L’ampelografia è proprio una scienza complicata e crediamo piuttosto imprecisa: quindi è scienza o opinione? Quale è e dove è il limite, la linea che le separa? Davvero difficile dare una risposta, perché con le innumerevoli varianti linguistiche e dialettali è davvero complicato sapere se si sta parlando tutti della stessa cosa, o ciascuno ha in mente una sua personale versione o visione.

Faremo un esempio scegliendo il Canaiolo nero; è normale che abbia qualche sinonimo, ma state attenti a quali e quanti sono secondo due ampelografi degli anni Cinquanta, Breviglieri e Casini: Canaiolo nero comune, Canaiolo nero grosso, Uva canaiolo (e fin qui sarebbe tutto normale ma…) Uva dei cani, Uva marchigiana, Uva donna, Uva merla, Uva grossa, Canaiolo toscano, Cannaiola, Tindilloro, Calabrese (usato anche per il Sangiovese, per cui vuoi vedere che già qualcuno sapeva dell’origine di questo importante vitigno?); e poi Uva fosca, Cacchiume nero, Cagnina, Canaiuola, Uva canina, Cacciuna nera, Caccione nero, Canaiolo borghese, Canaiolo pratese, Canaiolo romano. Ma con queste ultime due denominazioni tra Prato e Pistoia si intende il Ciliegiolo.

Tutto questo perché ci siamo trovati tra le mani una bottiglia tutta nera con una sottile linea argento che disegna un uccello posato su una scritta quasi fosse un rametto: Merla della Miniera Toscana Igt 2004, 5° Vendemmia, imbottigliato da Ivan Giuliani per Terenzuola in Fosdinovo, Massa Carrara.
Per fortuna una scritta in retro etichetta chiarisce: Ottenuto da uve Canaiolo e Colorino in zona da sempre conosciute come Merla e Tintoretto, coltivate su terreni anticamente utilizzati per l’estrazione di lignite a 70 metri sul livello del mare.

Bene, ora possiamo procedere all’apertura della bottiglia: la capsula è integra, il tappo è sano e si estrae con una certa facilità ed è imbevuto di vino solo per pochi millimetri; profuma di sughero sano, senza difetti. Il vino lo versiamo in un ampio calice e mostra subito un bel colore rubino intenso e profondo, solo con un leggero riflesso granata che si avverte di più sul bordo ma senza intaccare l’integrità della tinta. Emana un bel profumo di lamponi e ribes maturi, una bella ed elegante cadenza floreale tra la viola e la rosa canina, un leggero richiamo al carbone ed un bel ventaglio di spezie piuttosto dolci ma anche un leggero pepe nero. Appena percepibile un leggero cedimento vegetale non troppo fresco. Al gusto regala una bella dolcezza fruttata, ancora integra e fragrante, una notevole consistenza speziata ed un tratto leggero di liquerizia; alla base vi è una bella trama di tannini piuttosto fini anche se non troppo compatti, ma che accarezzano il palato e consentono una buona persistenza gustativa. Davvero sorprendente la tenuta di questo vino e questo suo carattere vagamente selvatico; davvero sorprendente la personalità di queste Uva donna e Abrostino.

Gigi Brozzoni