di Alessandra Piubello – dalla Guida Veronelli 2021
L’assonanza Trentino – Trentodoc Metodo Classico scatta immediata.
La simbiosi tra clima alpino, altitudine e passione di enologi e vitivinicoltori trentini si è rivelata ideale per la produzione delle “bollicine”: questa intuizione va accreditata all’orgogliosamente trentino Giulio Ferrari, quando nel 1902 creò il primo metodo classico italiano. Non dimentichiamo che il Trentodoc è la prima Doc nata in Italia per il Metodo Classico e la seconda al mondo dopo la Champagne.
I nostri assaggi hanno evidenziato la crescita di quell’apice della piramide della produzione spumantistica che mette in luce l’appassionato lavoro di chi si prende cura di un’attenta selezione delle uve, operando con tecniche non invasive e prolungando i tempi di affinamento, puntando sull’evoluzione.
La Regione, per il resto, soffre di potenzialità ancora inespresse, di un disciplinare come quello del Trentino Doc che andrebbe rivisto (sfoltendolo e magari cominciando a prendere in considerazione alcune Docg possibili) e di contrasti interni che vedono contrapporsi un tessuto eno-imprenditoriale variegato, costituito da storiche cooperative (che controllano il 95% della produzione, con esiti abbastanza standardizzati, pur con qualche etichetta di valore) e da vignaioli indipendenti decisi a difendere l’identità territoriale.
Le nuove generazioni, con una virtuosa voglia di scambiare e condividere idee ed esperienze, stanno cercando di movimentare lo statico spirito provinciale (pensiamo ai giovani della TeRoldeGO Evolution, per esempio).
Stante il fatto che la composizione varietale della superficie viticola trentina si è costantemente e profondamente modificata a favore delle varietà bianche, che attualmente rappresentano il 75% del totale, rileviamo che è il pinot grigio a essere al primo posto.
Le 7 doc Trentine (Lago di Caldaro, Teroldego Rotaliano, Trentino, Casteller, Trento, Valdadige Terradeiforti, Delle Venezie) si sviluppano su un territorio di circa 10.200 ettari vitati, dei quali circa il 14% è in montagna, circa il 54% in collina e circa il 32% in pianura.
Partendo dal centro del Trentino, da nord verso sud, troviamo la Val di Non (celebre per il suo Groppello di Revò, con alcuni interessanti esemplari), la Val d’Adige con la Piana Rotaliana (famosa per il Teroldego, che sta vivendo una rinascita importante con produttori storici affiancati da giovani che stanno valorizzando questo importante rosso autoctono), la zona di Sorni (famosa per la Nosiola) con Pressano, Lavis e Faedo e poi la Vallagarina. Quest’ultima è terra di bordolesi, punti di riferimento nazionali, nonché dell’aggraziato Marzemino, che trova il suo habitat ideale nelle sottozone di Isera e Ziresi e del tannico e speziato Enantio.
Nella parte occidentale del Trentino troviamo la Valle dei Laghi, altra culla della nosiola.
La nosiola è eclettica per le varie possibilità di vinificazione alle quali si presta, la più maestosa delle quali resta il Vino Santo Trentino, vino dolce prodotto da uve appassite, pigiate durante la Settimana Santa, affinato in botti per almeno 10 anni: una vera perla dell’enologia trentina.
Nell’area orientale della Regione troviamo invece i ripidi vigneti della Valle di Cembra, dove si pratica viticoltura eroica, conosciuta principalmente per i suoi spumanti metodo classico e i Müller Thurgau.
Va evidenziato il grande lavoro di ricerca e di formazione svolto dall’Istituto Agrario di San Michele all’Adige dal 1874, portato avanti dalla Fondazione Mach, al fianco dei viticoltori trentini anche nelle nuove sfide, come quelle dei vitigni resistenti.
Alessandra Piubello
Giornalista e scrittrice veronese, degustatrice professionista, è Direttore di numerosi periodici e autrice di libri e reportage di turismo gastronomico. Vanta collaborazioni con testate di rilievo nazionale e internazionale ed è presenza costante nelle commissioni dei più rinomati concorsi enologici al mondo