di Chiara De Carli

Al numero 1 di via del Poliziano a Montepulciano, si trova un appartamento storico. È quello di Angelo Ambrogini, poeta eccelso, vissuto nella seconda metà del Quattrocento.
Era conosciuto come il “Poliziano”, appellativo che, a quei tempi, veniva dato alle persone originarie del comune situato tra le colline della Valdichiana. Ecco perché Dino Carletti, nel 1961, scelse di denominare così la sua azienda vitivinicola: un omaggio alla terra natìa, da lui tanto amata.
Poliziano rappresenta una delle aziende storiche di Montepulciano.
Dopo il suo avvio, nel 1980, fu Federico, figlio di Dino Craletti, a raccoglierne il testimone. Oggi è alla terza generazione: la tradizione prosegue con Francesco e Maria Stella, non ancora trentenni.
«Siamo nella terra del Sangiovese – racconta Francesco – e ormai da circa 20 anni i nostri sforzi sono concentrati sulla valorizzazione di questo vitigno».
Le sfide del cambiamento climatico
In questi decenni, la conoscenza approfondita dei singoli vigneti e delle loro specifiche caratteristiche ha permesso all’azienda di stare al passo con i tempi. Anche perché, sottolinea, «ci troviamo in un periodo storico climaticamente diverso rispetto a 15 anni fa».
Nel suo racconto ricorda, in particolare, le sfide riservate dall’annata 2023, in cui grandi piogge e peronospora hanno dato del gran filo da torcere ai produttori della regione.

«Siamo agricoltori – prosegue – e abbiamo fatto tesoro di quanto sperimentato. Ora sappiamo lavorare meglio il terreno, non sfogliamo più le piante e, in certi vigneti, abbiamo smesso di cimare. Inoltre, in caso di pioggia, interveniamo subito con trattamenti a mezzolfo, essendo in regime biologico». Tra i filari, aggiunge, «l’ultimo trattamento antimuffa risale al 2014», mentre nel 2021 è stata conseguita la certificazione Bio.
Una produzione sartoriale
L’attenzione al dettaglio qui è maniacale.
Innanzitutto, dice, «non acquistiamo uva. La nostra filosofia è quella di lavorare soltanto ed esclusivamente con i nostri vigneti e con quanto producono».

In cantina, le uve di ciascun vigneto vengono trattate, vinificate e invecchiate separatamente.
«L’affinamento avviene in tonneaux o botti grandi, perché l’obiettivo è l’espressione piena del vitigno sangiovese nonché un vino dal giusto equilibrio tra acidità e tannini».
Spiega che, ormai, la barrique è quasi del tutto abbandonata:
«Il legno nuovo tende a rilasciare note che spersonalizzano il sangiovese. Oggi guardiamo a vini di qualità e di territorio. Si punta sulla diversificazione».
Il futuro è il Sangiovese
Gli chiediamo, infine, quali siano i prodotti più rappresentativi dell’azienda. Senza indugi, ne indica due: Asinone e Caggiole. «Il primo, ideato nel 1983, è un vino che è stato in grado di adattarsi all’interpretazione di ogni tempo.
Il secondo, reintrodotto nel 2015, è un Sangiovese figlio dei nostri anni. Vinificato in purezza, invecchia in tonneaux di secondo e terzo passaggio. È meno potente, ma più elegante, moderno e, forse, anche un po’ futurista».

Chiara De Carli
Classe 1989, è nata e cresciuta a ridosso del confine italo svizzero. Nel 2018 si è laureata in Linguaggi dei Media all’Università Cattolica del Sacro Cuore di Milano, dopo aver svolto parte del suo percorso a Bilbao, dove ha frequentato il corso di studi in giornalismo all’Universitad del Pais Vasco. Nel 2021 diventa sommelier AIS e nel 2022 consegue il Master in Comunicazione del settore enologico e del territorio all’Università Cattolica di Brescia.
Appassionata di ambiente e di impegno civile, negli anni ha svolto attività di volontariato con i malati dell’Unitalsi, con l’associazione di primo soccorso PA SOS Olgiate Comasco e con Legambiente. La sua passione sono i viaggi, i trekking e lo Champagne. Attualmente vive in Svizzera. Giornalista di Ticinonline/20 Minuti, segue tematiche inerenti alla cronaca locale, senza tralasciare notizie appartenenti al mondo del vino. Da alcuni anni collabora con la Redazione del Seminario Veronelli.