Di questi tempi vanno molto di moda le degustazioni verticali: ovunque si legge di verticali fatte tra amici, in ristoranti o trattorie, alle fiere e sagre paesane, tanto che anche su facebook ce n’è piena l’aria e non se ne può proprio più. Ho pensato, quindi, di fare una bella mini orizzontale non certo per sfoggiare entrature, familiarità e confidenza con chicchessia, ma unicamente per cercare di capire qualche cosa in più dei buoni vini italiani, del valore dei millesimi e della capacità di evolvere positivamente di questi vini.

Per esempio, un mito da sfatare o da verificare è quello secondo il quale i vini a base di nebbiolo, ed in particolare i Barbaresco, affinati in barriques diano buoni risultati nei primi anni della loro vita per poi spegnersi piuttosto rapidamente. Al contrario, dovrebbero essere solo i Barbaresco affinati in grandi botti di rovere, magari di Slavonia, a dare risultati eccellenti sulla distanza, nonostante nei loro primi anni si presentino un poco ostici.

Verità, miti, dicerie, fissazioni, preconcetti, leggende, maldicenze, manie, pettegolezzi? Chi lo sa?
L’unica è controllare. L’occasione ce la danno due bottiglie di Barbaresco 2003 Coparossa e Rabajà di Bruno Rocca in quel di Barbaresco, in provincia di Cuneo.

CLIMA

Iniziamo col dire che l’annata 2003 è stata una fra le più calde e siccitose degli ultimi quarant’anni: dopo un principio di primavera piuttosto nella norma, è iniziato un periodo con temperature costantemente al di sopra della media con punte che hanno sfiorato i quaranta gradi e con quasi tre mesi senza pioggia. Le viti sono andate spesso in stress idrico, hanno chiuso i pori delle foglie e si sono isolate in una specie di letargo che le ha fatte sopravvivere ma con limitazioni della sintesi clorofilliana e quindi dei consueti processi di maturazione. In molti casi, più che una maturazione degli acini, si è avuta una disidratazione che ha portato alla concentrazione di zuccheri e polifenoli.

VIGNE

I due differenti vini sono ottenuti da diversi vigneti: il Barbaresco Coparossa proviene da due vigneti: il Fausoni a Neive ed il Pajoré a Treiso. I suoli del Fausoni sono composti da Marne di Sant’Agata fossili sabbioso-conglomeratiche e la vigna, piantata nel 1965 a circa 260 metri s.l.m., è esposta a sud/ovest. I suoli del Pajoré sono composti dalle Formazioni di Lequio con arenarie più o meno compatte e sabbie e marne compatte; la vigna del 1998 è esposta a sud ad una quota prossima ai 300 metri s.l.m.
Il Barbaresco Rabajà è ottenuto esclusivamente dai vigneti della zona che porta questo nome nel comune di Barbaresco; i suoli di Rabajà sono composti dalle Marne di Sant’Agata fossili con sabbie grigio-azzurre e intercalazioni sabbioso-conglomeratiche; la vigna, piantata nel 1964 e completata nel 1978, è esposta a sud a circa 300 metri s.l.m.

VINI

Il Barbaresco Coparossa 2003 è ottenuto da una vinificazione in vasche di acciaio inox con macerazione delle bucce di 7-10 giorni; l’affinamento di 12-16 mesi è effettuato in barriques, 60% nuove e 40% di secondo passaggio. Ha un colore rubino non troppo intenso con sfumatura bruna che volge sul granato; il profumo è molto intenso con iniziale sentore fruttato abbastanza maturo ma senza cadenze di confettura. Si fa largo un aroma di legna arsa e di camino con una folta esposizione speziata dolce, con chiodo di garofano molto evidente ed un leggero ricordo vegetale quasi mentolato. In bocca il frutto si fa più dolce e sfiora la confettura, ma è presto frenato da un impatto acido e tannico molto evidenti e dal forte carattere mascolino, deciso e risoluto, a tratti quasi astringente e ruvido; finché alla fine torna a far valere la propria dolcezza ancora il frutto condito dai toni speziati e balsamici, che portano poi alla chiusura gustativa lasciando in bocca una sensazione dolce-amara di discreta eleganza.

Il Barbaresco Rabajà 2003 è prodotto con vinificazione in vasche di acciaio inox con macerazione di 7-10 giorni ed un affinamento di 12 mesi in barriques di rovere francese, 80% nuove e 20% di secondo passaggio. Ha un colore bruno-rubino di buona profondità e con riflessi decisamente granata. Il profumo si apre su cadenze floreali, di rosa canina, che volgono ad un fruttato maturo tra ciliegia selvatica e lampone; è discreta la presenza speziata come pure il tocco di camino spento che sembra voler volgere verso sfumature leggermente animali con cuoio e pellame. In bocca il gusto è subito fruttato, molto dolce e caldo, e si apre poi su toni speziati morbidi, vagamente si avverte vaniglia e coriandolo. Il tutto è avvolto da una trama tannica sottile e minuta che sfiora la morbidezza e si fa avvolgente nel finale, quando le impressioni più vigorose sembrano placarsi e lasciano un’impressione di dolcezza che si allunga e distende con ampia persistenza.

CONSIDERAZIONI FINALI

Due vini che ben hanno sopportato la stagione decisamente calda, senza portarsi appresso pesantezze o ossidazioni, ma reagendo in modo diverso soprattutto a causa dei diversi suoli di provenienza: il Coparossa ha mostrato la maggiore incisività e consistenza dei tannini nati sulla formazione di Lequio, che in un’annata come questa risultano ancora un poco ostici e ruvidi. Ci pare che abbia reagito meglio il Rabajà, proveniente unicamente dalle marne fossili, per la maggior eleganza e morbidezza dei tannini ed un carattere più compiuto ed equilibrato che rende più piacevole la beva. Due ottimi vini che portano dentro di sé la nobiltà del vitigno e la personalità dei luoghi natii. Ma, in sostanza, in un’annata così calda e difficile ci pare meglio puntare più sull’eleganza che non sulla potenza.

Gigi Brozzoni