Ultimamente mi sono un po’ fissato con i bianchi d’annata. Non è una forma di eno-gerontofilia, ma solo la convinzione che alcuni vini bianchi italiani, realizzati con particolari vitigni, in determinate zone e talora da qualche ben preciso produttore, abbiano bisogno di un lungo affinamento (soprattutto in bottiglia) per dare il meglio di sé.

Nel caso di specie il vitigno è il verdicchio, la zona l’alta valle dell’Esino ed il produttore Fabio Marchionni dell’azienda Collestefano di Castelraimondo, in provincia di Macerata. Il vino che risolve le tre variabili è il Verdicchio di Matelica Collestefano 2006. La storia del verdicchio è abbastanza nota; vitigno diffusissimo nelle Marche, ha vissuto un periodo di grande successo negli anni Sessanta legato, però, alla sua versione più semplice, prodotta in grandi quantitativi e con ambizioni qualitative modeste.

Le sue potenzialità, in realtà, sono ben altre ed ormai pienamente dimostrate dai migliori vignaioli marchigiani; se opportunamente coltivato e vinificato è, infatti, in grado di dare vini capaci di evolvere positivamente per lunghi anni, caricandosi di note ricche, complesse, intriganti, senza perdere in brillantezza e vitalità. Se ciò è senz’altro vero per l’area dei Castelli di Jesi, lo è forse ancora di più per la zona più interna ed un poco defilata che fa capo al comprensorio di Matelica.

Le differenze tra i due ambienti non sono tanto dovute a diversità di suolo, bensì di clima. L’alta valle dell’Esino impone una diversa prospettiva, poiché è l’unica valle marchigiana disposta lungo la direttrice nord-sud; non è, quindi, aperta verso il Mare Adriatico dal quale, pertanto, non riceve influssi mitigatori; chiuso tra montagne di considerevole altezza, con vigneti estesi tra 400 e 700 metri s.l.m., il territorio di Matelica garantisce forti escursioni termiche e favorisce una maturazione lenta e progressiva delle uve, preservandone la migliore carica aromatica e generando vini più freschi, acuti, decisamente più austeri e verticali rispetto a quelli dei Castelli di Jesi.

Resta da dire del produttore, Fabio Marchionni, vignaiolo originale che ha imbottigliato la sua prima annata di Verdicchio nel 1998, fresco di laurea in enologia, vinificando le uve dei vigneti di proprietà in località Colle Stefano e coronando, così, il legame con un podere che appartiene alla sua famiglia dal 1978. Grande rispetto per l’ambiente, rigida viticoltura biologica, vinificazioni rigorosamente in acciaio: Fabio ha le sue idee e sa come renderle conseguenti imprimendo ai vini una personalità ben definita e riconoscibile. Ad ogni nuova annata il suo Verdicchio colpisce per l’acidità profonda e tagliente, così asciutta da rendere quasi scabro ed essenziale l’insieme.

In effetti il Collestefano in gioventù può facilmente spiazzare i seguaci di un’estetica enoica più piena e fiorita. Personalmente non disprezzo i vini che manifestano qualche eccesso in un senso o nell’altro, purché tali eccessi si ricompongano, magari dopo qualche anno, in un quadro fornito dei giusti contrappunti sui quali i tratti più marcati possano poggiare trovando esaltazione ed equilibrio. Se ascoltato con attenzione, fin da giovane Collestefano lascia intendere questi interessanti sviluppi, di solito puntualmente confermati dal trascorrere del tempo.

Così è stato anche con l’annata 2006: ancora lontana dal raggiungere la completa e definitiva maturità, la sua indole severa comincia a rivestirsi di preziose fioriture; intorno alla vena acida, acuta, al fortissimo richiamo agrumato, alla sapidità più salina che minerale, l’agile vivacità del vino trascina in superficie uno sfondo di complessità, qualche nota iodata, l’anice, un accenno di cera d’api, il fiore essiccato, un frutto che, anziché avvizzire, si gonfia di pulsante e succosa dolcezza.

Qualunque sia la prospettiva, insomma, l’importante è sapere dove si vuole arrivare e Fabio sembra aver studiato bene le sue mappe.

Marco Magnoli