Antica Dimora del Gruccione
Santu Lussurgiu  (OR) 

Simonetta Lorigliola dialoga con Gabriella Belloni

Antica Dimora del Gruccione è un luogo che tiene insieme tante cose, superando ogni concetto convenzionale di accoglienza e ristorazione. Come nasce?

Mio padre era veronese e mia madre sarda, di Santu Lussurgiu. Io ho vissuto tra Roma, Milano e la Germania, seguendo gli studi e poi l’attività di ricerca in filosofia, mia materia di formazione. Ma il legame con questo luogo non è mai stato interrotto.

Però non mi bastava l’idea di conservarlo, e di utilizzarlo saltuariamente. Anche perchè la manutenzione era faticosa. Così, nel 2002, utilizzando alcuni fondi europei attraverso il GAL Monti Ferru, è nata l’ Antica Dimora del Gruccione.

Un albergo diffuso, prima di tutto…

L’idea, tutta italiana, di albergo diffuso nasce proprio per valorizzare luoghi desueti  e marginali, ma ricchi di storia, come è questo posto.

I due capisaldi, per me, erano l’attenzione all’ambiente e un certo discorso sull’alimentazione. Per me il cibo, infatti, ah da sempre un valore sociale e antropologico, e parla anche di buona gestione della terra. Seguivo Slow food da tanti anni, e questi discorsi li avevo ben chiari.

E allora siamo partiti da accoglienza e cibo per mettere in pratica una visione  del mondo e una strategia per cambiare le sue storture.

L’albergo diffuso, perno di questa piccola rivoluzione, è nato nella sua casa materna, dunque…

È stato così. D’altra parte il concetto di albergo diffuso sottende l’importante assunto di non consumare suolo, di utilizzare strutture esistenti assegnando loro nuove funzioni. Per me significava rimettere in circolo un patrimonio abitativo, strappandolo all’abbandono ma anche a un’eventuale funzione puramente museale.

E poi mi permetteva anche entrare in contatto con la comunità, per valorizzare le risorse locali in un’ottica di turismo responsabile. Mi ci mettevo in prima persona, a tempo pieno. Quando abbiamo aperto, mi sono trasferita da Milano a Santu Lussurgiu.

Alla dimora iniziale si è aggiunto il recupero di edifici circostanti, ad oggi che ricezione avete?

Una trentina di posti, dato che si sono una quindicina di stanze per due persone.  Anche al ristorante ci sono una trentina di coperti. Ci sarebbe più spazio, ma ci piace così. Questa è la nostra giusta dimensione, gestibile e accettabile per i nostri ritmi di vita.

All’albergo si è affiancato il ristorante, aperto anche al pubblico esterno

Accoglienza significava offrire anche la cucina, sempre seguendo i nostri parametri territoriali.
Da subito abbiamo iniziato a fare un orto sinergico e abbiamo mappato il territorio per reperire le materie prime giuste. Siamo partiti tenendo conto dei Presidi Slow food e qui in Monti Ferru ce ne sono due tra i primi 100 nati: il Bovino di razza sarda modicana, che è allevato brado, e il Casizolo, formaggio da latte vaccino crudo. 

L’orientamento è quello di privilegiare in assoluto prodotto locale e di Sardegna.
Unica grande e voluta eccezione: un’attenzione ai prodotti del commercio equo e solidale.

Come si caratterizza la vostra cucina?

Potremmo dirla una cucina gourmet, dato che nasce anche da un elemento di apertura. La nostra giovane chef è sarda e, dopo l’alberghiero, ha girato il mondo per farsi una sua esperienza.
Tornata in Sardegna, ha un patrimonio da offrire in ricerca e proposte.
Ma per noi conta tantissimo la materia prima che, come ho detto, è territoriale o, semmai, del commercio equo.

Qualche esempio culinario?

Abbiamo una grande attenzione ai piatti vegetariani il che implica necessariamente una grande ricerca. Qui ci sono le zuppe della tradizione magari con un cereale della Marmilla che però si marita con una spezia palestinese, ad esempio.

Usiamo l’Abbagasu, una crema derivata dal Casizolo: essendo una materia nobile lo usiamo nelle zuppe, o in qualche particolare dessert.

Una cucina “local” con attenzione massima alla ricerca, senza che mai si sfoci nell’arzigogolo della cucina puramente creativa e in cui le materie prime territoriali primeggino.

Parliamo dello staff

Dall’inizio, insieme al progetto, nasce la volontà di costruire un gruppo affiatato di lavoro e dopo varie prove, un po’ di fatica ma la consapevolezza che fosse necessario, oggi abbiamo un bello staff di giovani dai 23 ai 36 anni di cui gli elementi portanti sono mia figlia Lucilla Speciali 34 anni, e la chef Sara Congiu, amica cara di mia figlia.

Devo menzionare poi Marco Delugas, il nostro sommelier conoscitore e appassionato. Per lui ci sono da una parte i vini naturali, soprattuto sardi,  e dall’altra un amore sconfinato per la Borgogna.

Marco si impegna anche, in particolare, per la valorizzazione della Vernaccia di Oristano.

Con lui abbiamo  avviato anche un’attività aziendale distinta, l’ importazione di vini.

Con il maitre Angelo Grandi condividiamo un’amore consistente per le attività agricole, lui è molto appassionato di erbe spontanee e gestiamo insieme il nostro orto sinergico. In sala spesso lo affianca mia figlia.

In cucina con Sara, c’è la sua “seconda”, Silvia Pintus, 23 anni di Santu Lussurgiu.

E poi ci sono due ragazze di Santu Lussurgiu che si occupano delle camere.

Come va adesso e come è andato questo ultimo anno, segnato dall’emergenza sanitaria con tutte le conseguenti misure e chiusure?

Intano ora proviamo a riaprire il 12 febbraio.

Certo, in questo anno abbiamo avuto una drastica interruzione del rapporto con gli ospiti stranieri che per noi erano una parte molto importante, un turismo attento al territorio e a viverlo attraverso il cibo e il vino con estrema attenzione e partecipazione. Ci sono mancati.

Gli ospiti sardi comunque ci sono stati, e in tanti. Le presenze erano vivaci, soprattutto nei fine settimana, e sottolineo che ragioniamo sempre sui piccoli numeri, nel rispetto delle norme di sicurezza sanitaria, ma per noi quei piccoli numeri sono quasi la normalità. Insomma, una situazione anomala, ma non catastrofica. Direi una buona tenuta, tutto sommato.

Abbiamo potuto continuare, lo staff è rimasto tutto a lavorare, magari attingendo a qualche sussidio di disoccupazione, ma siamo rimasti tutti qua. Ci siamo destreggiati.

E poi il tempo in cui non abbiamo lavorato è stato impiegato a fare tutto quello che sempre rimane indietro… perchè, anche se siamo a favore di approccio “lento”, alla fine, stiamo sempre tutti correndo… E quindi la sosta ci ha consentito di riprendere il lasciato indietro e poi anche di studiare…

Studiare che cosa?

Formazione, cultura personale. Sono un’assertrice del life long learning!

Io stessa, per esempio, sto facendo percorsi di studio, in particolare in questo anno mi sono iscritta e sto seguendo – on line- un corso di permacultura, (l’agricoltura del “non fare” basata sull’osservazione e l’estremo rispetto dei ritmi naturali fondata in Giappone da Masanobu Fukuoka ndr). E poi ho seguito e seguo un corso di eco -psicologia, neli persorsi didattici di  Marcella Da Non, il cui senso, detto in parole spicce è: le cose vanno fatte con amore, e allora funzionano meglio.

Ecco, in questo anno, è stato un bel risvolto della medaglia.

Antica Dimora del Gruccione 
Via Michele Obinu 31
Santu Lussurgiu OR
anticadimora.com

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Simonetta Lorigliola

Simonetta Lorigliola, giornalista e autrice, si occupa di  cultura materiale. 
È nata e cresciuta in Friuli. Ha frequentato l’Università degli studi di Trieste, laureandosi in Filosofia. È stata Responsabile Comunicazione di Altromercato, la principale organizzazione di Commercio equo e solidale in Italia. Ha collaborato con Luigi Veronelli, nella sua rivista EV Vini, cibi, intelligenze e nel progetto Terra e libertà/critical wine. Ha vissuto in Messico, ad Acapulco, insegnando Lingua e cultura italiana. Ha diretto Konrad. Mensile di informazione critica del Friuli Venezia Giulia. Da molti anni collabora con il Seminario Veronelli per il quale è oggi Responsabile delle Attività culturali. La sua ultima pubblicazione è È un vino paesaggio (Deriveapprodi, 2018).
Foto di Jacopo Venier