Può capitare a chiunque, non solo a noi un po’ distratti e solitamente assediati da bottiglie che ci guardano e ci chiedono di essere stappate; qualche volta ci capita di dimenticare in cantina o sugli scaffali una bottiglia che avremmo dovuto tenere sott’occhio, perché avrebbe dovuto essere consumata presto, e che invece se ne sta al suo posto, un poco impolverata, l’etichetta un po’ sbiadita ma con quel famoso punto di domanda ancora più evidente e pressante.

Che facciamo? La stappiamo subito per vedere che è successo? Oppure la raffreddiamo per bene e la conserviamo per il pranzo o per la cena? Oppure aspettiamo la visita di un amico per stapparla insieme e condividere quest’esperienza azzardata? Fatto sta che ce la siamo portati a casa, protetti dalla solitudine, per evitare figuracce o commenti imbarazzanti.

A questo punto dobbiamo dire che si trattava di una bottiglia del millesimo 2008, non troppo anziano né per un vino rosso delicato e neppure per un vino bianco di quelli da vitigni prestigiosi e longevi. Questo, però, era un vino a base di un uva da poco ribattezzata come Glera; ma si, il vecchio e caro Prosecco dei tempi andati. La bottiglia del nostro interesse recita sulla semplice etichetta: 2008 / Giustino B. / Ruggeri.

Solo nella retro etichetta scopriamo che si tratta di Prosecco di Valdobbiadene doc Extra Dry prodotto da Ruggeri & C. nella cantina di Valdobbiadene in provincia di Treviso. Giustino Bisol fu il fondatore di questa cantina e a lui è dedicato questo vino che rappresenta il vertice della produzione aziendale; è prodotto da un’attenta e rigorosa selezione delle migliori uve dei migliori vigneti di alta collina. Dopo la vinificazione attende la primavera successiva per la presa di spuma con tre mesi di contatto con i lieviti e mantiene 15-20 grammi di zucchero residuo.

Ora, il dado è tratto: la capsula è stata tolta, la gabbietta è stata rimossa e il tappo è pronto alla sua espulsione, che avviene favorita da leggera trazione e da una ancor più leggera rotazione; dallo stretto collo della bottiglia comincia ad espandersi un profumo di frutta matura, ananas, banana e pesca. Quasi increduli versiamo il vino in un capace calice a tulipano (ormai già saprete che siamo promotori della giornata di rottamazione della flute) e vediamo scendere un liquido appena giallo dorato, ancora chiaro e ancora ravvivato da un poco di anidride carbonica che tende a formare un poco di candida schiuma, ma poco tenace e svanisce presto.

Il profumo, che frattanto si è fatto più intenso, si amplia su toni ancora vegetali e freschi con un accenno di spezie dolci, quasi vanigliate. Al gusto è leggermente dolce, con il frutto che lo conforta mentre l’acidità ancora viva ed il leggero perlage lo rendono piacevolmente maturo, quasi morbido ma ancora vivace e stimolante. Ora però non so con cosa berlo: come aperitivo non va di certo e non ho alcun dessert pronto. E se ci innaffiassi quelle belle e novelle fragolone?

Gigi Brozzoni