di Marco Magnoli – dalla Guida Veronelli 2021
Anche quest’anno non possiamo che rallegrarci per una situazione che in Calabria continua a risultare positiva ed orientata sulla via di sicuri miglioramenti.
Ormai da alcune edizioni stiamo segnalando come i vini calabresi si mostrino più precisi, integri e puliti rispetto a quanto appariva ancora non molti anni fa.
Cerchiamo, però, di andare con ordine attraverso una rapida analisi delle singole tipologie.
Partendo da bianchi e rosati d’annata, ci pare che, in particolare nel comprensorio del Cirò, abbiano tratto giovamento da un millesimo 2019 che, accanto alla dolcezza del frutto, ha dato anche una buona freschezza e spinta acida.
Una strada ancora da trovare per i bianchi
Certo i bianchi, almeno nella maggior parte dei casi, se anche appaiono più piacevoli e definiti rispetto al passato, risultano un poco appiattiti su un modello espressivo abbastanza condiviso e per lo più non spiccano per individualità particolarmente incisive.
C’è, naturalmente, chi prova qualcosa di diverso, ma spesso lo fa o facilitandosi un poco le cose.
O tagliando con vitigni internazionali di indubbia personalità, il che non è necessariamente un male, ma rischia di togliere un pizzico di specificità ad una regione a cui certo non mancano innumerevoli varietà tra cui cercare espressività originali.
Oppure adottando pratiche di vinificazione un filo tortuose, che non sempre garantiscono risultati netti e bene a fuoco.
In altitudine espressioni più interessanti
Qualcosa di più interessante lo si trova spostandosi nelle zone più interne e ad altitudini più elevate, dove magari si rinuncia un po’ al frutto, ma si ottengono vini più sapidi, verticali e profondi, che regalano maggior variabilità e più intriganti sfumature, per altro in qualche caso enfatizzate dall’impiego di varietà che siamo di solito abituati ad incontrare a latitudini ben più settentrionali.
Per i rosati una ricerca in corso
Pure per i rosati si potrebbe fare di meglio cercando, oltre alla fragranza, maggiori complessità e consistenze, anche perché i vitigni calabresi lo consentono, stando però ben attenti ad evitare le note ossidative e le sensazioni non pulitissime che alcuni vini ancora mostrano.
L’affermazione dei Cirò rossi
Passando ai rossi, tipologia nella quale si riscontra il maggior fermento, sempre più diffusi tra i Cirò sono i vini di impostazione moderna; in particolare, la gran parte dei Cirò Riserva, anche quelli dagli affinamenti più lunghi, si rivelano vini ben concepiti e ben fatti, lontani dalle stanchezze e approssimazioni di cui venivano un tempo accusati.
Intorno a magliocco e gaglioppo
Varietà di notevole interesse è, poi, il magliocco dolce, una certezza in diverse aree calabresi e forse, dopo il gaglioppo, ormai il vitigno più rappresentativo della regione, capace di dare vini solidi e robusti, eppure sempre temprati da tonalità più aggraziate, sovente cariche di suggestioni dal fascino levantino.
Non basta, però, puntare sulla forza tannica e sul vigore alcolico del gaglioppo per stupire con Cirò di gagliarda struttura.
Occorre anche temperarli con doti di polpa e sostanza che diano equilibrio, grazia e finezza.
Così come non è sufficiente affidarsi alla sola ricchezza e generosità fruttata del magliocco senza esaltarne anche la particolare speziatura e complessità, così da sottolinearne le note più eleganti, intriganti ed originali.
È ciò che già fanno i produttori più sensibili e avveduti.
Ben capendo come la grandezza di un vino stia soprattutto nell’armonia con cui è in grado di esprimere anche le sue doti più estreme ed irruenti.
Criticità sull’uso del legno
A tal proposito, speriamo non prenda troppo piede la tendenza, riscontrata nei vini di alcune aziende (per la verità non molte), di enfatizzare dolcezze e morbidezze con un uso un po’ disinvolto del legno, strada già tentata altrove senza, peraltro, portare a grandi risultati, se non a vini forse piacevoli nell’immediato, ma privi di vera personalità e sviluppo.
Gli autoctoni: potenzialità e rischi
V’è, poi, tutta la miriade di vitigni autoctoni minori sparsi qua e là per la Regione.
A loro si deve la ricchezza di timbriche, cadenze e personalità che rende i vini di Calabria difficilmente omologati o anonimi.
In molti casi si tratta, però, di varietà non ancora adeguatamente selezionate, che pertanto danno a volte qualche elemento di brusca rusticità.
In realtà non è raro che siano proprio queste note un poco insolite e inconsuete ad attirare la curiosità dei consumatori, ma la loro schiettezza non è sempre facile da gestire al meglio e rischia di divenire un serio ostacolo alla piacevolezza.
I vignaioli calabresi, però, sono bravi e stanno pian piano riuscendo a domare anche queste criticità. Il passo successivo sarà, dunque, quello di raggiungere un diffuso livello di eccellenza, di consolidarlo e di esprimerlo con continuità.
Pochi passiti di puro spirito ellenico
Gioielli del territorio restano, infine, i passiti.
Sebbene ancora una volta dobbiamo a malincuore lamentare come le eccellenze siano davvero troppo poche, quantunque il fascino di alcuni autentici campioni valga da solo per tutti: passiti di puro spirito ellenico, vini di epica e straordinaria personalità.
MARCO MAGNOLI
Deve alla tradizione familiare la passione per i vini di qualità e a Luigi Veronelli, incontrato nel 2001, l’incoraggiamento a occuparsi di critica enologica. Dal 2003 è collaboratore del Seminario Permanente Luigi Veronelli. È tra i curatori della Guida Oro I Vini di Veronelli.