di Marco Magnoli

  1. Lo studio

Nei primi anni Novanta – ahimé – del secolo scorso, per noi giovani degustatori in erba il Pinot Nero o, meglio, il Blauburgunder del Südtirol aveva praticamente un unico nome: Barthenau Vigna S. Urbano di J. Hofstätter. Un’etichetta che, prodotta la prima volta nel 1987, all’epoca rappresentava ancora una novità, ma già si mostrava carica di suggestioni, ti catturava – vuoi per il vitigno, vuoi per l’idea di Cru – in una seduzione dal sapore francese che, con un’imprudente iperbole, faceva quasi sembrare tutto l’Alto Adige una sorta di piccola Borgogna, con i suoi vitigni esotici e l’incanto di minuscoli vigneti.

Le cose, in realtà, non stavano esattamente così. Il Vigna S. Urbano incarnava, infatti, una felice ma isolata eccezione nel panorama viticolo altoatesino, nata dall’intuizione di Paolo Foradori-Hofstätter, sensibile vignaiolo che sapeva indubbiamente interpretare le virtù dei propri vigneti; tanto che, sempre in quel lontano 1987, diede vita ad altri due Cru oggi celeberrimi, l’uno di nuovo a Mazon, il Pinot Bianco Vigna S. Michele, l’altro a Tramin-Söll, il Gewürztraminer Vigna Kolbenhof. Nella grande maggioranza dei casi, tuttavia, le singole vigne sudtirolesi non erano denominate con precisi toponimi e spesso nemmeno dedicate alla coltivazione di un unico vitigno. Si era, insomma, ancora piuttosto lontani da una puntuale identificazione delle parcelle migliori e delle loro specifiche vocazioni.

In quegli anni l’Alto Adige cominciava ad uscire dai “tempi della Schiava” – come li definiscono Martin  e Niklas Foradori-Hofstätter, figlio e nipote di Paolo, oggi alla guida dell’azienda – per entrare in una fase di decisa crescita qualitativa spinta da alcune realtà private, ma soprattutto – non lo si può certo negare – dalla forte energia propulsiva delle grandi Cantine Sociali, le Kellereigenossenschaften che hanno svolto un ruolo essenziale nel diffondere il concetto di qualità tra i piccoli viticoltori e nell’introdurre le innovazioni tecniche necessarie per portare la vitivinicoltura altoatesina agli odierni livelli di eccellenza. La forza delle Cooperative, però, per molti aspetti ha plasmato con le sue logiche tutto il comparto, sicché spesso i grandi vini sudtirolesi non sono dei Cru, bensì, se non dei veri e propri marchi, quantomeno dei “vini d’autore”.

Partendo da questi presupposti, ho accolto con entusiasmo l’invito della famiglia Foradori-Hofstätter a partecipare ad un incontro che si è svolto il 24 e il 25 marzo scorsi. Tutto è iniziato da una semplice, ma cruciale curiosità: i vigneti Hofstätter a Söll e Mazon sono indubbiamente tra i più vocati dell’Alto Adige; ma – si sono chiesti Martin e Niklas – dove sta la loro specificità? Cosa li rende unici?

Per rispondere a tale quesito hanno coinvolto il geologo bolzanino Carlo Ferretti, che ha messo a punto un sistema di analisi per leggere il terroir dal punto di vista della pianta. L’idea è quella di “misurare” il terroir attraverso un indice ottenuto da un’indagine multilivello, utilizzando algoritmi avanzati e metodologie innovative che permettono di studiare gli elementi che influenzano la fisiologia della vite, dalle caratteristiche pedologiche e geologiche fino alle interazioni microclimatiche e geografiche, così da definire e meglio valorizzare l’identità unica di ogni singola vigna. Non solo studio dei terreni, dunque, ma anche dell’ecosistema del vigneto nel suo complesso, individuando i fattori geo-ecologici (clima, suolo, topografia, altitudine, esposizione, irraggiamento, temperatura, precipitazioni, umidità, varietà coltivate, ecc.) dai quali scaturiscono degli stress abiotici ai quali la vite reagisce con risposte che si traducono, nei vini, in profili organolettici differenti e peculiari per ciascuna vigna.

Il lavoro di Ferretti, condotto su oltre 120.000 vigneti in tutto il mondo, ha tra l’altro consentito di individuare nel suolo di alcune tra le vigne più prestigiose un particolare tipo di argille dette “nobili” (mixed-layer clays, tra cui la straordinaria vermiculite), costituite da elementi minerali biostimolanti che conferiscono ai terreni un’eccezionale fertilità e vitalità, indotta da un’elevata capacità di scambio cationico (che garantisce alla vite un assorbimento ottimale dei nutrienti) e da un’equilibrata riserva di acqua. Ebbene, gli studi condotti nelle tenute Hofstätter, confida Martin, «hanno dato risultati sorprendenti e aprono nuove prospettive, offrendoci una visione inedita dei nostri vigneti e rivelando dettagli e connessioni finora inesplorati, che certificano il legame profondo tra terroir, vitigno e identità del nostro vino. Ora sappiamo perché i nostri vigneti a Tramin-Söll e Mazon sono così speciali.»

  1. La verifica

Fin qui la teoria, che va, però, convalidata dalla pratica. Abbiamo, così, assaggiato i vini provenienti dai diversi vigneti assistiti dalle precise informazioni di Ferretti, che hanno anticipato nel dettaglio differenze tra i singoli Cru poi puntualmente riscontrate nei calici.

L’assaggio è partito dall’area di Mazon e, quindi, dal Pinot Nero.

Mazon, sopra Egna-Neumarkt, è una terrazza naturale con esposizione nord-ovest, modellata oltre 11.000 anni fa da ghiacciai che hanno eroso i terreni facendo affiorare le antiche rocce multicolori della Formazione di Werfen, una successione sedimentaria originatasi da un mare lagunare circa 250 milioni di anni fa e che costituisce la base geologica su cui poggiano le Dolomiti. Un vero e proprio mosaico dalla composizione estremamente varia di marne, arenarie, calcari e dolomie in strati colmi di fossili e minerali, per altro arricchiti da quelle argille nobili di cui si è detto sopra. L’esposizione e la protezione della retrostante montagna si traducono in un SRI (Solar Radiation Index) piuttosto basso, che rallenta l’andamento vegetativo e lo controlla.

Il primo vino degustato è un Pinot Nero del 2022 proveniente dalla Vigna Herbsthöfl, nuovo Cru di Hofstätter posto tra 430 e 460 metri s.l.m.. La sua posizione geografica, la vicinanza del bosco, la ridotta intensità dell’insolazione e le temperature più basse favoriscono una maturazione lenta e graduale delle uve, mentre il terreno, composto da depositi glaciali misti, con struttura granulare sabbiosa e ridotta fertilità, costringe le viti a scavare in profondità alla ricerca di nutrienti. Una condizione difficile, a cui il pinot nero risponde con un vino fine e sottile, dalla cromaticità tenue e dal profilo sensoriale delicato e fresco, intensamente aromatico, di soave e seducente leggerezza, con note fruttate di succoso lampone, una lieve sfumatura floreale e vegetale su una trama tannica croccante e diffusa, che si distende sul palato con grande dinamismo.

Si è, poi, passati alla leggendaria Vigna S. Urbano, due parcelle impiantate l’una a pergola nel 1962 e l’altra a Guyot nel 1992. I filari sono esposti a nord-ovest e beneficiano dell’Ora del Garda, il vento pomeridiano che mantiene le uve asciutte e sane. Qui l’esposizione e il basso SRI contribuiscono a una maturazione lenta ed equilibrata dei grappoli. Essenziale è, tuttavia, la composizione del suolo, con strati della Formazione di Werfen ricchi di argille nobili che danno fertilità ed energia, consentendo alla vite di svilupparsi in modo armonico. Ne risulta un Pinot Nero più melodioso, che nell’annata 2020 ha rivelato un’intensità aromatica ampia, più completa e complessa, con lampone, spezie, menta e resine, sostenuta al palato da una tannicità di piacevole vigore, ma davvero ben integrata nel gusto sapido, corposo, gradevolmente maturo e di superiore eleganza.

Il tour tra i vigneti di Mazon è terminato con il Pinot Nero 2018 della Vigna Roccolo, coltivata a pergola ed impiantata nel 1942. Il terreno è notevolmente “energizzante”, caratterizzato da strati di Werfen con superficie argillosa poco profonda, ricca di argille nobili, in particolare vermiculite, che insieme ad un SRI maggiore consentono alle uve di maturare in un ricco equilibrio tecnico, aromatico e fenolico. Il vino, infatti, si mostra cromaticamente molto più carico, con una sensazione olfattiva più compatta, dal frutto denso e maturo, più ciliegia che lampone, ed un tocco di liquirizia che torna sul palato, dove il gusto è rotondo, avvolgente, intenso e complesso, corroborato da un tannino di notevole forza e potenza. Un carattere molto consistente e concentrato, anche se personalmente ho preferito la finezza ed il grande equilibrio del S. Urbano.

Passiamo, ora, sull’altro versante della valle, ossia a Tramin-Söll, luogo d’eccellenza per il Gewürztraminer. Un singolare ambiente geo-ecologico di confine in cui si fondono storie geologiche differenti, che riuniscono le antiche rocce vulcaniche e metamorfiche portate dai ghiacciai con quelle dolomitiche locali e i suoli più giovani; ne risultano terreni in prevalenza sabbiosi, anche qui talvolta arricchiti da argille nobili.

Il primo vino degustato è il Gewürztraminer Vigna Castel Rechtenthal 2022, altro nuovo Cru di Hofstätter proveniente da un vigneto posto ai piedi del Monte Roen, la cima più alta di Tramin-Termeno. I filari si ergono assai ripidi su un antico conoide isolato e ben esposto, formato 32.000 anni fa dal rio Höllental e preservato fino a11.700 anni fa dal ghiacciaio che ha portato a valle la dolomia dei monti sovrastanti. L’ottima esposizione a sud-ovest, gli elevati indici SRI e l’alta escursione termica giornaliera si uniscono ad un fattore di stress derivante dal suolo dolomitico drenante, ricco di ghiaia e sabbia, asciutto e impegnativo. Lo stimolo vegetativo dato dal clima trova equilibrio nella fisiologia delle piante, rallentata dalla composizione geologica del suolo. Ne risulta un Gewürztraminer di garbata aromaticità, con il tocco di rosa piuttosto esile e delicato avvolto da una freschissima sensazione agrumata che lascia poco spazio al frutto tropicale; un vino, insomma, di ispirazione moderna, agile e dinamico, di piacevolissima fragranza, a tutto vantaggio degli abbinamenti a tavola.

Ma eccoci arrivati in uno dei “santuari” del Gewürztraminer altoatesino, la Vigna Kolbenhof, Cru che gode di un microclima unico, baciato dal sole mattutino e carezzato dalle fresche brezze serali. Un terroir che risulta dalla singolare combinazione di tre distinti micro-terroir: suoli sabbiosi delle Arenarie di Val Gardena, terreni glaciali morenici e strati più recenti arricchiti da argille nobili. Una composizione da cui non può che derivare un vino di eccezionale complessità e ricchezza aromatica, che nell’annata 2022 regala frutta tropicale con dolci ed intense note di rosa, in un insieme ricco e perfettamente fuso che ritorna al palato in una sensazione gustativa rotonda e avvolgente, ma allo stesso tempo sapida e fresca. Non a caso Kolbenhof è considerato un paradigma e un emblema del Gewürztraminer.

L’istruttiva degustazione si è, infine, chiusa con il Gewürztraminer Vigna Pirchschrait 2009, nato da un’intuizione di Markus Heinel, enologo di casa, che in questa storica particella del maso Kolbenhof ha letto le potenzialità per un vino di grande longevità ed evoluzione, capace di sviluppare nel tempo seducenti aromi terziari. Esposto a nord e naturalmente protetto da una collina a sud, il vigneto presenta la più bassa intensità di insolazione di tutta la tenuta, ma il suolo è ricco di argille nobili che, insieme al microclima unico, regolano in modo estremamente equilibrato l’energia e la maturazione delle uve. Il vino, affinato in acciaio sui lieviti fini per 10 anni, si offre con una straordinaria complessità e finezza, data dall’aromaticità garbata eppure intensa, con toni vagamente agrumati che stemperano le note più mature e tropicali in un equilibrio perfettamente riproposto sul palato, dove il gusto parte con sensazioni più dolci e quasi zuccherine per poi asciugarsi e farsi formidabilmente fresco, lungo ed asciutto.

  1. Considerazioni finali

Questo, in sunto, il resoconto dello stimolante incontro con gli Hofstätter, i loro vigneti e i loro vini. Al centro di ogni discorso, di ogni ragionamento, di ogni assaggio, il terroir, entità quasi ineffabile da definire compiutamente, eppure così concreta e reale nel calice; soprattutto quando si esprime in quello che ne è, in fondo, la sintesi: il Cru.

Tema molto attuale in Alto Adige, dove finalmente, dopo anni di riflessioni, discussioni, compromessi, si è giunti a definire le UGA (Unità Geografiche Aggiuntive), che a partire dalla vendemmia 2024 potranno essere indicate in etichetta; per ora, delle 86 approvate (tra cui Söll e Mazon), ne sono state rivendicate dai produttori una quarantina. Si tratta di specifiche aree geografiche dalle caratteristiche pedoclimatiche omogenee individuate all’interno della più vasta Denominazione Alto Adige/Südtirol, zone di coltivazione a cui sono stati attribuiti i toponimi attestati dalla tradizione e dai documenti storici. Per potersi fregiare delle UGA, i vini dovranno essere prodotti con uno dei vitigni selezionati (fino ad un massimo di cinque, ma in alcuni casi solo uno o due) come i più adatti alle caratteristiche dei terreni e del microclima di ciascuna zona.

Martin Foradori considera le UGA l’inizio di un nuovo capitolo per i vini altoatesini; un primo, timido tentativo di porre rimedio alla situazione un poco caotica che si era venuta a creare in regione, con numerosissime varietà diffuse in modo disordinato e poco coerente. Una condizione che impediva l’espressione di una precisa identità territoriale. Ora occorrerà capire come le UGA evolveranno. Sarà senz’altro necessario apportare delle modifiche, oltre che trovare il modo migliore per comunicare e far comprendere queste novità ai consumatori, ma il sogno di Martin è quello di arrivare, prima o poi, ad associare a ogni UGA una singola varietà, la più adatta a quel contesto, così come è avvenuto per il pinot nero e Mazon. E da lì partire per scendere nel dettaglio.

Dettaglio che, poi, non significa altro se non Cru, la singola, eccezionale vigna capace di far esprimere in modo unico ed altrove irripetibile un’identità peculiare ad un singolo vitigno. Per quanto mi riguarda, in questi anni ho espresso più volte il mio pensiero sulle pagine della Guida Veronelli: 

«Ci sembra che, in Alto Adige, il processo di mappatura e di “parcellizzazione” del territorio abbia intrapreso un percorso virtuoso, mettendo ordine e meglio specificando le vocazioni di ogni singola area. Stiamo assistendo ad una viticoltura matura impegnata nel rimarcare la propria storia e le proprie peculiarità legandole all’identità delle sue aree viticole.» 

E ancora: 

«Legare un singolo vigneto ad un vitigno e ad una tradizione: questa l’essenza del Cru, concetto con cui tutte le aree viticole che ambiscono a distinguersi devono necessariamente confrontarsi. È un passo ormai imprescindibile per una realtà produttiva consolidata come l’Alto Adige, per la quale è fondamentale raccontarsi nel dettaglio, rimarcare la propria eccellenza confermandola e stabilendola in alcune vette di assoluta qualità, vigne e vitigni in perfetto connubio e capaci di regalare con mirabile costanza risultati di indiscusso prestigio». 

Sempre più numerosi sono, in effetti, i vini altoatesini che rispondono a queste esigenze e che recano in etichetta il nome di una singola vigna o parcella. Tra questi, i mirabili Cru di Hofstätter, in realtà pionieri del più schietto concetto di terroir già da molti anni.

Lo strumento messo a punto dal dott. Ferretti, se ben sfruttato, può rappresentare un potente ausilio per i viticoltori altoatesini nell’individuazione e definizione dei loro Cru e siamo, anzi, certi che a casa Hofstätter sapranno fare tesoro delle informazioni raccolte, utilizzandole convenientemente ed efficacemente per tarare con sempre maggior puntualità e precisione le scelte viticole ed enologiche migliori affinché le loro vigne possano parlare attraverso il vino con voce autentica e pura.

Si è detto, en passant, della necessità di creare nuovi paradigmi per comunicare il vino ed i suoi significati ai moderni e giovani consumatori. Niklas Foradori ha, in proposito, idee ben precise: 

«Il mondo del vino, purtroppo, è vecchio! La comunicazione si è dimostrata elitaria, con un linguaggio destinato a pochi. I messaggi delle aziende sono carichi di espressioni tecniche, comprensibili solo a chi ha una conoscenza approfondita della materia. Oggi tutto è veloce, la nuova generazione si aspetta un linguaggio immediato, con messaggi chiari e comprensibili.»

C’è molto di vero nelle considerazioni di Niklas e trovare il modo di comunicare il vino con un taglio contemporaneo è uno dei problemi più urgenti che chi fa il mio mestiere deve porsi ed affrontare. Credo, tuttavia, che alcuni sostanziali concetti meritino spazio adeguato, talvolta magari troppo vasto e articolato per un pubblico un poco frettoloso e avido di stimoli immediati. 

È, però, essenziale che anche i più giovani comprendano come il vino non sia una semplice bevanda, ma soprattutto un concentrato di cultura, di saperi, di principi e valori che nascono dalla terra nobilitandone l’esclusività e l’identità. Per altro il vino possiede una formidabile virtù: sa far leva su qualcosa che ciascuno di noi – giovane o anziano, professionista o semplice appassionato, esperto o neofita – possiede per naturale costituzione, ovvero la capacità di provare turbamenti ed emozioni.

Delle cose importanti e complesse non si può che parlare in modo serio ed esaustivo, magari sorseggiando lentamente un intrigante vino per comprendere come, in verità, l’immediatezza del suo messaggio stia tutta lì: nel calice e in quello che vi si racconta. 

Tutto ciò può sembrare una suggestione, però la sera del 24 marzo, seduto a tavola nella Tenuta Barthenau assaporando la straordinaria e avvolgente seduzione floreale e speziata del Gewürztraminer Vigna Kolbenhof 1999, con il suo placido sguardo ad abbracciare l’ampia valle dell’Adige dai vigneti di Söll, e l’aristocratica compostezza ed eleganza del Pinot Nero Vigna S. Urbano 1997, riverbero di un pomeriggio raccolto e disvelatore d’inizio primavera all’ombra della chiesetta di S. Michele a Mazon… ecco, non ho davvero avuto più dubbi.


MARCO MAGNOLI

Deve alla tradizione familiare la passione per i vini di qualità e a Luigi Veronelli, incontrato nel 2001, l’incoraggiamento ad occuparsi di critica enologica. Dal 2003 è collaboratore del Seminario Permanente Luigi Veronelli. È tra i curatori della Guida Oro I Vini di Veronelli.