Che ci vuole? Basta poco: un giorno stavamo in Valle d’Aosta ed il giorno dopo eravamo giunti già in Sicilia – o meglio su un’isola delle Eolie o Lipari – muovendo solo qualche passo. È stato sufficiente scendere i pochi gradini della cantina, accostarsi di nuovo alla nicchia dei passiti e rivolgersi questa volta al settore dei vini “mediterranei”.

Mi sono trovato, così, tra le mani una bottiglia di Malvasia delle Lipari Passito di Salina 2007 delle Cantine Colosi, con sede a Messina ma vigneti e cantina di vinificazione a Salina, particolarissima isola dell’arcipelago eoliano che fu chiamata dai Greci  Didyme, ovvero ‘doppia’ o ‘gemella’. Attraversata lungo l’asse nord-sud da una valle, risulta infatti divisa in due distinti rilievi vulcanici (il Monte Fossa delle Felci ed il Monte dei Porri) tanto che, osservata da lontano, appare quasi comporsi di due distinte isole molto vicine fra loro. “Salina la verde” venne anche detta dai Romani poiché, unica nell’arcipelago, è ricca di acqua dolce che ha consentito lo sviluppo di una vigorosa ed abbondante vegetazione.

Assai particolare anche il vitigno principe presente nei suoi vigneti, la malvasia delle Lipari, che appartiene ad una vasta e variegata famiglia di uve accomunate praticamente solo dal nome; una proliferazione sorta, pare, qualche secolo fa, quando i commercianti di vino italiani cominciarono a selezionare varietà adatte ad imitare il famoso vino greco liquoroso, molto aromatico e pregiato, divenuto tra Cinquecento e Settecento il più richiesto in Europa ed importato dai Veneziani fin dal XIII secolo attraverso la città portuale di Monemvasia, nel Peloponneso. Secondo diversi studiosi, la varietà eoliana sarebbe giunta nelle isole Lipari verso il 600 a.C. attraverso i colonizzatori greci; recenti indagini genetiche ne hanno, inoltre, decretato l’identità con la Malvasia di Sardegna ed il Greco di Bianco.

La famiglia Colosi coltiva la sua malvasia sui tipici terreni vulcanici dell’isola, sopra terrazzamenti posti tra i 150 ed i 300 metri s.l.m. I grappoli, vendemmiati a partire dalla metà di settembre, appassiscono sui graticci e, dopo pressatura soffice, fermentano per 20-25 giorni in acciaio a 18°C; raggiunta la gradazione alcolica voluta, la fermentazione è bloccata portando la temperatura fino a 0°C per circa 10 giorni; il vino riposa, quindi, in acciaio sino all’estate successiva.

Alla fine quel che resta è un vino dall’affascinante veste ambrata, che svela al naso e al palato un carattere insieme placido e dinamico, con le classiche note di fico e agrumi canditi dei passiti meridionali, ma soprattutto con tanta uva sultanina, dolce e zuccherina, resa eccezionalmente intrigante da un limpido tocco di fiori, di erbe aromatiche, origano e macchia mediterranea. Un’anima doppia ma gemella, in onore di Didyme.

Marco Magnoli