Considerazioni sull’anteprima dell’annata 2007

Continua indisturbata la marcia trionfale dell’Amarone, che sabato scorso si è presentato al pubblico nella sua più recente veste, quella del 2007, sontuosa e preziosa, capace di attirare alla sua corte schiere di giornalisti di ogni settore, folle di pubblico eterogeneo e operatori della distribuzione, tutti sorridenti ed entusiasti.

I numeri sono da capogiro: i 9 milioni di bottiglie vendute nel 2009 sono diventati quasi 13 nel 2010 e con le uve messe ad appassire in questi ultimi anni si arriverà a produrne fino a 15 milioni. Sono incrementi iperbolici in un’economia che stenta a recuperare uno o due punti di percentuale all’anno. Il millesimo 2007, che va in commercio quest’anno, è descritto da agronomi ed enologi come uno dei migliori perché si è giovato di una stagione asciutta e calda, tutta giocata su anticipi vegetativi e su maturazione e appassimento precoci. Gli Amarone del 2007 saranno, quindi, molto maturi, concentrati, morbidi e con un notevole calore alcolico.

Del resto pare siano proprio questi caratteri quasi eccessivi a piacere al pubblico, che in questo vino trova l’eccezione alla regola che vorrebbe sempre più sobrietà e leggerezza. Un vino controcorrente in tutti i sensi, anche nel fatto che la sua crescita non deriva da un’accurata gestione del territorio, ma ad un’ormai collaudata tecnologia di produzione. In sostanza l’appassimento spinto delle uve, sempre più spesso sostenuto artificialmente, annulla o azzera le differenze colturali, le esposizioni, le giaciture, le altitudini, i suoli, le rese e quant’altro di specifico vi è in viticoltura, rendendo omogenea e standardizzata la produzione.

Se ci aggiungiamo, poi, una certa uniformità industriale di cantina, ecco che il gioco è fatto, anche le più minuscole differenze vengono digerite, incorporate e annullate. E difatti anche nella comunicazione ufficiale ormai si parla di anteprima Amarone, sulle etichette si legge solo Amarone, in pubblicità campeggia il nome Amarone, quasi la Valpolicella fosse diventata un elemento obsoleto, superfluo e superato.

Per fortuna non tutti sono d’accordo e non tutti accettano silenziosamente l’avanzata dell’industrializzazione enologica; cresce la coscienza di chi vorrebbe maggiori controllo e guida da parte del Consorzio di Tutela, il quale pare abbia abbandonato le ambizioni qualitative che dovevano portare alla nascita della Docg ed alla valorizzazione specifica della zona Classica. Speriamo che questi buoni propositi siano solo momentaneamente accantonati, in attesa che passi questa ubriacatura collettiva, e che non vengano, invece, bevuti e tracannati come altri veronesi hanno fatto.

Noi continueremo a mettere in primo piano la Valpolicella Classica con le sue valli, le sue vigne, le sue marogne e i suoi vignaioli, sperando che anche il bravo consumatore non dimentichi quei pochi ma fondamentali nomi che hanno fatto grande un territorio, un vino, una cultura.

G.B.