La scorsa settimana Gigi Brozzoni ci ha raccontato di aver salutato l’arrivo dell’autunno con un Barolo Riserva Cannubi 2006 di Sergio Barale, accompagnato da un bel brasato con polenta. Né la giornata mite e soleggiata, né il vino ancora nella sua fase di piena gioventù si sono, però, rivelati perfettamente simpatetici.
Il clima decisamente più autunnale della scorsa domenica mi ha, così, spinto a “vendicare” lo sfortunato Gigi scegliendo ben due bottiglie affatto in tema: il Trentino Pinot Nero Spiazol 1998 prodotto da Roberto Zeni di San Michele all’Adige, provincia di Trento, e l’Oltrepò Pavese Pinot Nero 1998 dell’azienda Frecciarossa di Casteggio, nella lombarda provincia di Pavia. Stesso vitigno, stessa annata, ma due zone ben diverse.
In realtà all’origine della scelta non v’era solo il richiamo all’autunno, ma anche una volontà di dialogo con lo stimolante scritto “Tempo libero e disforia” pubblicato da Andrea Bonini in questa rubrica. Osservava Andrea: “Uno dei limiti che distinguono i manufatti gastronomici dagli altri prodotti della creatività risiede, secondo alcuni, nella connotazione sempre e comunque “euforica” delle bevande e dei cibi. Questa osservazione sarebbe sufficiente a negare che le opere percepibili attraverso il gusto e l’olfatto possano essere lette, pensate, interpretate impiegando tecniche e strumenti simili a quelli adottati per le opere percepite con la vista e l’udito.”
Da questo rilievo muoveva la sua teoria secondo la quale anche i vini sarebbero in grado di veicolare esperienze “nelle regioni della disforia” e quindi, non essendo la loro espressività limitata dal fatto di possedere un’unica connotazione, ma essendo invece in grado di rappresentare e di dare valida e valente voce a tutto l’umano universo emotivo, essi possono a buon diritto ambire alla qualifica di manufatti artistici e culturali. Questo ragionamento mi piace e mi guida ad ulteriori approfondimenti.
Sempre Andrea ci parla di un vino “decisamente evoluto” che “mostra la sua grandezza in modo più che mai limpido” attraverso un discorso che “si fa struggente e drammatico, come se testimoniasse lucidamente una verità tragica, naturale e definitiva”. Si tocca qui, secondo me, un punto importante, ovvero il fattore tempo: a differenza di altri oggetti d’arte, il vino affronta il tempo in modo attivo, nel senso che evolve e muta con modalità non sempre e mai del tutto prevedibili dal suo artefice.
Un’opera d’arte, se ben conservata, mantiene intatti nel tempo la forma ed il messaggio originali, seppur passibili di diversa interpretazione da parte di culture “temporalmente” distanti; il vino, se ben conservato, a distanza di anni muta radicalmente e, per così dire, “motu proprio” forma ed espressività, così da essere diversamente letto ed interpretato anche all’interno di contesti culturali “temporalmente” assai vicini. Proverò a spiegarmi con i due vini assaggiati.
Lo Spiazol 1998 di Zeni ha mostrato frutto più integro e richiami varietali più nitidi e riconoscibili, sebbene chiaramente evoluti, con ciliegia ben matura, note animali, floreali ed accenni di cavolo cotto, di humus e radice, come fossero scaturiti da uno sviluppo più compatto, coerente, direi quasi razionale. Il Pinot Nero 1998 di Frecciarossa, invece, aveva completamente abbandonato il varietale, mostrando frutto più decadente, ma reinventandosi un carattere impulsivo, con continui cambi di fronte, note ora cupe ed evolute, di spezie, tabacco, sandalo e legni aromatici, ora più fresche e spigliate, vegetali, con persino richiami di anguria ed un sottile sottofondo carnoso, che vibrava della dolcezza del sangue e della ruggine.
Dramma e tragicità, di foglie che ingialliscono ed iniziano a cadere, ma anche capacità di comunicare la propria distintiva e fervida parabola di vita in un racconto che accende di “disforica euforia” chi lo ascolta con attenzione. Ecco in qualche modo esplicato un essenziale ossimoro dell’esistenza.
Marco Magnoli