecchio stile”, ma di assai attuale eccellenza.

Marco Magnoli