Così dice una vecchia canzone di Enzo Jannacci e ieri sera me la canticchiavo a mente continuamente. Poi interrompevo per ascoltare chi parlava al pubblico che affollava la sala, chi parlava a me e chi discorreva più o meno amenamente. Poi riprendevo senza accorgermi a canticchiare “Perché ci vuole orecchio, / bisogna avere il pacco / immerso, intinto dentro al secchio, / bisogna averlo tutto, / anzi parecchio… / Per fare certe cose / ci vuole orecchio!”
Se non ve la ricordate, questa gustosa canzoncina, ascoltatela adesso: http://www.youtube.com/watch?v=UBI49UTmxII
Ma ho capito subito il motivo di questa insistenza: ero a Larte (tutto unito si scrive), un locale nel centro di Milano che fonde arte, eventi e cucina tanto che ti sembra di essere a New York. La famiglia Lunelli al gran completo presentava l’ultima perla della loro produzione, un Trento Doc Riserva del Fondatore Giulio Ferrari Collezione 1995. Un bell’ardire, non c’è che dire. Diciott’anni sono una bella età per un vino, ancora più per un vino bianco e per giunta spumante. Se ne è stato sui lieviti fino alla primavera scorsa, poi è stato degorgiato ed ora è pronto per fare il suo ballo dei debuttanti.
Se già vi stupisce la Riserva del Fondatore Giulio Ferrari, che esce sul mercato dopo dieci anni e più, questa Collezione 1995 di sicuro vi sbalordisce per questa sua perfezione stilistica e tecnica: il colore è di un bel giallo vivace, appena attraversato da fulgori dorati; il profumo ha raggiunto una maturità che aggiunge al frutto note di agrumi canditi e impressioni di idrocarburi; l’anidride carbonica è ancora perfetta, sia nel bicchiere sia quando arriva al palato sfocia in una elegante cremosità, che espandendosi porta con sé la dolcezza dei frutti, la freschezza dell’acidità e la sapidità dei minerali. Perfetta armonia organolettica.
Attorno a questo vino è stato creato uno spettacolo privo di quei vacui artifizi che continuamente ci bombardano la testa, ma con i diversi ingredienti delle grandi occasioni: la cucina di Alfio Ghezzi e Nino Di Costanzo è stata ottima e veramente funzionale ai vini della serata, gli ospiti tutti garbati e nei loro ruoli, i Lunelli amabili intrattenitori. Bisogna dirlo: le ultime due generazioni dei Lunelli continuano ad avere un affiatamento invidiabile, ciascuno ha un ruolo e compiti precisi, nessuno si sovrappone all’altro, sembrano davvero un complesso musicale che suona in perfetta sintonia senza un direttore d’orchestra che li guidi.
Eppure… Eppure son convinto che ci sia qualcuno che ha più orecchio, che queste cose le sente con più precisione ma soprattutto con largo anticipo rispetto a tutti gli altri. Essì, perché per presentare oggi un vino che ha diciotto anni bisogna aver cominciato a pensarci diciotto anni fa, quando la terza generazione di famiglia viveva forse nella beata o disperata adolescenza e la seconda generazione aveva razionalmente distribuito compiti e ruoli. E così un Lunelli se ne è stato in cantina con Ruben Larentis, suo enologo di fiducia, a pensare, a fare, ad accantonare, a spostare e a nascondere. Perché per fare certe cose bisogna avere orecchio.
È vero Mauro?
Gigi Brozzoni