Una delle differenze che passano tra un ombrello e, ad esempio, un dipinto di Courbet sta nella diversa possibilità di proporre messaggi, concetti, informazioni, di restituire – pur nell’intrico delle interpretazioni – le idee, le impressioni, la visione del mondo di un essere umano, un frammento del suo tempo, dei suoi luoghi, delle sue relazioni. Contemporaneamente – e forse è questa la possibilità più preziosa – gli spaccapietre di Courbet dicono anche qualche cosa di noi, raccontano un dettaglio degli uomini e delle donne d’ogni tempo e luogo, nonostante (o forse grazie a) le traduzioni, i fraintendimenti, le forzature.
Certo in modi e forme diverse, ma non soltanto l’arte, qualunque attività cui l’essere umano si dedichi con dedizione totale può farsi carico di messaggi profondi e in qualche modo universali: è naturale, quindi, di fronte a un grande vino chiedersi dove si nasconda il suo racconto sul mondo, quale lingua parli la meccanica magica che ci trascina via con l’assaggio per restituirci poi a noi stessi tanto più cambiati quanto più la nostra comprensione è stata approfondita e piena. Un grande vino è opera di manualità e intelletto, tecnica, sensibilità, esperienza, coraggio, creatività, capacità di sintesi e coerenza… e certo in questo non è affatto diverso da ogni altra manifestazione in cui riconosciamo la traccia nitida dell’essere umano.
Per leggere a fondo il linguaggio del vino più che gli occhi dello studioso d’arte dovremmo possedere forse lo straordinario fiuto del Cirneco dell’Etna, antica razza di cane da caccia introdotta nell’area del vulcano (‘a Muntagna) da mercanti Fenici di ritorno dall’Egitto. Cirneco è anche il nome di un vino prodotto nel comune di Randazzo dall’azienda Terrazze dell’Etna, impegnata dal 2008 su un duplice fronte: quello degli ormai celebri rossi etnei e quello, decisamente meno frequentato, degli spumanti metodo classico da uve chardonnay e pinot nero. Fortunatamente del nostro quadrupede ritroviamo nell’Etna Cirneco 2009 non il famigerato odore nei giorni di pioggia, ma l’agilità e l’eleganza. Tinta rubino, qualche riflesso maturo, materia colorante rarefatta, luminosa e – appena costretti tra note legnose – fiori densi, lampone ed erbe aromatiche, bocca viva, fresca, chiusura tattile ben levigata e saporita: ecco la traccia che stavamo cercando.
Andrea Bonini