Finalmente l’erba è tagliata. Ho colto al balzo l’attimo di tregua concesso da questa fradicia primavera e ho dato una regolata al mio riottoso prato. Rientro in casa e trovo il deserto. Cucina, soggiorno, sala da pranzo… Visito ogni stanza, ma moglie e figlia non ci sono. Trascurate da me, avranno approfittato dell’insperato bel tempo per una passeggiata. L’inattesa solitudine e la stanchezza inducono alla riflessione, ma serve la complicità di un vino.

Apro la cantinetta ed eccola spuntare, per l’ennesima volta, quella benedetta/maledetta madeleine che fa rivivere ricordi ed emozioni caricandoli di felicità, di angoscia, spesso di malinconica nostalgia. Ribolla Gialla Venezia Giulia 2009 de Il Carpino della famiglia Sosol: tale è l’identità assunta per l’occasione dal soffice biscottino evocatore. Il Carpino è un’azienda di San Floriano del Collio, provincia di Gorizia, ma ha vigneti di ribolla a Oslavia, piccola frazione collinare del capoluogo.

Con il calice colmo di vino fra le mani mi scopro, così, a pensare ad un altro giugno, quello del 2010, quando proprio ad Oslavia, seduto in un prato, ascoltavo i relatori di un convegno organizzato dai produttori locali per parlare di uomini, terra e uva. Il Seminario Veronelli vi aveva parte importante, poiché in quel periodo cominciavamo a ragionare su un libro dal titolo Ribolla Gialla Oslavia. The book; un’opera trilingue (inglese, italiano e sloveno) che si proponeva di catturare l’anima di un singolarissimo terroir.

Fu per me un lavoro illuminante; forse mai prima di allora mi ero lasciato avvolgere e assorbire tanto intimamente da un luogo e dalla sua storia, dalle sensazioni di chi lo vive e dai racconti dei suoi prodotti; mai prima di allora avevo trovato vini che davvero fossero specchio straordinariamente fedele di chi li produceva: diversi i produttori, diversi gli stili e diversi i vini, che rivelano, però, puntualmente ogni distinta per quanto sottile sfumatura, eppure un unico, profondo filo conduttore.

Oslavia è la culla dei vini bianchi macerati a caldo; se non si sale su questo colle, ne sono convinto, non è possibile cogliere in pieno cosa tutto ciò significhi. Le bucce vengono macerate a lungo mentre il mosto fermenta, come se il vino dovesse strappare all’uva ciò che questa ha appreso dalla terra, quegli umori che le radici hanno succhiato dall’intimità di un territorio annichilito dalla Grande Guerra e poi faticosamente ricostruito, tornato a nuova vita e a nuove storie, conservando nella rinnovate gioie ed energie le tracce dei traumi e dei tormenti.

La Ribolla Gialla dei Sosol è figlia di questo humus. Si colora di giallo carico e riflette oro antico; ha il profumo risoluto delle spezie, la vitalità della scorza d’arancia ed insieme l’ingannevole monito dei fiori ormai appassiti, un invito a considerare quel che si ha e quanto sia facile perderlo; poi il naso consegna alla bocca un maturo aroma di confettura, albicocca, cotognata, quasi un caldo abbraccio di antichi conforti, ora scossi e filtrati dall’acido vigore di giovanili freschezze. Il palato è avvolto da una trama di tannini fitta ma finissima ed il prezioso ornamento che essa ricama sul dolce profilo di una nespola mi riporta, infine, al mio presente e ai suoi sereni risvolti.

Giusto in tempo per cogliere un “Ciao papà, siamo tornate” in fondo alle scale.

Marco Magnoli