Molti dei grandi vini italiani hanno avuto nel corso della loro storia notevoli cambiamenti sia nel modo di produrli con miscele di diverse uve, sia nei diversi modi di vinificazione. In un primo momento bisognava appellarsi ai pochi scritti di cronaca locale o di qualche raro storico di tradizioni agricole per sapere come veniva prodotto un vino, poi sono arrivate le Doc con i loro disciplinari di produzione a fissare regole e metodi.
Quasi tutti i grandi vini negli ultimi trent’anni hanno subito una sorta di “attacco concentrico” da parte della cosiddetta internazionalizzazione del gusto che tendeva ad omologare ed azzerare le differenze a suon di Merlot e Cabernet per i rossi, e Chardonnay e Sauvignon per i bianchi. Ma nessun altro vino crediamo abbia subito così tanti cambiamenti a livello produttivo come il Chianti Classico.
A partire dalla famosa Ricetta Ricasoli dell’Ottocento, progettata per poter produrre ogni anno un buon vino miscelando diverse uve rosse e bianche, alla progressiva eliminazione delle uve bianche e alla parallela introduzione di uve rosse internazionali. Tutto ciò ha fatto diventare il Chianti Classico certamente un vino più moderno ed internazionale, ma ha tolto identità ad un vino e ad un territorio nel suo insieme.
Non avventuriamoci poi a parlare di pratiche enologiche, perché non ne usciremmo vivi: pensiamo soltanto alla scomparsa della pratica del governo, a quanto sono cambiate le attrezzature di cantina dall’ottocento ad oggi, di quanta tecnologia in più disponiamo e di quante conoscenze in più possiamo avvalerci in vinificazione ed affinamento. Da tutto questo sconcerto si sta progressivamente passando ad una sorta di “rito di purificazione” del Chianti Classico attraverso l’impiego esclusivo del Sangiovese.
Certo, non è più il sangiovese di un tempo perché ci sono stati anni di ricerca di nuovi e più efficienti cloni, c’è stato il progetto Chianti Classico 2000, si sono scritte migliaia di pagine di ampelografia e di enologia. Oggi, anche per via del cambiamento climatico, il sangiovese matura sempre bene arrivando a dare anche 14,5 gradi alcol, si può ottenere più maturità al basso o cercare freschezza in alta collina, il colore è sufficientemente scuro senza bisogno di colorino.
Oggi ci siamo aperti un vino che dichiara subito in etichetta l’intento e la scelta di campo del produttore, si chiama Chianti Classico La Tradizione 2010 della Fattoria Poggiopiano di San Casciano Val di Pesa in provincia di Firenze. Stefano Bartoli, proprietario di Poggiopiano, scrive in retro-etichetta “Amore per il Sangiovese”, però sul suo sito ammette che il sangiovese è un vitigno “irascibile, bizzoso, viziato”. Ma sappiamo che l’amore è capace di cose mirabili e di far sembrare pregi anche i difetti.
Provate questo Chianti Classico La Tradizione per cogliere quel sottile legame tra il vitigno, il suolo di questa parte di Toscana centrale e l’amore incondizionato di Stefano Bartoli assieme alla perizia enologica di Attilio Pagli.
Gigi Brozzoni