Come certi temporali d’estate, di quelli che giungono a sera e scrosciano di infinite gocce su appartati giardini, rigogliosi di piante, cespugli e aiuole fiorite. Quei giardini, poi, li immagino ogni volta ad ornamento di ville fin de siècle, dimore remote nel tempo reale e letterario; la villa di tante Léonie a Combray o la Vill’Amarena a sommo dell’ascesa, la casa della signorina Felicita in quel dolce paese che non si dice. Sere ripulite dalla pioggia estiva, che soffia la sua frescura tra le ante aperte delle finestre e ci fa lieto, sereno e riposato il sonno.

Non so perché, ma se mi penso seduto a tavola per cena accanto a tante Léonie, mentre Françoise serve gli asparagi aspersi d’oltremare e di rosa, i colori nascenti d’aurora, oppure ospite della beltà fiamminga di Felicita con la sua stoviglia semplice e fiorita, quelle buone cose altrove affettuosamente accusate di pessimo gusto che a volte posseggono l’insospettato dono di farci meglio sopportare la vita; ecco, quando siedo a queste tavole – dicevo – lo Champagne o lo spumante non scivolano mai nel calice tinti di un diafano paglierino, ma sono sempre carichi d’oro antico, caldo, confortante.

Riflettevo su queste minuzie l’altra sera, mentre fuori il cielo sfogava l’affanno di un’afosa giornata di luglio in una soave pioggia ritemprante. A tenermi compagnia una bottiglia di Caluso Spumante Brut Cuvée Tradizione Gran Riserva 2006, elaborato con metodo classico da uve erbaluce dalla cantina Orsolani in quel di San Giorgio Canavese, provincia di Torino.

Sul filo delle corrispondenze – un vino, il suo aureo riflesso, la campagna canavesana tanto cara a Gozzano, le sue estati a Il Meleto di Agliè, i pressoché contemporanei e fecondi soggiorni di Proust a Illiers, gli altrettanto coevi e lirici trasporti del Vate D’Annunzio, quelle gocce che sole si odono su le soglie del pineto, le umane parole che sfuggono, il variato crepitio sotto le innumerevoli dita, il panico spirito silvestre che di nuovo rinverdisce forme apparentemente passate – ho ritrovato i profumi ricchi e maturi, il buon aroma che si diffonde ben cesellato da cinque anni sui lieviti, la seducente e morbida dolcezza, la nocciola appena tostata, un’allusione di quiete rifinita persino da un consolante tocco crepuscolare; insieme a questi toni rassicuranti, però, confuse fra gli accenni di una rotonda opulenza si svelano sensazioni fresche e vitali, il pane fragrante, l’aspro succo del limone, la vivace sapidità che si tuffa nel fitto perlage da cui trarre rinnovato vigore.

Il vino di per sé solo non è sufficiente, questo si sa; ma l’animo di certi vini è davvero capace di far risuonare in perfetto accordo i confusi ricordi, le riflessioni, le contraddittorie suggestioni, le trasposizioni, gli stati d’animo, le nostalgie, gli abissi e le estasi che informano il nostro complicato e incoerente mondo interiore; per un prezioso istante riesce quasi ad abbozzarne un senso.

Marco Magnoli