Dire della bellezza delle colline chiantigiane è decisamente banale e superfluo: lo si è sempre saputo e da alcuni secoli sono tappa immancabile dei grand tour che inglesi, francesi e tedeschi compivano e compiono ancor oggi, certo con mezzi più rapidi e tempi talvolta troppo stretti che non consentono di cogliere i dettagli. Tutto ciò fa parte del turismo moderno, è un inconveniente del mordi e fuggi, dei viaggi low cost, della fretta di fare tutto in poco tempo perché si hanno pochi denari.

Ma se un giorno vi capiterà di voler fare un giro nel Chianti, allora una tappa la dovete riservare a Monti in Chianti che è frazione di Gaiole, perché su queste colline si possono ammirare paesaggi sublimi e vigneti di grande pregio. E sono questi che a noi stanno a cuore, perché osservare un bel vigneto mette anche subito la voglia di assaggiare cosa, da quel vigneto, si riesce a produrre.

Prendete in esame le vigne della Rocca di Montegrossi di Marco Ricasoli Firidolfi, ultimo discendente di una nobile e antica famiglia chiantigiana: in primo luogo la vigna San Marcellino (vicina all’omonima Pieve), la più vecchia dell’azienda, è prevalentemente coltivata con sangiovese ed ha sesti d’impianto di circa 3300 ceppi per ettaro o poco più. Da questa vigna nasce il più prestigioso Chianti Classico dell’azienda.

Poco distante c’è un nuovo vigneto impiantato nel 1997 con sesti più fitti (si arriva ai 6000 ceppi per ettaro) ed è coltivato con merlot e cabernet sauvignon; la vigna è stata dedicata a Geremia, il capostipite della famiglia Ricasoli-Firidolfi, e le sue uve sono utilizzate per produrre un vino di tipo internazionale ma che sappia marcare il carattere specifico di questi luoghi.

Il vino che ne nasce l’ho stappato di recente e si chiama Geremia Toscana Rosso 2007 dell’azienda Rocca di Montegrossi, Gaiole in Chianti in provincia di Siena. A tutti gli effetti è un taglio bordolese a prevalenza Merlot, più tipico nella denominazione Saint-Émilion, ma che ha saputo sviluppare un timbro tannico un poco più vivace e incisivo di quanto non avvenga a Bordeaux. Un vino che ha saputo quindi toscanizzarsi per rendersi unico e specifico di questi territori, di queste colline, di queste vigne e di questi uomini.

Un vero e proprio cru. Un Grand Cru.

Gigi Brozzoni