Tre vini quotidiani dalla Guida Oro I Vini di Veronelli.

Prosegue il nostro viaggio in Italia alla scoperta dei vini quotidiani selezionati dalla Guida Oro I Vini di Veronelli. Oggi siamo in Umbria, con tre “vini d’oro” commentati da Simonetta Lorigliola.

Il commento di Simonetta Lorigliola

Godi se il vento chentra nel pomario
Vi rimena londata della vita

Così scriveva Eugenio Montale nell’incipit di In limine, indicando una soglia (limine) materiale e filosofica in cui, al centro, è un luogo vegetale. 


Il Pomario è una raccolta multipla di alberi da frutto, un tableau vivant come si usava nelle ville patrizie antiche, tradizione poi ripiantata nel Rinascimento.  Il poeta continua la sua descrizione di questo orto (è l’hortus latino, in cui giardino e frutteto si fondono) che orto non era, ma reliquario.
Susanna e Giangiacomo Spalletti Trivelli nel 2008 trovarono proprio quel reliquiario, una terra abbandonata da molto tempo in cui i rovi e il bosco avevano soffocato un’antica vigna, reliquia che hanno voluto rispettare, rifiutando gli ammiccamenti dei contributi per l’espianto.
Con testa e cuore di un’agronoma sensibile come Federica De Santis quel vigneto è stato riportato faticosamente alla vita. Operazione di recupero, anzi di restauro culturale di un luogo, un paesaggio, una dimensione materiale.
La vigna si trova su un poggio illuminato dal sole e ben ventilato: è il vento di Montale ad accarezzarlo?
Intorno al vigneto, le cui fallanze sono state colmate con marze autoprodotte attraverso selezione massale a partire dalle piante storiche, c’è il bosco. 
Un microclima  integro, protetto e ideale per la viticoltura e anche per praticarla senza ausilio di prodotti di sintesi. Le piante più vecchie, la maggioranza, hanno quasi 100 anni. 
Non solo vigneto, o Pomario non sarebbe. Anche alberi da frutto, di antiche varietà autoctone.
L’Arale 2019 arriva portando nel calice il suo pervadentegiallo oro.
Al naso è caldo, delicato e sinuoso con la sua mela selvatica e una lieve nota affumicata che affianca profumo di timo e origano essiccati.
In bocca buon bilanciamento tra struttura e acidità, bei richiami salini e minerali, che accompagnano sapori ammischiati di uva bianca e gelsomino. Ha buona stoffa per camminare avanti negli anni.
Lo immagino perfetto con un caldo crostino di polenta bianca su cui si è mollemente adagiato un gran cucchiaio di baccalà mantecato, rigorosamente d’istriana memoria: battuto a mano molto a lungo con il solo ausilio di copioso olio d’oliva che lo fa cedere e incremare al punto perfetto.

Federica De Santis, agronoma

L’Arale è un vino ad alto valore simbolico per la filosofia aziendale a base di uve trebbiano, in prevalenza, e malvasia.
Volevamo recuperare un vigneto centenario di trebbiano.
E lo abbiamo fatto. Questo vino nasce da un grande impegno e lavoro in vigna. Anche se le viti sono vecchie, il trebbiano produce molto e abbiamo lavorato, piano pia, per contenere la sua esuberanza, fino ad avere pochi grappoli per pianta. Lo vendemmiamo molto tardi, quasi in surmaturazione. Negli anni abbiamo capito che dovevamo sfruttare i tannini nella buccia, lavorando su una macerazione che oggi è di due settimane, a temperatura controllata. Viene fermentato in barrique dove con battonage giornalieri lavora molto lentamente. Bassissimi quantitativi di solfiti, molto al di sotto di quel che il disciplinare biologico, cui aderiamo, consentirebbe.
Io dico che è un un bianco quasi rosso, e me lo vedo bene con il pesce di lago.

pomario.it


Il commento di Simonetta Lorigliola

L’azienda ha sede sulla collina di Bardano in un edificio del XIII secolo che fu dell’Ordine dei Templari, poi dei Viti, quindi della famiglia Neri che ne divenne proprietaria negli anni Cinquanta. 
I primi vigneti furono impiantati nel 1989 e hanno raggiunto, oggi, la superficie di 70 ettari, di cui 15 sono riservati alla produzione dei vini aziendali.
L’assaggio di questo Cà Viti 2018 svela il suo colore giallo paglierino, al naso arriva subito la mela golden, seguita da un lieve sentore di erbe di montagna, poi un richiamo ammandorlato. 
In bocca spiccata acidità, torna la mela e, con lei, la melissa. 
Si immagina convolare bene a nozze con una pasta condita con busara rossa di scampi, il piatto dalmata che affoga i dolci e polposi scampi adriatici in un sugo a base di olio d’oliva, pangrattato e aglio, raggiunto in seguito dal pomodoro.

Aurora Di Sciafani, enologa

Il Cà Viti nasce da un uvaggio di procanico 50%, grechetto 40% malvasia, verdello e drupeggio 10%. Il vigneto è posto ad un’altitudine di 250 – 300 m. s.l.m.  su suolo argilloso con una resa di 75 quintali per ettaro. La vinificazione avviene con una macerazione a freddo sulle bucce per 12 ore a 8 – 10 gradi. Dopo una soffice pressatura il mosto ottenuto viene decantato per 24 ore a 8 gradi. La fermentazione alcolica avviene in vasche di acciaio inox alla temperatura di 15 gradi.

neri-vini.it


La recensione di Simonetta Lorigliola

Siamo nella media valle del Tevere, tra Todi e Perugia. Qui non c’era tradizione vinicola di qualità, l’uva andava alle cantine sociali. Oggi le cose stanno piano piano cambiando.
L’azienda si trova al termine di una strada bianca di quasi tre chilometri che sfocia nei vigneti protetti dai boschi, a un’altitudine di 300 metri.  È davvero un secretum in mezzo all’agro.
Lorenzo Monaco, dagli inizi nel 2008, ha in mente l’eccellenza, che parte dalla vigna. L’uva deve essere «sana e saporita». Va tutelato l’equilibrio del suolo e degli ecosistemi. Si ricicla ogni scarto vegetale nel compost. L’economia circolare è importante.
Vitigno d’elezione il sangiovese, in 4 biotipi diversi.
Il vigneto in cui nasce il Pottarello è a pochi centinaia metri dalla cantina, su un alto crinale, esposto a sud ovest.
Fermentazione in acciaio con controllo della temperatura, su lieviti autoctoni e senza aggiunta di solfiti. Follature a mano, alternate con rimontaggi. Affina in tonneaux da 500 litri per 12 mesi, niente filtrazioni e riposo in bottiglia per 9 mesi prima di varcare la soglia della cantina.
Il Pottarello entra nel calice portandoci un rosso rubino, non sfacciato. I profumi rimandano subito a un cesto di ciliegie ben mature appena raccolte, di quelle con la buccia scura, varietà Ferrovia. Arriva poi una vampata soave di cuoio ed erba secca. L’assaggio incontra subito i tannini leggermente ribelli che amarene e ciligie mature cercano di tenere a bada sulla lingua, le accompagnano la prugna e un’eco di tabacco. La sua vena ribelle, ma generosa lo fa pensare in matrimonio perfetto con una fumante piatto di pasta fatta in casa, e siano gli strangozzi territoriali, cunzata con un generosissimo battuto di norcina pancetta – o guanciale che sia – dorata in poca cipolla rossa. Sul piatto piova alla fine, immensa, una dose di pecorino saporoso. E Pottarello sia.

Lorenzo De Monaco, vignaiolo

Il Pottarello è il vino più identitario dell’azienda.
E infatti in questi luoghi il potto è il bambino, il figlio. Lo dicono solo qui, perché già a Perugia dicono frego. Potto è parola di questa piccola porzione d’Umbria, e solo di qua. Come questo vino.
All’assaggio si sente proprio che è un vino umbro: è un po’ rustico, ma rispecchia il vigneto che ospita un biotipo di sangiovese con un grappolo più spargolo, quasi non sembra lui, ha una coda lunga e con degli acini più piccoli.
Questa è sempre l’ultima uva che raccogliamo: il grappolo spargolo e aerato ci dà l’opportunità di portare avanti la vendemmia, senza compromettere la qualità dell’uva.
Il Pottarello contiene anche un po’ di colorino e un po’ di malvasia, alla vecchia maniera. E sono loro che gli donano quella bella nota speziata.
Per noi il Pottarello rappresenta l’essenza e l’identità di un vigneto. Parla di questo piccolo e segreto luogo. È un tema centrale perché io credo che negli ultimi anni si sia puntato troppo  sulla centralità della trasformazione delle uve in cantina. Per fortuna ora l’aria è cambiata e sempre più sta emergendo l’importanza assoluta del vigneto.

agrisegretum.com

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Simonetta Lorigliola

Simonetta Lorigliola, giornalista e autrice, si occupa di  cultura materiale. 
È nata e cresciuta in Friuli. Ha frequentato l’Università degli studi di Trieste, laureandosi in Filosofia. È stata Responsabile Comunicazione di Altromercato, la principale organizzazione di Commercio equo e solidale in Italia. Ha collaborato con Luigi Veronelli, nella sua rivista EV Vini, cibi, intelligenze e nel progetto Terra e libertà/critical wine. Ha vissuto in Messico, ad Acapulco, insegnando Lingua e cultura italiana. Ha diretto Konrad. Mensile di informazione critica del Friuli Venezia Giulia. Da molti anni collabora con il Seminario Veronelli per il quale è oggi Responsabile delle Attività culturali. La sua ultima pubblicazione è È un vino paesaggio (Deriveapprodi, 2018).
Foto di Jacopo Venier