di Marco Magnoli

A vent’anni dalla scomparsa di Luigi Veronelli, credo sia lecito e persino opportuno domandarsi cosa sia rimasto di lui nella Guida Vini che ne porta il nome.
Ebbene, in primo luogo è rimasto, appunto, il nome.
Non è banale e non è poca cosa, perché la Guida è ormai da tempo l’unica pubblicazione ideata e fondata da Veronelli ancora presente nel panorama editoriale.
Un nome, però, può in realtà racchiudere anche valenze più sottili e incisive.
Marcel Proust, maestro di suggestioni, riteneva i nomi capaci di evocare fantasie, seduzioni, memorie che fanno viaggiare la mente.
Se, allora, l’idea di un crostaceo può smuovere inconsciamente qualche succo gastrico, se una perifrastica passiva può stimolare qualche nostalgica reminiscenza dell’età liceale, ecco che il nome di un personaggio dello spessore di Veronelli ha forse un rilievo più profondo ed è in grado di farsi ancora viva fonte di ispirazione per chi lo ha conosciuto e di suscitare, al contempo, curiosità e volontà di approfondirne il messaggio in chi ancora lo ignora.
Un messaggio fatto di riflessioni teoriche, ma anche di concrete attitudini di cui ritengo rimanga precisa traccia nei contenuti della Guida.
Nella mia memoria conservo tre immagini di Veronelli, che considero emblematiche di altrettanti aspetti del suo percorso umano e filosofico.
La prima immagine è quella di un Veronelli ancora giovane, con gli occhiali spessi, vestito con giacca e cravatta. È il Veronelli di A tavola alle 7, trasmissione televisiva dei primi anni Settanta.

Un Veronelli divulgatore, didascalico, impegnato a raccontare, descrivere, spiegare i giacimenti enoici e gastronomici italiani.
Questa necessaria opera di catalogazione e classificazione, fondamentale per conoscere con precisione la consistenza, la forma e la sostanza del nostro patrimonio enoico, direi che si è pienamente conservata nella nostra Guida, che si presenta al primo impatto proprio come un “repertorio” di vini.
La “vertigine della lista”, avrebbe chiosato Umberto Eco, ossia un elenco ricco di informazioni e di dettagli che si traduce nell’indicazione puntuale, talvolta sotto forma di simboli, del nome del vino, della zona d’origine, della tipologia, dell’estensione del vigneto di provenienza, delle pratiche agronomiche ed enologiche, del numero di bottiglie prodotte e persino del loro prezzo.
Una seconda immagine che conservo è, poi, quella di un Veronelli, sempre con gli occhiali spessi, ma vestito di abiti più informali, avvolto nel tabarro mentre cammina le vigne e vi incontra i vignaioli.

È il Veronelli del Viaggio sentimentale nell’Italia dei vini, documentario Rai realizzato nel 1979-80, nel quale espone la sua visione, le sue convinzioni sulla qualità dei vini, su quali ne siano i presupposti e su come raggiungerla. E lo fa attraverso un linguaggio più complesso e ricercato, ammantato di poesia e di estetica.
«La bellezza salverà il mondo» scrisse Dostoevskij nel romanzo L’idiota, anche se in realtà lo scrisse in forma interrogativa, per altro senza fornire un’esplicita risposta: «È vero, principe, che una volta avete detto che il mondo sarà salvato dalla bellezza? […] Quale bellezza salverà il mondo?»
A tal proposito, ho sempre trovato suggestivo pensare che, a modo suo, Veronelli sia riuscito a dare una risposta a tale domanda.
Nel Viaggio sentimentale, infatti, si delinea un percorso che, attraverso il bello del paesaggio viticolo, attraverso la poesia di questo paesaggio, scaturita dalle sue atmosfere, persino dalle sue fatiche, porta ad una bellezza più universale, una bellezza del vivere che, nata dalla terra e ad essa profondamente legata, si fa portatrice di valori non solo economici e materiali, ma soprattutto culturali, etici e morali.
Questa seconda immagine di Veronelli credo sia rimasta in Guida nei criteri con cui si assaggiano, si valutano e si raccontano i vini; tra i più importanti: la personale assunzione di responsabilità di chi esprime il giudizio; il rispetto per i vignaioli e per il loro lavoro; il privilegio accordato all’originalità dei vini, che fa tutt’uno con l’unicità dei luoghi d’origine e con l’individualità dei produttori; e, ancora, la certezza che l’eccellenza consolidata non sia mai frutto del caso, bensì scaturisca dallo studio e dalla ricerca, da precise competenze e conoscenze non necessariamente ipertecnologiche, ma senz’altro meditate, verificate, fondamentali premesse a progetti ben pianificati e ben condotti.
Con ciò, per altro, confermando la profetica affermazione fatta da Veronelli più di quattro decenni fa:
«Troppe volte ho assaggiato vini eccelsi da contadini che ne ignoravano il perché. Vini che non si ripetono, frutto come sono di una costante, la terra fortunata, e di due accidenti, l’uva giusta e un contadino carico di passione – sennò manco una volta avrebbe prodotto quei vini – e, ahimé, di ignoranza. Vini che rimarranno degli unici. Ripetuti, garantirebbero alla nostra enologia il primato».
La terza ed ultima immagine è, infine, quella di un Veronelli ormai anziano, quello che ho conosciuto personalmente nei primi anni Duemila; senza occhiali, perché ormai quasi completamente cieco e forse per questo più rivolto entro se stesso, verso la sua interiorità o, meglio, più concentrato ad affermare l’essenza del suo pensiero.

Come se, una volta raggiunto l’obiettivo, ovvero la solida e diffusa eccellenza del vino italiano, fosse ora necessario catturarne e fissarne le ragioni, i valori, il senso sostanziale.
Un Veronelli dal linguaggio più conciso, asciutto, essenziale; più difficile, ma anche più denso, alla ricerca della parola esatta, del significato preciso, della sintesi; così come precisa e puntuale è l’identità, l’individualità degli uomini e dei vini.
Questo atteggiamento, questo modo esclusivo di rapportarsi col vino ritengo sia rappresentato in Guida dai Sole, etichette che racchiudono l’essenza di alcuni valori specifici, al limite anche di un singolo valore veronelliano, non fosse altro che l’incanto di fronte all’eccezionale qualità di un vino, esaltazione del piacere e della bontà, espressione di quella volontà di “festeggiare la vita” che, in fondo, era il più convinto imperativo “esistenziale” di Veronelli.
In definitiva, però, l’eredità più significativa che Veronelli ha lasciato alla sua Guida, quella che racchiude tutto quanto fin qui detto, sta semplicemente nei vini che vi sono raccolti; non singolarmente presi, bensì nel loro insieme, perché insieme sono la fotografia di quello che è oggi il mondo del vino italiano.
E se questa fotografia è così nitida, ben definita e di così elevato livello qualitativo e culturale, in massima parte lo si deve proprio a Luigi Veronelli, alla sua passione, alle sue intuizioni e alle sue battaglie.
Grazie, quindi, a Gino e, con lui, grazie anche ai tanti vignaioli che continuano a dare concretezza e valore al suo ricordo, rinvigorendolo con la forza e la freschezza dell’attualità.

MARCO MAGNOLI
Deve alla tradizione familiare la passione per i vini di qualità e a Luigi Veronelli, incontrato nel 2001, l’incoraggiamento ad occuparsi di critica enologica. Dal 2003 è collaboratore del Seminario Permanente Luigi Veronelli. È tra i curatori della Guida Oro I Vini di Veronelli.